lunedì 13 novembre 2017

Poesia / Vita da cani (pensatori) 2.


Sono ancora Pablo, il golden retriever di Irene, la fondatrice di questo blog. Vi sto per proporre la storia triste di Alan, un cane dalmata che non ho conosciuto perché è morto parecchio tempo fa. Mi racconta la mia compagna umana che era bellissimo e maltrattato. Ha lasciato la vita nella solitudine più totale, esaudito così nel suo ultimo desiderio consegnatole come estremo messaggio.
Un testamento tutto scritto nello sguardo. Da tramandare ai posteri per renderli più misericordiosi

Irene Navarra, La mia idea di un dalmata, Biro su post-it, 2017.


La preghiera
(Alan dalmata – vecchio e stanco, maltrattato da sempre – esprime un desiderio)

T'ho amato nonostante
mio padrone ingrato.

Oh Dio dei cani, concedimi soltanto
di morirgli lontano.


E adesso (ferocemente) alcune Riflessioni di Irene l'Animalista che vi riporto io, Pablo golden retriever, con molto orgoglio.

La prima lirica, quella di Emma che conta le stelle,  rappresenta il mondo felice di un cane e una compagna umana uniti da tenerezza e condivisione gioiosa. Non importa l’inizio più o meno tragico (come il mio per esempio). Importa il vincolo affettivo che si instaura nel momento dell’incontro, il patto che si stringe. Se c’è rispetto per la vita e il rapport o avviene tra esseri senzienti e sfere emozionali ben chiare e positive, tutto procede serenamente. Si può crescere insieme. 
In caso contrario, quando cioè si considera l’animale una cosa, da prendere e trattare a piacimento abbandonandolo in un giardino e facendo di quel giardino la sua tomba, chiudendolo in una cantina, in una baracca, in uno sgabuzzino, negandogli una carezza, il conforto e la protezione durante un temporale o la notte dell’ultimo dell’anno, lasciandolo completamente solo nel periodo delle ferie estive con temperature torride e poca o nulla acqua; quando non lo si porta mai a passeggio e lo si scansa entrando in casa ed evitando persino di toccarlo schifati dal suo odore, allora non esiste il rispetto dovuto e, di conseguenza, non c’è patto che tenga. 
Bisogna intervenire. Con decisione.
Questi cani condannati all’isolamento sociale, hanno spesso l’acqua, la cuccia magari, un po’ d’ombra. Sembrano stare bene. Anzi: “Stanno bene” – dicono gli esperti chiamati da cittadini pietosi a sanare situazioni di sofferenza che nella maggior parte dei casi perdurano per mesi, anni o, addirittura, per tutta la loro esistenza. Non hanno zampe, crani, costole rotte. Non ferite. È vero. Nondimeno chi usa gli occhi, la testa e il cuore, si chiede inevitabilmente: “Devono, forse, quasi morire per venire salvati? E il maltrattamento psicologico subdolo e vigliacco, che insiste con gravi conseguenze sulla loro sfera fisica, rendendoli paurosi e depressi, perché non viene mai preso in considerazione?”. 
Gli animali sono esseri senzienti. Lo sono per natura e per legge.
Quanti poi, in particolare, si occupano di affidi, è categorico che lo ricordino sempre, come un mantra, il principio del diritto soggettivo degli animali. Se li si dà in adozione, dunque, si indaghi anche sulla famiglia che li accoglie, interpellando la magistratura, i vicini. Qualora non si agisca in modo scrupoloso, ci capiterà di incorrere in errori devastanti per creature già molto fragili e provate. 
E se ciò dovesse avvenire, dal momento che – lo si sa – solo chi lavora sbaglia, è importante riconoscere l’errore commesso per correggerlo ed evitare così ogni complice connivenza con i maltrattatori di animali.

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