P_Irene Navarra, Dall'alto, AIArt, 23 Giugno 2024. |
Il vento dell'altezza tra i capelli,
- nel corpo ancora la fatica dell'ascesa -
resto appoggiata all'ultima parete
prima della cima.
Guardo davanti a me l'infinità del cielo
e la sfera luminosa di Fratello Sole
che si sta infilando nell'Azzurro.
Sono arrivata qui dopo tanta strada.
Lei si snodava a tratti di serpente.
Io la seguivo.
Abbandonata alla mia queste
da cavaliere errante,
sapevo solo il sentimento dell'andare.
Lungo il cammino il sangue si purificava,
- occhi di luce nell'aria trasparente -.
Io volavo.
Ora riposo.
Ho bevuto lungamente a fonti alpestri,
ho mangiato la frutta acerba delle pietre,
guarito le ferite con lavanda ed elicriso.
Una rinascita essenziale armonizza la sostanza.
Dalla mia vetta presa palmo a palmo
- immersa in silenzi primordiali,
profondamente chiusa in quiete sovrumana -
ammirerò il lontanante articolarsi del mio fiume.
Tutt'una con il Creatore.
A proposito della nobile parola queste, cito l'inizio dell'articolo di Goffredo Fofi: "Agli Autori contemporanei manca il gusto del Graal", pubblicato in Avvenire Rubriche il 30 Luglio 2020. È una lettura adatta illustrarne il significato.
"C'è una parola che è scomparsa dal linguaggio dei critici e forse anche di tanti storici della letteratura, meno i mediovalisti, e che si direbbe che nessun giovane scrittore e nessuna giovane scrittrice o di mezza età abbiano mai sentito nominare (con l'eccezione, credo, di Aldo Nove...). È la parola quête (o queste), che in italiano veniva tradotta ricerca o cerca. La quête era la ricerca del Santo Graal, era l'inquietudine che muoveva gli eroi del ciclo arturiano i Perceval e i Lancelot e i Tristano, ma anche a volte le loro dame, su fino ai paladini del Tasso e dell'Ariosto e ai Guerin Meschino della letteratura europea di colportage."
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