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giovedì 21 marzo 2024

Cultura / Ad Alda Merini appassionatamente.


Nell'anniversario della sua nascita.


  Finché è stata in vita le ho dedicato lo spazio meraviglioso delle lezioni scolastiche che nascevano spontanee, con l’occasione di un pensiero, come pepite fulgide nella sabbia opaca della routine. Lei, Alda Merini, era una sorta di rigoglioso dono per chi, tra i miei alunni, l’amava e non si saziava mai di ascoltarne la voce. Dominatrice assoluta di menti e coscienze separava l’ovvio dall’essenziale attraverso una partecipazione visionaria all’essere. Proprio così penetrava il cuore del mondo, in un tripudio di tormento ed estasi, inebriandosi di quella vita - tanto allettante quanto lontana - negatale all’età di trentaquattro anni, quando fu ricoverata all’Ospedale psichiatrico Pini di Milano. Vi restò dal 1965 al 1972, con ritorni parziali in famiglia. Fino al 1979 perdurò il suo dramma di cadute e recuperi. Furono anni, quelli, naufragati nella palude dei diversi, in una delle tante “città dei matti” dell’Italia del tempo; trascorsi – almeno all’inizio - nell’inerzia della catatonia da sedazione, privi sì di nesso e di coscienza, ma anche, istintivamente, campati da ragna che tesse e ritesse paziente la sua tela più volte distrutta per scarti di mani impietose. Là infatti, nel Manicomio, grazie a una paradossale purificazione per mute violente e sottili metamorfosi, Alda Merini sarebbe riuscita a spogliarsi di tutto, nella consapevolezza che l’anonimato può salvare se si sublima in epica quotidiana di motivi intimi minimali dal raccordo pronto a svelarsi. Non appena un fluire di sillabe le avesse forzato le labbra.
Chi è poeta per destino sa che la sopravvivenza è legata all’oscuro ed esaltante numinoso che ti parla dentro: l’ispirazione divina. Cioè Dio. E non importa quale Dio. Può essere il Cristiano che trabocca in San Francesco, oppure il Pagano che apre la fonte della parola in Orfeo.
Il suo Vuoto d’amore, quel libro straordinario in cui scopriamo Il volume del canto e La Terra Santa, io lo portavo in tasca, come un viatico di viaggio, e lo materializzavo all’improvviso, facendolo balenare sotto gli occhi dei miei studenti in piccole performance emozionate. Il risultato? Ragazzi che leggevano liriche, le capivano, ne componevano a gara. Gratificante poi ritrovarsi l’opera e la poetica di Alda Merini come traccia per la prova orale dell’Esame di Stato.
Questo, il trascorso.
     Veniamo però al presente, ormai orfano di lei da quel primo di novembre 2009 in cui se n’è andata a possedere l’infinito; spingiamoci inoltre anche nel futuro.
Il presente: leggerla, cantarne il coraggio di dire, dialogare con lei in questo giorno di riflessione e ricordo come se ci fosse accanto.
Il futuro: continuare a raccontarla, tramandarne l’energia.
Attraverso la misura del suo canto.
(Da Voce Isontina / Speciale Cultura.)

Guarda il video di Poesia recitata che le ho dedicato.