Irene Navarra, Italo Calvino, Pastello a olio e Grafica, 2011 |
L’Esattezza.
L’autore concentra il concetto in tre focus: “1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 2) l’evocazione
d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili […]; 3) un linguaggio il più
preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e
dell’immaginazione” (Lezioni
americane, Oscar Mondadori, 2002, pp. 65 – 66). Poi, a giustificazione
degli assunti, pone egli stesso un quesito che gli potrebbe essere mosso sul
perché senta il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare
ovvi, quesito che immediatamente spiega ponendosi come epicentro di un fenomeno
spontaneo di ripulsa per il generico spesso sconveniente. Continua infatti: “mi sembra che il linguaggio venga sempre
usato in modo approssimativo o casuale, sbadato, e ne provo un fastidio
intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a
un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare
me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco
scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è
necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma
almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La
letteratura – dico la letteratura che risponde a queste esigenze – è la Terra
Promessa in cui il linguaggio diventa veramente quello che dovrebbe essere”
(ibidem, p. 66). Che aggiungere d’altro se non l’esempio di noti maestri quali
il già ricordato Leopardi che si dichiarava per l’indeterminato e il vago -
apparentemente antitetico in ciò all’esattezza - con un’attenzione meticolosa
per la composizione delle immagini, la cura dei dettagli, la scelta dei
soggetti, l’uso luministico delle atmosfere. Un vago dunque, il suo, che si
connotava di sensibilità dischiusa al fisico e al metafisico. O meglio:
trascolorante dal fisico al metafisico e viceversa. La lettura attenta dello Zibaldone e dei Canti lo conferma al cento per cento e, soprattutto, ce ne
determina la veste filosofica ben al di là del sensismo, in quel rapportare la
relativa cognizione empirica del giorno dopo giorno all’immensità
spazio-temporale assoluta. Come dire: la ricerca del determinato che si
completa solo di indeterminato. La composizione degli opposti insomma. Il
microcosmo circoscritto, in uno con il macrocosmo smisurato. Il centro perfetto
per un arciere viziato d’infinito.
Ed è in questo amalgama sapiente che trova
status l’ispirazione di scrittori come Dino Buzzati e Tommaso Landolfi. Lo dico
con sincero dispiacere per altri. Un esempio? John Fante, che ha vissuto
ultimamente qualche sussulto di notorietà, ed è, anche nel suo migliore romanzo Chiedi alla
polvere, lontano da quella
sfumata linea d’orizzonte tra la terra e il cielo che fonde dimensioni e dà
l’altrove. Con sollievo degli amanti della sua “compressione” espressiva,
suppongo. Volutamente piana in quanto l’unica adattabile alla vita comune, come
dicono. La vita comune degli inconvenienti quotidiani, comprese le termiti che
divorano la casa sotto i piedi al protagonista di Full of life. Senza alcunché di ironico. Gioverebbero loro: La Parte buia del giorno di Alison
Smith, Nel paese delle ultime cose di
Paul Auster, L’anguilla di Montale,
l’Orlando furioso di Ludovico
Ariosto, i tarocchi e la tartaruga di Achille ovvero il paradosso di Zenone
(soltanto come spunti), le biblioteche di Babele e le lotterie babilonesi di
Borges, il tutto corrispondente al punto in T
con 0 proprio di Calvino.
In sostanza - e infine - mi ancoro sull’Esattezza con un’immagine: la goccia scava la pietra
dall’alto al basso e dall’esterno all’interno. Sonda strati primordiali
arrivando a delle Colonne d’Ercole di continuo mobili. Microfrazione temporale
dopo microfrazione temporale. Mentre plasma cattedrali fantasmagoriche.
(continua)
Dallo Speciale Cultura di Voce Isontina dell'8 febbraio 2011.
Dallo Speciale Cultura di Voce Isontina dell'8 febbraio 2011.
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