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venerdì 28 aprile 2023

Critica d'Arte e Poesia / La scultura di Pierpaolo Consigli tra realtà e mito.


Esortandovi caldamente a visitare il Sito dello scultore Pierpaolo Consigli (in arte Pico48), vi propongo la Critica (anche lirica) che gli avevo dedicato nell'Agosto del 2020.


Pico48, Autoritratto con Sacher, Terracotta patinata colorata acrilico.
Dimensioni: cm. 55 x 35 x 60.

“Se guardi negli occhi il tuo cane, come puoi ancora dubitare che non abbia un’anima?”, Victor Hugo.
“È così che ho voluto esprimere l’amore verso il mio cane Sacher”, Pico48.

                                  
Pico48, Opi - dea bendata, Terracotta patinata naturale su Vetro.
Dimensioni: cm. 30 x 24 x 51.

 
È da una zona d’ombra invasa dal silenzio che talvolta scoccano faville prodigiose. Di contrasto al morbido fluire del grigio, dopo un brillio di luce, s’addensano, formando la sostanza che sarà. Culla di un’anima che chiede di volare. E sa il potere del sussurro a chi ha mente e mani esperte di segreti. Pierpaolo Consigli possiede ingenito il talento dell’interpretare la materia per estrarne l’essenza. In modo sottile. Senza rivelarla del tutto. Lasciando quei margini sospesi che si fanno mediatori di fascino. Così, dall’assunzione delle leggende antiche come fonti ispiratrici scaturisce che le sue dee hanno palpebre solo leggermente dischiuse. Perché, se le aprissero, ci accecherebbero con il loro bagliore. E ciò l’ho capito mentre le rimiravo e cercavo di sondare quel quid particolare che mi rapiva. Fino all’intuizione estrema e alla spontanea scelta di elevare a piccolo canone poetico il mio speciale sentirle. Di conseguenza:

Chiudere gli occhi davanti alle tue dee.
E sullo schermo interno delle palpebre
far scorrere le loro storie.
Miti ancestrali nascosti nelle pieghe dei millenni.
Reliquie palpitanti
per te che ne intuisci il suono
e lo palesi
come al momento della nascita
nel gesto da demiurgo del dare consistenza
a sobrie creature ancora fioche.

Un metodo infallibile, questo, che mi permette di intendere anche le creazioni di Pierpaolo a soggetto contemporaneo. In esse lo sguardo, apertamente franco, è senz’altro di primo rilievo. Porta infatti il carattere del modello. Quanto sta dietro però, ovvero il narrato intimo del rapporto artista / opera, rimane il nucleo dell’attrazione. Per cui di nuovo a occhi chiusi rivivo i gesti di affettuosa reciprocità tra cane e padrone plasmati in memoria perenne del compagno di avventure esistenziali. Indizi d’amore scambievole che rimarranno ancorati al momento. E con folgorante lucidità ritrovo il piglio deciso negli occhi del figlio, penetranti al punto da scavare dentro l’anima dell’osservatore. Pierpaolo, dunque, racconta le sue visioni mentre ne induce la comprensione con agganci al subliminale Oltre da cui le visioni stesse arrivano.

Irene Navarra, 29 agosto 2020

mercoledì 17 maggio 2017

Critica sociale / La macchina del fango (con Dante Alighieri).


Esaltare se stessi calunniando gli altri.
Eh, sì! Bel modo di spingersi, corna in resta, contro chi ti turba perché:
evidentemente fornito di competenze specifiche,
capace di esprimerle in modo corretto, elegante,
dedito persino al tacere piuttosto di esporsi al ridicolo del parlare comunque.
Fonte di conoscenza, quindi.
Creatore di Bellezza, insomma.
La Nuda Veritas dovrebbe essere destinata a vincere.
Invece:
la macchina perversa e sempre in funzione del fango trasforma i fiori in guano, i pensieri puri in materiale putrescente, i gesti gentili in veleni.
Guardiamoci in giro e ce ne accorgeremo.
Basta un'occhiata veloce e ci sei. Nel sobbollente mare di sterco, intendo, che soffoca la nostra società malata.
Per i Rimedi ricorro a Dante, l'amato Padre che mi salva dal naufragio e mi ritempra gli umori in virtù della sua vicenda personale, irta di difficoltà all'apparenza insormontabili ma affrontate sempre con intrepida determinazione.
Il tempo contemporaneo ha bisogno di lui.
Noi, piccoli esseri, abbiamo bisogno di trarre forza dal suo esempio per continuare a vivere come Dignità insegna, scansando chi ci intralcia volutamente.
Amen.

Jan Van der Straet, Maestro Adamo e Sinone - Inferno - Canto XXX, Illustrazione, 1587.
- Fonte: Wikipedia -

Nella decima Malabolgia del Cerchio VIII del suo Inferno, Dante Alighieri colloca i falsatori di metalli, persone, monete e parole. Questi ultimi sono vessati da una febbre ardente che ne stravolge i sensi. In vita storpiarono il vero con insinuazioni mendaci, ora è quella stessa smania a perseguitarli in carnale tortura eterna.
Egli li rappresenta per antonomasia nella persona di Sinone Greco, colui cioè che, fingendosi abbandonato dai compagni, convinse Priamo a introdurre in Troia il cavallo di legno, e ne favorì la distruzione. Il disprezzo, lo sdegno del Sommo Poeta per tali peccatori si esprimono attraverso l'uso di uno stile aspro dalle sonorità ardite. Le Rime si fanno davvero petrose e la scena si connota di una palese vena grottesca il cui realismo risulta immediatamente fruibile.
Sinone ci si presenta in rissa con Mastro Adamo, falsario di monete. I due non si risparmiano né le ingiurie, né le percosse. Dante guarda e ascolta.

E io a lui: "Chi son li due tapini
che fumman come man bagnate ’l verno,
giacendo stretti a’ tuoi destri confini?".

"Qui li trovai - e poi volta non dierno -",
rispuose, "quando piovvi in questo greppo,
e non credo che dieno in sempiterno.

L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo;
l’altr’è ’l falso Sinon greco di Troia:
per febbre aguta gittan tanto leppo".

E l’un di lor, che si recò a noia
forse d’esser nomato sì oscuro,
col pugno li percosse l’epa croia.

Quella sonò come fosse un tamburo;
e mastro Adamo li percosse il volto
col braccio suo, che non parve men duro,

dicendo a lui: "Ancor che mi sia tolto
lo muover per le membra che son gravi,
ho io il braccio a tal mestiere sciolto".

Ond’ei rispuose: "Quando tu andavi
al fuoco, non l’avei tu così presto;
ma sì e più l’avei quando coniavi".
          E l’idropico: "Tu di’ ver di questo:
          ma tu non fosti sì ver testimonio 
          là ’ve del ver fosti a Troia richesto". 

          "S’io dissi falso, e tu falsasti il conio", 
          disse Sinon; "e son qui per un fallo, 
          e tu per più ch’alcun altro demonio!". 

          "Ricorditi, spergiuro, del cavallo", 
          rispuose quel ch’avëa infiata l’epa; 
          "e sieti reo che tutto il mondo sallo!".

          "E te sia rea la sete onde ti crepa", 
          disse ’l Greco, "la lingua, e l’acqua marcia 
          che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!". 

          Allora il monetier: "Così si squarcia 
          la bocca tua per tuo mal come suole; 
          ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia, 

          tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole, 
          e per leccar lo specchio di Narcisso, 
          non vorresti a ’nvitar molte parole". 

          Dante Alighieri, La Divina Commedia,
          InfernoCanto XXX, vv. 91 – 129. 
          Fonte: Wikisource

Ciò che conta è l'abiezione della pena e il degrado in cui versano i colpevoli di diffamazione. Ridotti "fuori dei sensi", come lo furono durante la loro meschina esistenza per l'efferatezza del sentire, emanano una puzza d'arso unto (Buti) data dal contrappasso della febbre altissima che li tormenta. Immagine, questa, ben descrittiva della condizione vile di quanti, travolti da un insano fervore, cercano di screditare i mal capitati accidentalmente sulla loro strada, spargendo parole sibilline e ingannevoli.
Semper valet, dunque, la lezione di Dante.

martedì 31 gennaio 2017

Haiku / Noterelle un po' critiche (3).


Come già nelle Noterelle un po' critiche 1 e 2 continuo a perseguire il mio obiettivo di affrancamento da qualsiasi pretestuosa regola o assurdo precetto che limitino il pensiero creativo. Il grande poeta giapponese Tōta Kaneko mi aiuta con un suo straordinario frammento:

Un’accesa discussione.
Poi, scendo in strada
e in moto mi muto

L'incisività verbale, l'incipit realistico, il senso di continuità dato dall'avverbio temporale, l'uso consapevole dell’apparato lirico-retorico nel verso di chiusura sono dati inconfutabili. Per chi conosce il genere non solo superficialmente costituiscono l'espressione di un meraviglioso anticlassicismo di materia e forma che è chiara testimonianza di distacco dalla tradizione.
Perché, dunque, noi occidentali dovremmo restare legati a un canone così avulso dal nostro sentire e cristallizzato in un codice stilistico che non ci pertiene? 

Josch13, wooden motorbike with-driver, Pixabay Ph.



giovedì 13 ottobre 2016

Poesia / Roque Dalton Garcia poeta e combattente.


Roque Dalton Garcia.

Dice Julio Cortazar che Roque Dalton Garcia (San Salvador, 14 maggio 1935 - Quezaltepeque, 10 maggio  1975) è stato “l’esempio assai poco frequente di un uomo in cui la capacità letteraria, la capacità poetica, sono fin dall’età giovanile mescolate con un profondo sentimento di naturalezza con il suo popolo, con la sua storia e il suo destino. In lui, da quando aveva diciotto anni, non si poté mai separare il poeta dal lottatore, lo scrittore dal combattente, e per questo la sua vita fu una serie continua di persecuzioni, prigionie, esili e fughe”.

Fu assassinato il 10 maggio 1935 da compagni di lotta dell’ERP (Esercito rivoluzionario del popolo). I colpevoli sono tuttora ignoti e i resti del poeta non sono mai stati trovati. Nel luglio di quest’anno l’Ufficio per la Difesa dei Diritti umani del Salvador ha accolto le richieste di giustizia della famiglia del poeta e ha chiesto alla Procura generale di riaprire le indagini.

(Fonte: PressReader 31 luglio 2016)


Vita e letteratura nell'Estetica di Roque Dalton Garcia.

La poesia di Roque Dalton Garcia, delicata e aggressiva assieme, rivela la necessità spirituale di coniugare vita e letteratura. E ciò in forma spesso autoironica, talvolta spietatamente critica o anche teneramente gaia. Un alternare dialettico, questo, reso come cifra estetica dell’essere. Roque è poeta e combattente proiettato nella storia del suo Paese. Egli si fa voce narrante del suo Paese e di quelle feroci contraddizioni per cui la Vita, da mordere con gusto e allegria, diventa Morte da subire nel corpo violentato da una pallottola sparata di fianco. “L’unica pallottola capace di trovarlo” come ha scritto Eduardo Galeano in Memoria del fuoco.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Poesia / Roque Dalton Garcia / 13 ottobre 2016.

E adesso ascoltate la voce di Julio Cortazar che recita Alta Hora de la noche.



sabato 21 marzo 2015

Critica / Anna Mattiuzzo: Bianca vestito di neve.


Il concetto del colore nelle illustrazioni di Anna Mattiuzzo



Tra meraviglia e allegoria si snoda il racconto fantastico di Anna Mattiuzzo Bianca vestito di neve (L'orto della cultura Editore, 2013). Il libro, contesto di autentica magia, presenta un epilogo intriso di buona moralità a sfondo sociale. Vivere integrati in un sistema desentimentalizzato o seguire il miraggio dell'amore? suggerisce il dilemma alla base della storia. Sobria di necessità, poiché dedicata a un pubblico infantile, ma assieme complessa nei suoi sensi connotati, e da mediarsi di conseguenza attraverso il filtro cosciente dell'adulto, capace di interpretarne gli aspetti subliminali per incanalarli alla corretta fruizione.
Di gelo è la sostanza di Bianca. Candidi gli occhi, il viso, gli abiti, il cuore portato a passeggio come un palloncino inerte.Bianca procede nel suo mondo scialbo, priva di turbamento. Lei non sa entrare in empatia con gli altri esseri. Per la sua natura algida accetta i ritmi monotoni del vivere. Finché sulla scena non irrompe l'imprevisto: le richieste di alcune creature del bosco incontrate per caso. Stanno preparando una festa in onore dell'inverno. Che male le potrà mai capitare se raccoglierà ghiande, nocciole, legnetti, mele per lo scoiattolo, la volpe, il lupo, il topolino? Nessun male, si dice Bianca, introducendo una varianza nella misura sempre uguale dei suoi giorni. Scopre così un universo ricco di attese e speranze. Da qui la scintilla che appicca un fuoco via via più fervido. Ecco il colore. Prima i guanti, le scarpe, le vesti, poi le guance, il volto intero e tutto il corpo assumono contorni, vibrano di rosse sfumature. Bianca inizia a percepire un esile grumo che le palpita nel petto con intensi battiti. Avverte il trepidante calore della commozione. La nuova conoscenza cancella il passato. Ora contano i balli, i canti, il gioioso rumore, la tenerezza reciproca. È una metamorfosi radicale, quella della bimba. Una trasformazione resa attiva in virtù dell'aiuto prestato generosamente e del lavoro condiviso. La gratuità ne è la chiave. Nella seconda parte della favola si dispiega, pertanto, una scala di valori diversi. In controcanto alla dimensione ghiacciata - arida dunque - che è stata l'habitat materiale ed emotivo della piccola Bianca, divampa a poco a poco la fiamma dell'adesione a un progetto comune. Allora, mentre le cose si accendono di brillii nella festa per l'arrivo dell'inverno, il gelo del cuore si sfa completamente non solo in Bianca, ma anche in noi lettori, rapiti ormai dall'incanto di questo delizioso quaderno in versi e immagini. E desiderosi di affidarci ancora alla sua genuina poesia.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte /
Anna Mattiuzzo / 6 febbraio 2015.
La critica è stata pubblicata nella Sezione Cultura di Voce Isontina del 21 marzo 2015.


venerdì 18 luglio 2014

Poesia / "Dentro" le Dedalaritmie liriche di Irene Navarra: tra sentimento e ragione.


Di lacrime grondano le cose.
Il rimedio è nel canto, sembra suggerire la poetessa con rara ispirazione empatica.
In primis, però, c'è il dolore.

Presentazione di "Dentro" e "Il peccatore".
Silvia Valenti, Irene e Ale a Treviso, fotografia, 2014.

Dentro le Dedalaritmie liriche di Irene Navarra

    Nel percorso deterministico della prima sezione del nuovo libro di Irene Navarra, Dentro, risalta il connotato inconfutabile dell’impianto alchemico come base di qualsiasi originare esistenziale. Noi ci enucleiamo nel Vuoto primordiale / esoterico Athanor come accumuli, per una scintilla di vigore che ci fa conflagrare a vita nuova con strutture confezionate secondo modelli naturali e sequenze cicliche. Per incontri di materia. Atomi che fermentano nel bollitore astratto in cui tutto si forma e purifica per poi rotolare in caduta gravitazionale fino alla dimensione cui sono destinati. La poesia di conseguenza diventa per la poetessa goriziana un innato metodo di inchiesta e una mediatrice di Verità. Collegando infatti ignoto e noto nella folgorazione del fervore ispirativo, fissa i margini in cui argomentare è concesso. Essa procede sempre lungo la strada ardua del Dubbio, disbroglia matasse, si impiastriccia di sostanza, la assimila, si invola, tramutando il dato fisico in principio trascendente. In una metamorfosi simbolica che interpreta il fine ultimo della prescienza, tesa alla scoperta della pietra filosofale. Sì, perché questa recente raccolta composta da tre sillogi (La certezza del Mutamento, Dentro, Cronaca di un’Assenza) proprio là si volge, seguendo un sottile filo di Luce baluginante dalla concretezza più densa. Ed è l’illusione della continuità giocata sul Sentimento del contrario di schietto gusto pirandelliano a fare da contrappunto emotivo alla pena della perdita, negando la morte individuale con il semplice accendersi del ricordo. Il teorema è compiuto, dunque. Vince di sicuro la dissoluzione del corpo come norma ineludibile e necessaria, ma vale ancor di più il permanere nel pensiero di chi resta. Ciò rappresenta l’assoluto per eccellenza. Una somma di memorie crea l’energia adatta a traghettarci attraverso il mare del Nulla, verso porti di tranquilla consapevolezza. In intermittenze del cuore come spiragli sul mistero dell’Essere. Il Dio cristiano qua conta solo come emblema di spiritualità e tappa da toccare a conferma di suggestioni annidate in pieghe della mente. La ragione cede, in definitiva, abbandonando qualsiasi meccanicismo, sebbene autorevolmente filosofico e culturalmente seduttivo. Così, l’abusata parola Amore assume sfumature di durevolezza eterna nel suo stesso generare delle specie di nastri ideali che collegano elementi fenomenici - fragili per la loro caducità - e metafisici - imperituri proprio in quanto tali -. Un trionfo alchemico, in verità, da ascriversi alla ricerca lirica della scrittrice. Ricerca come frutto inequivocabile del suo procedere per visioni, cosmiche prima e intime poi, ma non per questo meno vaste. Quale l’approdo? Microcosmo (personale) e Macrocosmo (universale) collimano coincidenti. In questo caso quindi, e oltre ogni evidenza speculativa o scientifica (Shopenhauer non ce ne voglia!): duo idem non sunt sed idem faciunt.

Eugenio Bernes, musicista e CAGEcreativo