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venerdì 28 aprile 2017

Critica / La CAGE Art di Eugenio Bernes.


Πάντα ῥεῖ.

Eugenio Bernes, Πάντα ῥεῖ, CAGE.
- 2013 -
Tutto scorre. Certo. Lo dice lo PseudoEraclito. Il Divenire la vince sempre sull’Essere. Almeno nella nostra dimensione mortale e al di là del fatto improbabile che, se un Λόγος ribelle, sotteso ai fenomeni effimeri, portasse la quiete in ogni punto, uguale a se stesso inalterabile indomabile, ci sarebbe una stasi per le forze che fagocitano materia su materia e la trasformano in altro da sé. In moto perpetuo. E ciò riciclando il substrato complesso in cui le varianti si assestano come tappe di sviluppo, dopo il primo impulso. Impulso d’artista naturalmente. Oppure divino. Estro generativo alla fin fine, dagli esiti sempre esteticamente straordinari perché la rielaborazione gestita dall’Intelligenza sovrana, che informa accordando, possiede una sapienza intrinseca assoluta.
Viene da chiedersi quali ne siano le caratteristiche. Solo intensive? Soltanto extensive? Entrambe assieme?
Se vale l’ultimo rovello, qui si parla di Dio.
Allora: la mano di questo Dio informatico sparge manciate di notizie, chi si apre al contatto raccoglie le più palesi, le analizza e ne rigetta alcune sulla scacchiera da sistemare. Per avviare il processo. Che diventa autonomo quando l'autore antropomorfo chiude la sua volontà e lascia il Libero Arbitrio al fermento intimo di ogni cosa in evoluzione germinativa di rimandi subliminali. Come il volto di giovane donna dell’opera in esame nato dalla mano protesa in alto a sinistra e predisposta a spargere i suoi trucchi sulla campitura di lavoro. 
La mano di Dio, dunque.
Tre sono, allora, le fasce dell’opera, interagenti l’una con l’altra in motivi sempre più complessi. Dall’assoluto dell’Alto, al comporsi del centro in occhi delicati e volto e collo morbidi da modella rinascimentale, al gioco quasi optical dell’angolo in basso a destra, dove gli sprazzi di sostanza colorata stanno ancora formando una progenie mutante. Mentre captano segnali di stili già vissuti, riformulandoli in calembour beffardo. Guai all’artista, infatti, che si esaurisca in una scuola o nella ripetizione di tecniche e moduli, sembra ammonire il Demiurgo Metaumano/Gran Burattinaio del procedimento in fieri. Il nostro hic et nunc deve affermarsi come preludio a una trascendenza in grado di percorrere i reticoli della comune gabbia digitale travalicandone le barriere.
Un po’ nella scia del Color Field newyorkese degli anni ’40 –‘50, soprattutto per il concetto del superamento dello spazio pittorico mediante un tendere geometrico/cromatico all’invasione delle zone cellulari. È la stessa forza di gravità a scagliare sul supporto grafico macchie liquide rapprese o colanti. Sono i tratti inconfondibili di Clyfford Still, Mark Rothko, Barnett Newman, Hans Hofmann, Gene Davis, Ronnie Landfield, Frank Stella e, soprattutto, di Sam Francis a portare testimonianza di superfici di intervento vaste, alias luoghi pittorici adatti a registrare i gesti d’artista iniziali come inscindibili dall’azione che li ha generati.
Una scorta buona, questa, che rende ragione del citazionismo multimediale in cui la C.A.G.E Art di Eugenio Bernes, giovane musicologo, musicista e informatico, si muove con agio.
E non c’è Leonardo da Vinci o Georges Braque che tenga: il fattore X è insito negli elementi. Il cacciatore più astuto (o più sensibile) lo coglie e del modo fa sistema.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
12 maggio 2013


Riflessioni durante un tramonto.

Eugenio Bernes, Riflessioni durante un tramonto, CAGE.
- 2013 -
Una fruttuosa in/evoluzione, questa dell'ultimo CAGE di Eugenio Bernes. Una sorta di voluto back to the future se si considera il ritorno al passato nel figurativismo che sottende all'opera e, in controcanto, il progresso verso una maggior personalizzazione. Ovvero: per la fase di partenza accantono il medium puramente tecnologico, lo confermo per l'amalgama dei momenti successivi, tuffandomi però con scienza e coscienza nelle "buone cose" antiche - di sicura matrice irongozzaniana - e recuperando, tramite le emozioni, la realtà effettuale. Uno straniamento con regresso, quindi, che dà i risultati ottimali della contenuta malinconia espressiva del soggetto. Ciò che colpisce di prim'acchito è la struttura generale del ritratto fatta delle linee morbide del busto da cui sboccia il volto di giovane donna assorta in visioni interiori che non ci è dato sapere. La geografia fisica risultante è articolata di pochi segni grafici alieni al gioco perverso del CAGE.
Nessun Dio informatico a porre limiti. 
Resta l'idea che abita l'autore, valgono la sua ispirazione e la forza del tratto graffito sulla carta. Tangibilmente graffito sulla carta. E poi avventurosamente elaborato con criteri di salvaguardia di ogni sembianza. Così, l'ovale inclinato del volto ripreso nel doppio dello scollo, l'intersecarsi lievemente a V delle braccia, la diagonale obliqua delle spalle, i capelli ricadenti a unire con le loro onde fluide mente e cuore, sono tutti dettagli di grande naturalezza. Scaturiti nella luce di un qualsiasi tramonto forse vissuto o, forse, solo immaginato. La situazione concreta non è rilevante. Conta la mano che si è mossa sotto l'estro di una folgorazione, conta quell'accennato sorriso enigmatico da Monna Lisa un po' estenuata che la potente fantasia enuclea, conta il balzo percettivo che si riappropria dell'originario suo ruolo demiurgico e infonde impulso alla creazione. 
La resa finale è un'altra storia. Racconta calibrature cromatiche, luminescenze tonali, ricerca di equilibrio iconico. Il tutto secondo formule di perfezionismo formale irrinunciabili per l'artista.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
21 settembre 2013


Kammermusik No.6.

Eugenio Bernes, Kammermusik No. 6, CAGE.
- 2013 -
È il tempo il tema di quest’opera. Non la musica. O meglio: apparentemente vi si svincola un motivo che è quello della composizione n° 6 di Paul Hindemith per viola d’amore – lo dice il titolo -, in verità però è la memoria pura di onde sonore eterne a scorrerla. Generate, queste ultime, dal gesto, e convergenti in risucchio metafisico verso il gorgo blu Klein all’apice del disegno cellulare. La materia si sta disciogliendo, vi permangono però ancora i simboli dell’attimo: gli occhi chiusi nell’intensità della prova, il cavigliere con i suoi piroli ben evidenti, le serpentine delle fiamme, il grafismo sottile dell’archetto. Niente di più. La C.A.G.E. Art ha cancellato il resto rendendo tutt’uno il fatto spirituale e il dato fisiologico. L’intima relazione dell’esecutrice con il Tutto si sta evolvendo, il passo successivo sarà la disintegrazione fluida di ogni tratto e l’espansione (o contrazione?) trascendente che restituisce qualsiasi concretezza alla coscienza universale. Per quanto la scritta in chiaro Sezessionstil tenti un argine a tale trasformazione, ponendo dall’esterno del fenomeno ormai iniziato ironici limiti a quanto è inevitabile.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte /
Eugenio Bernes14 ottobre 2013






Nemesis, ovvero la: una CAGE Art Evoluzione ricca di fermenti.

Eugenio Bernes, Nemesis, ovvero la, CAGE.
- 2013 -

Siamo nella fase ormai matura della CAGE Art di Eugenio Bernes. Sotto i giochi cellulari c'è la penna grafica che segna la carta virtuale di un'opera nata come contestazione.
Il suono è la base del disegno. Un suono che ti squassa dentro e conflagra. Un grido che deve terrorizzare chi si oppone prima dell'urto micidiale con inevitabile disintegrazione di qualsiasi materia. Un suono immane e inimmaginabile.
Così urlò Medea prima di uccidere i figli, consacrandosi agli dei della Notte.
Nel dipinto le storture del vivere vengono fagocitate da una bocca dilatata a dismisura, spalancata fino a diventare l'emblema del vuoto di razionalità in cui rotolerai consenziente. Il sangue si fa nastro che serpeggia entrando/uscendo da cavità tenebrose. L'azzurro non è un resto di cielo ma brandelli di carne putrefatta, il volto, pallido di furore, si contrae e allunga in dimensioni infinite.
Nulla può resistere a questa spinta esplosiva.
La scelta del soggetto, serialmente reso, segue la logica dell'amplificazione. Monta la rabbia nel cervello, preme sulle pareti del cranio come una corrosiva schiuma rossa, deflagra e non si disperde. Perché il Golem si è liberato e macina tutto nella sua corsa atroce.
Che gli automi cellulari lo assecondino, dunque. Nel moto perpetuo di cui si fanno perenni messaggeri. Se la mano dell'artista, pur pacata, deciderà di non fermarli affinché plasmino concretamente Nemesi e la sua legge assassina.
Amen.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte / Eugenio Bernes /
1 dicembre 2013

martedì 22 novembre 2016

Poesia / Percezioni (E le farfalle furono umane).



Altri mondi.
Irene Navarra, Percezioni / E le farfalle furono
umane
, Disegno grafico, 2012.












E le farfalle furono umane
creature dai pensieri freschi
come il tinnire di una foglia
per il gelo.
          Quassù! le richiamava
          un alito di bocca cristallina.

(Librarsi nel salto della corda e non
planare, il desiderio della mente pura.
Le mani dilatate in vele, le gambe fili lunghi
sempre più sottili, ma ancora attorcigliati 
tra le zolle che allignano furiose.)

Fino allo strappo d’aquilone e al volo.
Oh, se normale! Tanto lieve.
Niente pietrisco, inciampi, spine.
Solo il flottare trasparente
in crepe sciolte.


Da Percezioni, Definire per definirmi, 21 marzo 2012.


Due critiche che amo molto.

"Una bella cosa decisamente elegante e raffinata, mi fa venire in mente che l'esistenza è sempre un flusso, fenomeno in continua espansione,che provoca il senso dello stupore ed anche di un pochino di mistero...Assomiglia a dei dipinti sui temi delle forme primordiali del linguaggio creativo ...Nacquero in seno alle culture antiche e sono state poi parte integrante del loro processo evolutivo. La visione del mondo allora era ancestrale e profondamente connessa con le tante forze enigmatiche che agiscono nell'Esistenza. L’arte del dipingere - come la parola,ancora vergine, cioè inabusata - era sacra ed evocativa. In quel contesto non ancora mentale, la pittura come la scrittura, fu realtà dei Magi. In quanto sistema di tipo simbolico, capace di descrivere e di attivare le corrispondenze tra loro e il Microcosmo. Il patrimonio dei segni, infatti, esprimeva un preciso intendimento universale, e aveva anche una sicura valenza esoterica, compresa peraltro, e amministrata solo dalle caste primigenie, costituendo un vero tabù la cui violazione era severamente punita. Le più antiche pitture furono pertanto alfabeti iniziatici con i quali l'adepto poteva evocare le Potenze e ordinare il proprio mondo."

Erasmo Serretti

Vedo l'"iniziazione" nel quadro. E’ il "passaggio" della farfalla, l'essere metamorfico che sboccia e finalmente vola sotto lo sguardo degli Avi, degli Dei, degli Antichi disegnati in alto a sinistra: imprecise sagome aperte appena al nostro sguardo di comuni mortali.


sabato 11 aprile 2015

"L'arte di Roberto Faganel" in "Studi Goriziani / Presentazione dell'autrice, Irene Navarra.

Presso la Libreria Editrice LEG di Gorizia,
il giorno 9 aprile 2015, alle ore 18.00,
si è presentato il N° 107 di STUDI GORIZIANI,
la Rivista delle Biblioteca Statale Isontina.

Tra i relatori c'ero, orgogliosamente, anch'io. 

Per allietare l'uditorio ho introdotto il mio studio critico
"L'arte di Roberto Faganel"
con un video esplicativo della poetica del pittore.

Dalla mia "Presentazione":


" Il suo è un mondo fatto di luce.

La luce piove sulle cose, sulle creature, sugli elementi naturali,
suscitandone gradazioni incredibili.
La luce inonda il suo pensiero e lo guida alla ricerca
dell'impressione giusta, da narrare con il tratto giusto".




Qui potrai trovare notizie e foto sull'artista e sull'evento.

Cliccando qui, accederai agli scritti sulla sua poetica.



domenica 11 gennaio 2015

Irene Navarra, L'arte di Roberto Faganel (in STUDI GORIZIANI Vol. 107 - 2014).


È uscito il Vol. 107 - 2014 di STUDI GORIZIANI,
la Rivista della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia,
pubblicata sotto l'egida del Ministero dei Beni e
delle Attività Culturali e del Turismo.
Le pagine 177 - 187 sono dedicate al mio saggio
L'arte di Roberto Faganel / Omaggio nel cinquantenario dell'attività (1960 - 2010).
Le Annotazioni a margine dei dipinti
sono della critica e storica dell'arte Silvia Valenti.

I di copertina: 
Annibel Cunoldi Attems, Save, København,  Det Kongelige Bibliotek, 2009.
-  Installazione -

 





IV di copertina:
Mario De Biasi, Ritratto di Elio Vittorini,
in Elio Vittorini / Le opere narrative, Milano, Mondadori, 1974.
Sulla custodia del I volume (particolare).


domenica 27 luglio 2014

Arte / "Segni di...versi": una collettiva di pittura nel cenno della Distinzione.

Segni di...versi: una bellissima mostra che ho presentato nella Piazza d'armi del castello di Mesagne
il 27 luglio 2014.



Eccovi le mie Note critiche.

Nel cenno della Distinzione si apre questa collettiva, e il titolo ne rappresenta bene il significato con il richiamo ai Segni, iconici naturalmente, ma non solo, in quanto di…versi, ovvero insoliti, singolari, differenti, persino alieni o di spiritualità particolare. I sensi vi sono coinvolti in un percorso alla scoperta di molteplici dimensioni lungo il filo rosso della metafora, che è un varco attraverso cui comprendere. Comprendere l'arte con i suoi messaggi, in un viaggio talvolta itinerario mistico e incanto. Sì, incanto. Perché quando avviene il prodigio del capire, l’anima si acquieta in un ordine spazio-temporale avulso dai comuni criteri di misura e si abbandona a procedimenti più raffinati e complessi. Le seduzioni e i contrasti stilistici, la ricerca della complementarità segreta tra le cose sono le magie di chi crea; entrare empaticamente nel flusso di emozioni all’origine dell’opera è l’obiettivo naturale di chi vi si avvicina, da spettatore o da critico. Il tratto da recepire negli artisti di questa mostra è, pertanto, la necessità del rappresentare, liberando sui supporti preferiti le visioni che rampollano spontanee. Nei momenti in cui, cioè, l’essere consiste soltanto nel gesto che traduce l’idea. In un altalenare di sperimentazioni e ritorni a motivi rimeditati a tal punto da diventare nitidi altri da sé. Nel susseguirsi di nascite dalle plurime valenze, tra reticoli di linguaggi emblematici. La mostra, quindi, si fa messaggera di correlazioni nascoste nelle sfaccettature caleidoscopiche dell’universo. Il tutto all’insegna di un manifestare paradigmatico, come possibilità di avvertimento del reale in strutture metamorfiche aperte, per gamme svarianti da un’inquietudine astratta alla ripresa di figurativismi simbolici








Antonia Acri realizza opere che sono esito simbiotico di azioni razionali e spinte alogiche indotte da una tendenza alla trasfigurazione. Che è contenitore virtuale delle avventure storiche di chi ama violare soglie, non riconoscendo confini e limiti. Luogo elettivo dove lei sta a suo agio e accetta il canto delle sirene navigando, libera da legami, nelle proprie allegorie interiori, per affrancarle con limpido slancio.







I particolari di paesaggio di Laura di Vittorio esprimono la fisicità dei soggetti prescelti attraverso un gioco volumetrico di esaltazione dei valori plastici. Si attua qui una poetica di enucleazione del pieno, morbido peraltro e talvolta vagamente onirico, dalla superficie del cielo, da cui il pieno stesso sembra scaturire, con prospettiva quasi a zoom fotografico.













Francesca Fantasia propone ottiche dissimulanti e ambigue, travestimenti del quotidiano come matrici esemplari di continui sviluppi per il loro stesso sfuggente discrimine. Specchi di eventi amplificati a livello di coscienza. Dilatazioni. Al di là del limite. 













I dipinti di Vincenzo Gabellone assolutamente evocativi per giochi di sottile sfumato, e paradossalmente geometrizzanti talvolta a scomporre e comporre scenari in sovrapposizioni sapienti, lo dichiarano con chiarezza, questo procedere allusivo. Le nuance, poi, spesso fredde con lumeggiature speziate, sono la voce di una poesia interiore che canta in sordina, con armonia.











Anche Liliana Gatti, intuitiva nel coniugare accenni figurativi con masse nucleari essenziali, offre una lettura traslata del fenomenico, che l’ispirazione penetra per accostamenti sottili, decodificandone gli indizi. La sua ricerca si snoda lungo un cammino irto di bagliori che reinterpretano il reale in rimandi folgoranti e scoppi di colore. 







Un mondo dunque, quello rappresentato in Segni di…versi, ricco di plausibili tappe volte a mete sempre preziose. Per sottrarre al silenzio il miracolo di un personale istante di entusiasmo, e palesarlo grazie alle infinite gradazioni dell’immaginario artistico.
Sulla scorta di una sapiente Discrezione di cui riappropriarsi con stupore perenne.

 Irene Navarra, 27 luglio 2014