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lunedì 29 aprile 2024

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (24 - Miren - Il giardino delle Device).

 
Inizia per me un Viaggio dell'Anima,
intrapreso sulla scia di ricordi ancestrali.
Quelli di mia madre
e delle antenate da cui ereditò forza e consapevolezza.
Lungo le sponde del fiume Vipacco,
scopro con lei (di nuvola oramai) un luogo
in cui avvenne qualcosa di straordinario.
Tutto nella mia mente.
E nel suo cuore.

P_Irene Navarra, Il giardino delle Device, AIArt e GraphicArt, 24 Aprile 2024.

     
     Ripenso a mia madre.
     La vedo ragazzina intrepida, pronta a sperimentare nuove avventure in compagnia della sorella e dei due fratelli. 
     In questa Prosa d'Haibun è lei a parlare.
     Io, quindi, racconto per voce sua.
     Correva l'anno 1932.

     "Dietro l'ansa del Vipacco dopo il ponte, un muro di cinta.
     E oltre, il vasto podere delle Device, le Vergini: tre sorelle pie - devote al culto della Madonna Addolorata di Monte Grado - che lo curavano come fosse una creatura carissima e preziosa. Vi crescevano ortaggi opulenti e dei peri strepitosi. I loro frutti erano grandi un palmo di mano femminile, giallo-verdi di buccia, vaniglia nella polpa per colore e gusto. Pendevano numerosi dai rami, occhieggiando solari tra il fogliame. Un invito a noi, ragazzi selvaggi, che vivevamo di avventure, anche al limite del lecito.
     Ci attrezzammo con i grembiuli della mamma forniti di capacissime tasche, e c'immegemmo nell'acqua.
     Era davvero fredda, ma il sole di fine ottobre, così chiaro e ammiccante nella sua calma, ci avrebbe donato un po' di calore, una volta terminata la spedizione di raccolta e opportunamente cambiati con dei vestiti asciutti che avevamo nascosto a bella posta sotto un enorme cespuglio di biancospino.
     Nuotammo in silenzio fino alla riva opposta, fendendo la corrente piuttosto moderata in quel punto, ci inerpicammo tra le erbe ancora verdi, scalammo il muretto di laterizio e fummo sotto gli alberi rigogliosi. Dove, senza indugio, raccogliemmo più pere possibile, sistemandole nel grembiule ripiegato in vita e legato per gli angoli di fondo a bloccare il fragile contenuto, mentre si affrontava di nuovo il fiume.
     Tutto andò liscio finché non fummo a metà traversata.
     Là avvenne l'inesplicabile.
     Mulinelli, trazioni vertiginose, mani estranee che scioglievano - pur fluide - i nodi dei grembiuli. Le pere ci tumultuavano in grembo, fremevano, saltavano, ruotavano, tamburellavano sulle nostre pance finché si liberarono. Allora filarono via come navicelle veloci verso il giardino d'origine, in cui balzarono con gioiosi giri da trottola, sparendo dietro il muretto.
     Noi guardavamo in una sorta di trance galleggiante.
     Terrorizzati.
     Rigidi, esangui osammo muoverci solo di quel tanto che ci permise di tornare alla spiaggetta di partenza.
     Un laccio elettrico ci imbavagliava.
     In noi una nuova consapevolezza.

     Così tutto ricalcò le proprie orme a ritroso, e si riassestò al posto destinato.
     Finalmente, ci scuotemmo straniti, mentre la verità si faceva strada in noi: le tre sorelle, padrone del giardino dei peri, non erano Device nel senso attribuito a Maria Madre di Dio, né, tantomeno, pie.
     Erano streghe.
     Čarovnice della peggior specie.

     Là non ci tornammo più."

     (Da "Racconti d'infanzia / Le storie di Vida")


P_Irene Navarra, Oltre il Fiume, AIArt e GraphicArt, 24 Aprile 2024.


Tra Bene e Male
la cieca leggerezza.
Fanciulli fummo
aperti alla magia
dell'anima straniata.
#Tanka 100

venerdì 2 febbraio 2024

Poesia / Tanka: Incanto di Luna.

 
Notturno di Luna e neve.


P_Irene Navarra, Nel bosco incantato, AIArt e GraphicArt, 31 Gennaio 2024



Il bosco è vetro ~
la notte di Febbraio
emana luce
di Luna che gioisce ~
Malie d'un astro magico.
#Tanka 97

P_Irene Navarra, Incanto di Luna, AIArt e GraphicArt, 1 Febbraio 2024



venerdì 25 agosto 2023

Poesia / Cronaca: Se le emozioni.

 

Irene Navarra, Le rose 〰 Io, AI Olio, 24 Agosto 2023.


Se le emozioni mi prendono la pelle, il cuore,
ogni pensiero, allora spargo petali di rose
raccolti nel giardino.
Ricopro le mie vie di morbidi tappeti
a tinte rosa-rosso di corolle con le storie
che mi hanno vista nascere
e porto in me come un sigillo.
In ogni fiore un personaggio
con cui parlare di vacanze, libri, poesia.
Le rose sono amiche dal profumo genuino.
Non c'è una loro spina che non ami.
E non c'è foglia come carta ruvida
che io non legga nell'andirivieni
degli anni passati a contemplarle.
Incisi dentro il derma vegetale
i tocchi di chi mi ha preceduta.
La quotidiana cronaca del dare.
Sulla mia spalla impronte.
Visioni nella mente
di Incantatrici affaccendate
con il grembiule colmo di strumenti
adatti a costruire i sensi di quel mondo
dove so e voglio stare.



lunedì 21 agosto 2023

Prosa / Racconto breve: Henrietta e il drago,


Irene Navarra, Henrietta e il Drago, AI olio su tela, 18 Agosto 2023.


    Vestita di un abito color cannella che le lasciava scoperte le spalle, i lunghi capelli tanto biondi da sembrare bianchi raccolti in una crocchia scomposta sulla nuca, la giovane Henrietta camminava spedita. Il crepuscolo settembrino aveva rinfrescato l’aria e lei voleva arrivare a casa in fretta. Sulla via del ritorno, tuttavia, l’attendeva un imprevisto. Proprio in mezzo al tratturo che si snodava tra i campi e arrivava al cancello di servizio del suo giardino, al centro preciso di una modesta curva a gomito, c'era qualcosa di strano.
    Una forma quasi di piccolo dinosauro con una cresta sul dorso, due miniali aperte sui fianchi e una lunga coda, se ne stava in una fessura del sentiero.
    Henrietta si fermò un pochino interdetta, si stropicciò gli occhi e guardò cercando una messa a fuoco migliore.
    Forse era un'allucinazione. Guardò, quindi, aspettandosi il nulla di sempre.
    E tuttavia la forma era là.
    Sussultava a tratti. Come se respirasse a fatica.
    Che fare?
    Decise di avvicinarsi.
    Avanzò piano, fermandosi a circa mezzo metro da quello che ormai si poteva definire un animale.
    Immerso in una specie di catalessi, a tratti bubbolava. Ovvero buttava fuori l'aria dalle narici in scoppiettii ripetuti.
    Sembrava un incantevole, minuscolo drago bianco. Bianco tutto il corpo, la coda, le creste della testa e del dorso. Le ali e le zampe, invece, viravano in vaniglia caldo.
    Un drago. Uscito da un libro di favole. Divenuto realtà per qualche caso astruso.
    Uno spettacolo incredibile, però.
    Nessuna paura la agitò. Anzi un'intensa ridda di emozioni le si scatenò nell'intimo. Per qualche oscura ragione riusciva a cogliere la fragilità di quella creatura singolare.
    Si inginocchiò, pertanto, accanto alla buca, posò lo zainetto a terra togliendoselo dalle spalle, lo aprì con calma e ne estrasse una sciarpa azzurro cielo di morbidissimo chiffon.
    Sarebbe stata la culla di fortuna per depositarvi il piccolo drago.
    Lui si lasciò prendere senza reagire. Aprì gli occhi, scrutò per un attimo Henrietta con pupille verdissime - due perle smeraldine velate di tristezza - e si rincantucciò tra le sue mani amorevoli, accomodandosi nella sciarpa azzurro cielo che lei rimboccò attorno al buffo muso.
    Poi si addormentò. Profondamente al punto da sembrare esanime.
    Henrietta, però, sapeva con chiarezza che lui viveva, dato che il corpicino iniziava a scaldarsi e il petto andava su e giù, con ritmo regolare.
    Che incontro! realizzò allora Henrietta.
    E corse verso casa.

    Percy intanto sognava quanto gli stava accadendo. Come in un film. A un certo punto si accorse di trovarsi in una cuccia grande e confortevole, accanto a un letto dove riposava la sua salvatrice, emettendo ogni tanto dei lievi sospiri. Di soddisfazione, pensò. Per averlo trovato. Felice dell'ipotesi, si girò sull'altro fianco e continuò a nannare.
    Non stava così bene da molto.
    Aveva vagato e vagato. Una meta c'era, di sicuro. Ma non sapeva in quale luogo.
    Finché non era arrivato alla rustica stradina di terra rossa serpeggiante tra i campi. Là avrebbe avuto inizio la sua vera avventura. In qualche modo sarebbe successo. Lo aveva capito nel suo cuore di drago buono.
    E avveniva per davvero.
    Protetto dai teneri sentimenti di Henrietta, Percy si avviava al termine prefissato per ogni essere della stirpe dei draghi bianchi. Quelli cioè che avevano compiti segreti e delicati da svolgere, e non si trasformavano mai in sputafiamme, pur se impauriti o attaccati.

    Dopo un tempo che Percy non poteva valutare (ore, giorni?), Henrietta gli sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre lui ancora planava tra nuvole e fiori, ornandosi le creste di gelsomini nel lungo dormiveglia ristoratore. Aguzzò i suoi ipersensi e udì che gli comunicava una notizia fantastica: Ti chiamerò Percy, bisbigliava accarezzandogli la punta del naso, il diminutivo di Percival. Come lui anche tu hai percorso strade infinite, lo sento. Qui c'è il tuo Graal. Quando ti sveglierai, brinderemo insieme, con latte e succo di lamponi.
    Percy sognò che lei lo battezzava solennemente con quello che era il suo nome sin dalla nascita. Gli faceva cadere alcune gocce di latte sulla testa, scandendo le parole: Tu sei Percy.
    Henrietta lo aveva intuito.
    E ciò significava una cosa sola: lei era la sua meta.
    Dopo questo pensiero, il sonno ritornò pesante e beato.
    E lui fu solo una minuscola anima fluttuante.

    Colma di gioia per l’incontro inaspettato Henrietta parlava di Percy a tutti, ma nessuno le dava credito perché nessuno lo percepiva o vedeva. Non si accorgevano della sua esistenza.
    Credevano che la ragazza fosse lievemente disturbata e non la contrastavano.
    Henrietta chiacchierava con Percy e gli raccontava il suo disagio. Lui ribatteva-spiegava-rintuzzava-assentiva-dissentiva, cercava di consolarla, rappresentandole la poca importanza del fatto che nessun famigliare o amico volesse darle fiducia e partecipare ai loro dialoghi. 
Lei se ne lamentava, mentre banchettavano a pane e miele e bevevano latte con succo di lamponi.
    Chiedeva che distorsione fosse quella.
    Percy viveva in una dimensione parallela visibile solo a lei?
    Lui rispondeva paziente e la invitava alla gentilezza e allo stare di animo sereno.
    Li aspettava un futuro ricco di vicende fascinose. Non doveva crucciarsi. Lei era Sole, Luna, Stelle. Brillava di una Luce abbagliante. Lui era nel suo destino. Questo bastava.

    Destino che, intanto si andava preparando, nonostante le saltuarie ubbie, comunque solo momentanee. Duravano i dieci secondi della preghiera recitata ritualmente in coro quando dovevano esorcizzare qualcosa di brutto, tipo ingiurie e atteggiamenti maligni.
    Per il resto Henrietta e Percy gravitavano in una dimensione perfetta.
    Lei imparava da lui il linguaggio dei draghi: una serie di gorgheggi modulati che erano la chiave per comunicare con i fiori.
    Lui acquisiva da lei le tecniche migliori per arrampicarsi sulle querce e da quelle postazioni privilegiate guardare l'orizzonte, immaginando di arrivarci in volo.
    Percy ascoltava con espressione compunta, nascondendo l'innata dote magica del teletrasporto per sé e per gli amici. Non ne abusava mai. La formazione severa, che gli era stata impartita, si basava sul principio della riservatezza. Che non aveva mai, proprio mai, travalicato.
    Ora era arrivato il momento.
    A voce ferma scandì a Henrietta l'ordine di chudere gli occhi e di contare per tre volte tre.
    Dopo avrebbe potuto riaprirli.
    Lei obbedì d'istinto e seguì le indicazioni.
    Dunque: nel preciso istante in cui le palpebre le si dischiusero, immediatamente comprese quanto era successo e atteggiò la bocca in un oh di stupore. Sedeva, con Percy allato, tra i rami del gigantesco cedro cresciuto sulla collina blu-viola che prima era stata il loro orizzonte.
    Il ritorno sulla quercia fu altrettanto veloce e prodigioso.
    Da quell'esperienza Henrietta non stressò più Percy con lagne inutili. Accettò il suo miracolo e si godette lo scorrere delle stagioni.
    L'Autunno, l'Inverno, La Primavera e l'Estate successivi al loro incontro divennero gli stupendi scenari in cui ambientare la quotidianità, balzando di esplorazione in esplorazione.

    Una notte, prima di addormentarsi nella sua cuccia (si era agli inizi di Settembre), Percy disse a Henrietta che la mattina, al risveglio, sarebbe iniziato quell'itinerario favoloso che il Tempo tesseva per loro.
    Henrietta non capì del tutto, ma si fidava.
    Biascicò e scivolò nelle visioni di ogni notte, con cani, gatti, merli... e Percy. Sapere di un domani con lui, il suo Percy bianco-vaniglia, era già un motivo valido per dormire saporitamente.

    Henrietta e Percy si alzarono all'unisono portati da uno stesso desiderio: uscire alla chetichella per scorrazzare nelle campagne selvagge attorno a casa, scendendo fino al fiume, magari. Fecero la solita colazione di pane con miele, latte con succo di lamponi e presero il viottolo che li avrebbe portati alla calma libertà di quei luoghi deliziosi, dove si erano imbattuti a vicenda.
    Saltellavano, si spingevano, cantavano motivetti d'invenzione. Percy aveva una voce da tenore bella e melodiosa. Chi mai l'avrebbe sospettato in un draghetto bianco e vaniglia! Henrietta intonava il tema di fondo e suonava un immaginario violino, la cui musica si generava magicamente.
    Ah, l'intelligenza dell'universo! Quanto era potente! Nessun software ultratecnologico sarebbe riuscito a eguagliarla. Neanche un briciolo di meraviglia in loro per la sinergia che sembrava scaturire dagli alberi, dal cielo, dal Creato tutto. Erano parte di un prodigio dalla consistenza talmente reale da non dubitarne.
    Scherzando e ridendo, quindi, arrivarono al fiume, alle sue acque turchesi, alle robinie, ai rovi, ai cespugli di vitalba e caprifoglio, ai pioppi e ai salici rigogliosi tra i cui fusti inscenarono lieti giochi innocenti.
    Armonie di una gita in piena letizia.
    Grazia pura.
    Finché non avvertirono un guaire flebile.
    Si precipitarono, Henrietta e Percy, verso il luogo da cui sembrava arrivare il richiamo e giunsero con il fiato corto a una piccola ansa riparata da degli imponenti massi disposti in semicerchio attorno all'acqua a formare un primitivo tempio naturale. E là, in un'erosione profonda della pietra di centro videro un cane riverso nel fango. Sembrava un Setter. Uno dei numerosi spesso abbandonati dai cacciatori. Lo raggiunsero e, mentre Henrietta lo esaminava per vedere se avesse qualche frattura, scoprendolo maschio, Percy le posò il muso sulla schiena e le disse: Te l'avevo preannunciato che questa sarebbe stata una giornata speciale. Ecco, lui sarà il tuo compagno per molti anni e io vi scorterò con il cuore. Ho svolto il mio compito. Entro breve non mi vedrai più. Ma non per questo non sarò accanto a voi. Sono un'infinitesima parte dell'anima che fa vivere l'universo. Io sono voi e voi siete me. Addio, amica cara. Adesso posso tornare in pace al mondo mio d'origine.
    E sparì.
    Con le guance inondate di lacrime e una sofferenza atroce che la lacerava, Henrietta raccolse l'infelice vittima della crudeltà umana e filò rapida verso casa. Percy era al suo fianco, lo sapeva, e la confortava la convinzione che non fosse scomparso completamente.
    La sua dolcezza restava e la aiutava a concentrarsi sul necessario da compiere.
    Quando arrivò nella cucina, rifocillò il cane con del latte e del pane spalmato di miele, poi lo ripulì alla bell'e meglio e lo depose nella cuccia che era stata di Percy. Solo allora lui, il suo strappato a una morte certa, le volse lo sguardo.
    Aveva occhi tondi e verdissimi.
    Due perle smeraldine velate di tristezza.
    Tondi e verdissimi.
    Henrietta gli appoggiò una mano sulla pancia e continuò a piangere.
    Ma non di dolore.
    Di gratitudine.

20 Agosto 2023
Irene Navarra


martedì 8 agosto 2023

Poesia / Presso il gorgo (Piccola Ode all'Isonzo): Frammento lirico di Guglielmo Jug.

 

La magnifica risposta dell'amico d'infanzia Guglielmo Jug ai miei Frammenti 68 e 69,
dedicati al fiume Isonzo.
Noi cantiamo le linfe della nostra fanciullezza
che scaturiscono intatte dalla magia della memoria spontanea.
Marcel Proust ne sarebbe orgoglioso.

Nasce una simpatica Tenzone, dunque.
Sia la benvenuta, se la spiritualità è tanto profonda da scandagliare, liricamente,
i "più reconditi ricordi".


Irene Navarra, Il gorgo, AI Olio su tela, 8 Agosto 2023.


Un effemerottero.
Ai lati di un piccolo gorgo
sfida la vorace marmorata,
ultima testimone del fiume
che risale verde e trasparente
dai miei più reconditi ricordi.


martedì 18 luglio 2023

Prosa / 145474: Io ortica? Racconto breve di Silvia Valenti.

 

Irene Navarra, Io ortica, AI e Grafica, 3 Luglio 2023.
    


    L’ortica è dimessa.
    L’ortica è oblio.
    L’ortica è il pensiero che fluisce tra muri dimenticati.
    La intuisci infida ma sai che le sue spine fastidiose stanno al suo verde meraviglia come il sole all’estate.
    Nasce in famiglie più o meno numerose e si moltiplica conquistando l’ombra e rubando spazio vitale.
    Si nasconde facendo capolino dal mio glicine. Lui dolce e tintinnante, lei dimessa ma infida. Infida e perfida come la peggiore delle donne. Si coalizza e infesta. Non bastano pani e risotti conditi con le sue foglie perfide per sterminarla. Ha messo radici anche nel mio cuore di bambina che leggeva I cigni selvatici di Hans Christian Andersen. Amavo la principessa che liberava i suoi fratelli tessendo per loro undici tuniche d’ortica.
    Credevo che il dolore delle donne fosse muto.
    La mia ortica svetta spavalda da sotto il mio glicine.
    Non la colgo più.
    Mi inquieta.
    La preferisco quando occhieggia dietro l’angolo di un rudere, fa capolino dal fosso dove le anatre si rinfrescano, quando resiste alla calura estiva e PERDURA.
    Beh, io non sono come l’ortica.
    Peccato.

martedì 4 luglio 2023

Poesia / Tanka 69: Fata Ortica.


Scrivendo di Donne-Ortica si può incappare in straordinarie creature.

Irene Navarra, Fata Ortica, AI e Grafica, 4 Luglio 2023.

  

Capelli d'erbe
morbide come muschio.
Occhi di lago.
Fata - Pungente Ortica
che non si fa toccare.

IQ48

mercoledì 28 giugno 2023

Poesia / 145474: Il raccoglitore di nuvole. Lirica di Riccardo Bortolami.

 


Irene Navarra, Il raccoglitore di nuvole, AI e Grafica, 26 Giugno 2023.

 
Nel vasto cielo solcano il mio sguardo
le nuvole danzanti.
Come sogni impalpabili, volano lontane
e nel loro volo, incantano le pianure.
Ma io, umile custode di tanta bellezza,
mi ergo tra le montagne, con l'anima in preghiera.
Un raccoglitore di nuvole, il mio compito assegnato
ad ammirarle e proteggerle.
Le nuvole sorridono, mi sussurra il vento,
si affidano a me, nel loro cammino lento.
Con delicati gesti, le catturo tra le mani
e le custodisco, come tesori.
Le nuvole mi parlano, in segreti silenti.
Mi raccontano storie di terre senza confini,
di amori infiniti e di sogni mai espressi,
di tristezze nascoste e di giorni mai vissuti.
Raccolgo le nuvole, nella mia rete,
le stringo al petto, tra cuori e riflessi sottili.
Le porto con me, nel mio cammino incerto
tra monti e valli, sempre l'animo aperto.
E quando il sole sorge, le nuvole sciolgo,
le lascio libere, nel cielo che ne vuole
perché anche le nuvole, come noi, hanno un destino
di danzare e scomparire, in un'eterna mutazione.
Così, io, raccoglitore di nuvole senza fine,
continuo il mio viaggio, tra cieli e confini,
inseguendo la bellezza che sfugge al mio sguardo,
e custodendo nei cuori l'arte del raccoglitore di nuvole.

Per leggere altri scritti di Riccardo Bortolami, si seguano i seguenti link:

 

mercoledì 21 giugno 2023

Poesia / 145474: Per il Solstizio d'Estate - Il rito. Lirica di Riccardo Bortolami.

  

∞∞ 21 Giugno 2023, ore 16.57 ∞∞
Benenuta Estate.


Irene Navarra, Rito, AI e Grafica, 21 Giugno 2023.


Stamattina mi sono alzato,
ho osservato quei barattoli di vetro chiamarmi.
I barattoli degli oli essenziali.
Li ho presi tra le mani, ho acceso una candela,
e ho unito tutto con un gesto gentile.
Olio di arancia per la rinascita,
sale per protezione, fiori per la vita,
in un incantesimo di speranza, intrecciati,
una poesia di magia sussurrata.
Nel cuore della miscela risiede il potere,
un'essenza che nutre l'anima e concede
nuovi inizi, sicurezza e guarigione.
Così il mio rituale prende forma
e la poesia si tramuta in dolce prodigio,
mentre l'anima sorride nella sua armonia.

 

Irene Navarra, I Fiori dell'Estate, AI e Grafica, 21 Giugno 2023.


Prosa / 145474: Per il Solstizio d'Estate - Litha. Racconto di Silvia Valenti.

 

∞∞ 21 Giugno 2023, ore 16.57 ∞∞
Benenuta Estate.

Irene Navarra, Le Fate di Litha, AI e Grafica, 21 Giugno 2023.
  
  

    Mio figlio da piccino vedeva le Fate.
    Seduto a gambe incrociate sulla grande catasta di legna, sembrava entrasse in uno stato di trance.
    Ascoltava le voci tra i due mondi immerso in uno spiraglio di luce.
    Io sento il fremito di vita nella corteccia degli alberi.
    Parlano.
    Intravedo sorrisi sornioni sotto le felci e l’acqua impetuosa dei torrenti mi svela immagini dimenticate.
    Il corpo del mondo si rinnova.


Irene Navarra, La Fata di Ric, AI e Grafica, 21 Giugno 2023.


lunedì 19 giugno 2023

Poesia / Tanka 58: La Violinista slava.


La incontrai in una festa di paese.
Sembrava uscita da un quadro di Chagall.
Sì. E suonava meravigliosamente.
Con le dita, con il cuore, con la bocca.
A occhi chiusi.

Irene Navarra, La Violinista, AI e Grafica, 17 Giugno 2023.


Si ricordava
delle musiche di casa -
Chiudeva gli occhi
e poi improvvisava -
Musica klezmer slava.
#Tanka 58

IQ48

venerdì 2 giugno 2023

Prosa / Racconto breve: L'orto di Elena.


Per un'Amica che compie gli anni.
Lo spunto me l'ha dato lei con le sue passioni.
Alcune le ha trasmesse anche a me.
Tra queste: la meditazione.
E non finirò mai di ringraziarla per avermi indotto a impararne le tecniche di base.
Nel racconto troverete degli eventi, naturalmente.
Alcuni ci accompagnano lungo strade già battute dal personaggio di cui si fa la storia.
Altri sono di pura fantasia.
siate gentili e perdonate le intemperanze.
Ciò che conta, comunque, è sempre e solo la magia

A Elena Arcese, con affetto.
Nostalgicamente.


Irene Navarra, La Suora orticoltrice, AI e Grafica 2 Giugno 2023.

     Ha nelle mani a coppa una manciatina di semi di prezzemolo. Li guarda, Elena, con affetto. Sono della generazione dell'anno prima. Una buona generazione che aveva dato risultati eccellenti. Tenendoli con delicatezza osserva le zucchine che sprizzano bontà solo alla vista, vestite come sono di un verde chiaro con il cappellino dei fiori arancio. Le Pallide, le chiama Elena o Le mie Predilette per la generosa dolcezza e la morbida grana.
    Trasferisce i semi da una mano all'altra, stando attenta a non perderne nemmeno uno, e si volge ai pomodori già così turgidi da far presentire saporose insalate e salse e complementi ghiotti di melanzane e peperoni.
    Quando entra nell'orto, avverte un piacevole senso di vertigine e arrivano le voci. Gli ortaggi e i frutti le parlano in fruscii, schiocchi secchi, sospiri, gocce di miele lasciate cadere al suo indaffarato andirivieni. I fichi lo fanno. Le regalano la loro dolcezza appena lei è in giro.
    C'è dialogo tra di loro.
    Elena ne sa il motivo. Tutte le piante dell'orto le aveva portate lei in una sorta di dote al Convento in cui era entrata poco più che adolescente. Erano patrimonio atavico della sua famiglia di tradizioni contadine, e lei sin dall’infanzia le trattava da congiunte carissime. A cui confidava gioie e dolori, traendo conforto dal loro appesantire bacche quando facevano piegare i racemi in segno compiacente di ascolto, oppure annuivano con le chiome. In questo era specialista il basilico: dimenava le foglie per spargere nell'aria il suo odore speziato e consentire con l'interlocutore.
    Con lei, almeno.
    E questo allora, e ora che ha oramai un’età davvero adulta.
    Sospetta, però, che spesso non siano uniformi nel comportamento. Il basilico si mostra fiero del suo temperamento regale e, se qualcuno non gli va a genio, rende amare le foglie al momento della raccolta e rovina l'intingolo a cui viene aggiunto. Fatto risaputo, peraltro, dalle consorelle. Il pesto, in effetti, può comporlo solo lei, per ordine della Superiora, e risulta essere, a detta di tutti, un capolavoro di avvolgente, squisita, inebriante cremosità.
    Che le Suore invasano e vendono.
    I semi ancora nel tiepido calore dei suoi palmi irruviditi dalla terra, Elena si accinge a preparare il suolo per porli a dimora. Li depone in un cartoccio di carta da zucchero, appoggia con attenzione il cartoccio a terra e si mette a zappettare rapida, a scavare i rituali ricoveri in file ordinate e infine a sistemare i semi nelle loro stanzette di germinazione. Poi bagna la sezione d'orto appena lavorata, ammira le lattughe vicine dalle forme tanto prosperose da essere degne di un dipinto di Botero, i cetrioli che si arrampicano scomposti e belli da morire per i frutti pendenti e i fiori giallo sole.
    Con gli occhi pieni di bellezza Elena si siede sulla panca di legno che è il suo trono personale. Una volta accomodata, si toglie il velo, si ravvia i capelli con le dita e offre il volto al cielo. Da lassù, Maria la Semplice le sorride.
    Che meraviglia sentire il calore del Sole sulla pelle!
    Oh, mio infinito e buon Signore! esclama spontaneamente con le parole di Sant'Agostino. In un ringraziamento di umiltà profonda, di riconoscimento dell'incommensurabile potenza divina.
   Con la sacra formula, ripetuta in dolcissimo mormorio, comincia la parte spirituale del tempo dedicato all'orticoltura.
    È il momento della Meditazione cromatica. Ogni volta la tinta o la sfumatura prescelta risultano diverse. Oggi tocca al rosso-rosa dei pomodori Cuore di bue. Ne spicca uno dalla pianta, se lo porta al viso e ne inala l’essenza pungente. Adora il profumo di quelle creature paffute con l’ombelico in evidenza. Se ne sarebbe estratta la base per una colonia, stabilisce ridendo.
    E il buonumore le permette di rilassare il corpo, pulendo la mente. Appoggia, quindi, le mani l'una dentro l'altra e si fa scintilla nel vuoto, al seguito di una scia rosso-rosa e di una fragranza verde e matura assieme.
    Le piante in silenzio perfetto, armonizzano accordi con Elena che sta veleggiando in una dimensione dischiusa solo alla natura incontaminata.
    Lei è ormai un palloncino cui hanno tagliato il filo di ancoraggio. Si libra lieve tra fave novelle e piante aromatiche in fertili, pastosi cespugli che espandono effluvi stordenti.
    Vola, vola Elena, finché la scuote brutalmente una sgradevole voce in richiamo dalle cucine della Comunità: Elena ma che cavolo fai? Ti sei persa, anima sciocca che non sei altro? Porta la verdura. È quasi ora di pranzo.
    I toni sguaiati della cuoca! bisbiglia Elena, tra sé e sé mentre, faticosamente, si alza, raccoglie il cesto ricolmo di ogni ben di Dio e si affretta verso le cucine imboccando la porticina che dall'orto conduce alla zona dei servizi, e immettendosi nel passaggio cieco che è itinerario obbligato per le cucine.
    Si orienta a stento nel corridoio senza luce alcuna. Con un senso d'oppressione.

    In quella specie di cunicolo mal areato le succede qualcosa. Questa volta una mano invisibile le si poggia sulla gola e stringe fino a farle male.
    Ali ai piedi come rimedio, è una formula magica che può andare bene.
    Ma non sempre.
    Oggi no.
    Le cose stanno diversamente, oggi.
    Il respiro viene meno.
    Tanto da perdere quasi i sensi.
    Si appoggia al muro e scivola a terra mentre dal cesto cadono fave e piselli, zucchine, pomodori e lattughe. Un manipolo vegetale che sembra schierarsi in formazione di difesa attorno al suo corpo. Così lei crede in un barlume di semilucidità.
    Poi si lascia andare.
    Con i sovrasensi, rafforzati dalla meditazione, trova una dimensione chiara che le ridona l’aria.
    E ricorda l'infanzia.
    Vede la casa di nascita immersa nel verde rigoglioso della campagna laziale, gli spazi immensi in cui scorazza libera, cavalcando a pelo il suo amato baio di nome Barone. Riprova l’ebbrezza delle esplorazioni scandite dagli zoccoli dell’amico lungo le sponde selvagge del fiume Liri, dove nuotare, tuffarsi e giocare con fratelli e amici era una splendida routine, fragrante come il pane appena sfornato.
    Nelle narici il sentore fresco dell’acqua corrente, nei polpastrelli il contatto vitale con il suo cavallo, ricomincia adagio a respirare. Piena di quel senso sconfinato di devozione che l'aveva unita alla natura sin dalla nascita. Tutti l'avevano notato: in giardino sorrideva,  al chiuso piangeva. Cani, gatti, creature alate erano compagni abituali e s'intendevano a vicenda. Il piacere dello stare insieme brillava. Lei sapeva amare con trasporto il mondo circostante; cose, animali, uomini le entravano nel cuore e vi si insediavano gioiosi.
    Ricambiandola.
    Anche il Signore, lo amava allo stesso modo.
    Infinito. Totalizzante.
    Lui era il Creatore dell'Universo intero.
    Con Lui sarebbe stata felice.

    Elena si riprende a poco a poco. Si trova a terra, capisce che le è successo di nuovo. Il salto temporale la sfinisce fisicamente ogni volta, ma ora sa. Ricompatta i ranghi delle verdure, le ricolloca nel cesto con cura e le porta in cucina affidandole, a malincuore, alla cuoca, torna sui suoi passi e nell'orto, dove accarezza le piante, sussurrando parole dolci.
    Non ne dimentica una, delle sue protette.
    Si dirige, poi, verso il muro di cinta in cui c'è un cancelletto di ferro affacciato su una stradina rustica che volge al mare.
    Non lontano c'è il mare, si ripete mentre il cuore accelera i battiti e i piedi vanno veloci. Il luccicare delle onde all'orizzonte la chiama.
    Risponde correndo.
    E arriva.
    Si toglie i sandali, si siede sulla sabbia e inizia a decidere della sua vita.
    Dei semi non si fa problemi.
    La seguiranno sulle ali del vento dovunque voglia andare.
    Liberamente.
    Il buon sangue vegetale non mente.
    Questo ha ricordato alle piante in un saluto soffocato, allontanandosi dal Monastero.

    1 - 2 Giugno 2023

Irene Navarra