Visualizzazione post con etichetta #IreneNavarra. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #IreneNavarra. Mostra tutti i post

sabato 23 dicembre 2023

Poesia / La terra, la visione: La Bora mi sorprende con un mugghio - Burja me preseneti s tuljenjem.



L'immagine è stata generata con SDXL, sulla base di un prompt dettagliato e di un'originale descrizione dedicata alla mia terra.
P_Irene Navarra, La Bora mi sorprende con un mugghio, AIArt e GraPhicArt, 23 Dicembre 2023.

 

La bora mi sorprende con un mugghio
aritmico dalla dolina di Čepovan.
E ringhia anche. Incalza il mio stupore.
Si veste da guerriera barbara.
Fregi sul volto: ocra rossastra e fango,
impiastricciato fieno paglierino.

Mi siedo sotto un gelso monco.
Davanti a me tintinnano le vigne
di metallo. Come sistri.
Streghe al galoppo
fiaccano cirri viola.
Le loro mani-sferza
schiaffeggiano, frastornano.

Assorda l’urlo arrotolato
nell’imbuto del sentiero.
Fra poco mi raggiungerà.
Apro lo zip lungo la gola.
Allargo i lembi del maglione
fino al cuore. Voglio che mi perfori.

လလလလလလလလလလ

Burja me preseneti z neritmičnim
tuljenjem iz čepovanske doline.
In tudi renči. Podžiga moje začudenje.
Obleče se v barbarsko vojščakinjo.
Na obličju okrasni trakovi: okrasto rdečkasti
in blato, razmazano slamnatorumeno seno.

Usedem se pod okrnelo murvo.
Pred menoj kovinsko zvončkljajo
vinogradi. Kot sistrumi.
Čarovnice v galopu
utrujajo vijoličaste oblake.
Njihove roke kot biči
klofutajo, begajo, zmedejo.

Zavijajoče tuljenje oglušuje
v lijaku steze.
Kmalu me bo doseglo.
Odpnem zadrgo vzdolž grla.
Razširim krajce puloverja
do srca. Hočem, da me prebode.

Qui se vuoi saperne di più su La terra, la visione (Gorizia e dintorni tra realtà e sogno).
Le magistrali traduzioni sono di Jolka Milič (Grande ufficiale dell'Ordine della Stella della solidarietà italiana concessa dal Presidente della Repubblica Ciampi nel 2005).
L'Introduzione è stata curata da Silvia Valenti, critico d'arte e orafa. Qui la sua Presentazione del libro.


sabato 12 agosto 2023

Prosa e Poesia / 145474: Vita della mia vita. Racconto di Irene Navarra.

  

Questo Racconto breve è nato da una suggestione musicale.
L'amica Michela Cuschie, pianista e interprete eccellente, mi ha fatto ascoltare "Sapere di esistere"
di Licio Venizio Bregant, un compositore locale di grande sensibilità.
L'emozione è stata travolgente.
La necessità di esprimerla in parole e immagini, immediata.


Irene Navarra, Le rose rosa, AI Olio su tela, 12 Agosto 2023.


Piccolo Poema in prosa alla maniera di Charles Baudelaire.

    Vita mi viene incontro.
    A passo di danza lenta.
    Ha tra le braccia un fascio di rose rosa tenue.
    Non me le porge.

    Spero lo faccia, ma no.
    Se le porta al seno, come per proteggerle, e si ferma, discosta alquanto, guardandomi indecisa.
    Vita è indecisa su di me.
    Deve capire.
    Mi merito la luce delle rose?
    E le coreografie perfette del suo venirmi incontro?
    Non so se cedere all'impulso di correre a trattenerla, oppure ritirarmi come ho sempre fatto.
    Là però ci sono le rose.
    Di quel rosa cenere sfumato del mio rosaio antico nel giardino ormai quasi selvaggio.
    Sul fusto c'è la V di Vida, mia madre, "accuditora" di piante ed esistenze.
    La V di Vida.
    Vita della mia vita.
    Una stupenda V che aleggia tra i rami intricati, tocca le foglie, i fiori e poi dilegua in pulviscolo leggero.
    Vita della mia vita.
    Nel solco accanto al tuo sta la mia lettera iniziale in una crepa che non è più abisso da quando ho visto Vita danzarmi incontro.
    Così mi volgo a Lei, accenno un movimento un po' sbilenco, poi spicco un salto astrale e sono a respirare tenui sentori di rose rosa cenere.
    Le sfioro, le accarezzo, me le trovo in mano, le spine confitte nella carne, il sangue che scorre tumultuoso su di loro, in me.
    Le rose strette al petto, guardo il cielo e dico piano:
    "Sono qui".


martedì 27 giugno 2023

Prosa / 145474: Nubi e fiori di Magnolia. Racconto di Irene Navarra.

 

Irene Navarra, Matilda e Maya, AI e Grafica, 27 Giugno 2023.


    Matilda era scomparsa.
    I genitori se ne accorsero verso l'ora di pranzo, quando alla chiamata usuale non rispose.
    Andando dopo un po' a controllare, videro che non occupava la solita postazione sul ramo più basso dell'imponente Magnolia di nome Maya, dominatrice assoluta del loro giardino.
    In genere se ne stava lì, seduta o sdraiata in una curva dolce dell'amico ramo, e meditava contemplando il cielo.
    E ciò, in particolare durante l'Estate, quando la pianta si copriva di infinite corolle, splendenti tra le foglie di un lucido verde da un lato e marrone velluto chiaro dall'altro.
    Le nubi erano i suoi soggetti preferiti di osservazione profonda. Le scrutava, attraverso il filtro degli enormi, profumatissimi fiori di Maya, e naufragava in uno stato di leggerezza ineguagliabile.
    L'arte della meditazione, gliel'aveva insegnata una delle suore che erano state sue insegnanti: Nun Maria Pia. Nun perché insieme parlavano in inglese. G
razie a lei, sin da  bimba aveva coltivato le due discipline con applicazione straordinaria.
    Meditare e Contemplare erano per Matilda fatti esistenziali.
    Da sola, poi, si era appassionata alla meditazione cromatica. Le riusciva bene. Le sedute avvenivano in modo spontaneo con una graduale immersione nel colore, e il bianco delle Magnolie stagliato contro l'azzurro del cielo e le tinte cangianti delle nuvole, le era davvero congeniale. Lei diceva che dipendeva dai cromosomi ereditati dalla nonna, che era una riconosciuta Sciamana, amata e venerata in paese come una Santa per la sua capacità di guaritrice.
    Genetica pertanto, la sua propensione. Una dote di famiglia.
    Nei bianchi petali a formare corolle dal cuore appena crema-rosato, o sfumate di viola in alcuni giorni privi di Sole, ci si infilava, Matilda, con il suo pensiero sottile e partiva per magnifici viaggi di benessere spirituale.
    Il sorriso di Nun Maria Pia la seguiva sempre, bonario e attento.
    Avventure, le sue, che le davano purezza e serenità.

    Il giorno della scomparsa l'avevano vista in molti. Tutto sembrava normale. Della normalità di Matilda, naturalmente. Ma ci erano abituati. Guardavano e passavano oltre con un senso di incanto ineguagliabile. Nella posizione del loto, le mani abbandonate in grembo, ispirava tenerezza.
    Ormai Matilda in meditazione era un elemento essenziale di quel mondo perfetto.
    Sapevano che aveva altri luoghi propizi in cui rifugiarsi.
    Non si preoccuparono di non vederla sul solito sedile arboreo.
    Se non era sul suo ramo preferito, potevano trovarla nel fosso delle rane, o sotto gli ulivi a chiacchierare con le cicale.
    Cose così. Cose da Matilda.
    Quel giorno però, la ragazzina sembrava proprio sparita. Strano parve che i due Golden, Emma e Pablo, che lei adorava e la seguivano sempre, fossero tranquillamente accucciati all'ombra della Magnolia.
    Nannavano sereni.

    Incominciò a serpeggiare la preoccupazione.
    La madre radunò i lavoranti della loro Azienda agricola e li organizzò in squadre di ricerca, il padre si mise a correre a cavallo le campagne seguendo eventuali tracce del suo passaggio.
    Nulla.
    Nulla.
    Nulla.
    Una patina opaca si diffuse sul paesaggio.
    Pareva che il Sole se ne stesse andando, soffocato dall'ansia cupa che esalava dai cuori stretti in una morsa.

    Quando Rosa, la sua tata, alzò gli occhi al cielo, la paura che l'attanagliava svanì.
    Rosa aveva rivolto lo sguardo al cielo per implorare l'aiuto della Vergine.
    Allora aveva visto uno spettacolo incredibile: le nubi si erano condensate in petali bianchi dalla sfumatura rosata e avevano formato una sorta di chioma d'albero in cielo.
    Là dormiva Matilda.
    Bellissima.
    Sorridente nel sonno.

    Decisero così di lasciarla riposare, senza disturbarla.
    In fondo era proprio grazie a lei che quel luogo continuava a essere benedetto da Dio e in pace.
    Le sussurrarono Sogni belli, Matilda, e si accinsero a ritornare felici alle quotidiane faccende.
    Erano sicuri che le nuvole avrebbero formato una scala per farla scendere.
    La Terra poteva aspettarla con pazienza.
    E tutti loro anche.
    I genitori strinsero mani, regalarono focacce dolci e bottiglie di vino rosato e, abbracciati, ritornarono a casa.
    I due golden rimasero quieti all'ombra di Maya.
    Sapevano che, proprio sotto il suo ramo più basso, Matilda avrebbe ritoccato il suolo.

Irene Navarra

 
Irene Navarra, Tra i fiori di Maya, AI e Grafica, 27 Giugno 2023.



giovedì 15 giugno 2023

Prosa / 145474: Lui venne dal mare. Racconto di Irene Navarra.


Irene Navarra, La vedetta, AI e Grafica, 14 Giugno 2023.

 

    Lo trovò abbarbicato come una patella sullo scoglio grande della spiaggia dove passeggiava ogni mattina. Era un bimbo che poteva avere cinque o sei anni a prima vista. Seduto, con le mani quasi incollate agli spuntoni rocciosi, guardava il mare. Quando Martha gli si avvicinò lui non le rivolse alcuna attenzione.
    Stava.
    Immobile.
    Come una statua.
    Gli occhi fusi all'orizzonte, portavano nubi e tempesta. Il corpo aveva un lieve sentore di alga e un colore appena azzurrino, di sicuro dovuto all'aria fredda di quell'Ottobre più simile all'inverno che all'autunno, si convinse Martha.
    Le vennero le lacrime agli occhi e agì: si tolse la mantella di lana infeltrita, la appoggiò sulle spalle del bimbo e gliela chiuse davanti agganciando due bottoni. E tutto questo senza che la creatura facesse un movimento.
    Così si sedette sullo scoglio accanto a lui e rimase per un bel po' in silenzio. Non era facile decidere il da farsi. Poi, d'impulso, accarezzandogli la mano spasmodicamente agganciata alla roccia, cantò.
    Sgorgavano i suoni in scale morbide simili al ritornello ritmico delle onde, in rari picchi di spruzzi vaporosi, in lenti sciabordii sereni che morivano in sussurri. E mentre cantava, poteva sentire lo sciogliersi di quella piccola mano nella sua, L'abbandonarsi. Con qualche ritegno dapprima, con delle reticenze, e infine confidente.
    A quel punto Martha lo abbracciò, gli staccò delicatamente i polpastrelli dalla scoglio, lo sollevò tra le braccia, avvolgendolo bene nella sua mantella e si avviò verso casa.

    La casa di Martha sorgeva sulla costa alta e impervia, a picco sulla battigia di ciottoli stondati dall'eterno rollio delle onde. Verde di salvia, punteggiata da rari sprazzi di terra rossa e sassi bianchi affioranti dal suolo, era uno spettacolo ammaliante. Entro breve sarebbero maturati i frutti dei corbezzoli e la mulattiera da percorrere per arrivare a destinazione si sarebbe vestita a festa con le bacche appese ai rami di quegli arbusti. Bacche come ninnoli dall'incredibile tinta inizialmente arancio pallido e, alla maturazione, rosso acceso. Assieme ai fiori rosa pallido costituivano un'attrazione fatale per chiunque vi si avventurasse. Per lei emblema prodigioso della vita con il ciclo di nascita e morte sui medesimi rampolli apicali.
    Procedeva veloce, Martha, pensando al latte  e miele che avrebbe preparato per il piccolo, alla zuppa di verdure della sera, all'uovo sbattuto con lo zucchero e la vaniglia, al letto candido di lini della stanzetta in cui l'avrebbe messo a riposare. Dopo un bagno caldo naturalmente.
    E tutto fu secondo l'intenzione di Martha che sbocciava in gioia se solo posava lo sguardo su quella meraviglia dagli occhi viola-azzurro, trovata per caso.
    Aveva detto ai vicini che era un parente orfano, aveva raccontato che nessuno poteva occuparsi di lui e che lei, dopo la morte in mare di suo marito per il naufragio del peschereccio su cui lavorava, dopo la solitudine degli anni a seguire, era ben felice di accudire chi ne aveva bisogno.
    La curiosità della gente si spense presto e Martha ne fu felice. La creatura era stata accettata come se fosse venuta alla luce e vissuta sempre lì, tra quella manciata di antiche abitazioni in pietra, sparse senza regola sulle falesie in affaccio sul mare.
    Al bimbo aveva dato il nome di Christós, perché era un povero Cristo infante approdato a quei dirupi attraverso esperienze di cui non sapeva nulla, ma poteva intuire come terribili. E nella speranza di una luce condivisa nella sua vita. In fondo si trattava di Resurrezione da un arrancare gramo. Per entrambi.
    Loro due amavano la nuova condizione.
    Lui, Christós, era sereno. Almeno all'apparenza. Non rammentava nulla del suo passato e sorrideva. Non sempre però. Talvolta gli occhi gli si riempivano di nubi e tempesta. Incupivano di colpo. Passava presto, tuttavia, il peso sottile di un lampo memoriale di cui, forse, lui stesso non aveva netta percezione.
    I giorni, quindi scorrevano piani.
    Martha e Christós, che parlava poco ma si esprimeva molto con le mani e con gli occhi, si andavano amalgamando.

    Christós adorava il mare.
    Vi si bagnava anche d'inverno, uggiolando come un cucciolo di cane dal piacere.
    Scendeva alla spiaggia con addosso indumenti spessi, si portava dietro uno zaino con dentro un grande asciugamano e una coperta morbida. Non gli servivano. Non aveva mai freddo. La punta azzurrino della sua carnagione era una sua peculiarità, e non indice di sofferenza da gelo. Martha non lo sapeva e Christos non riteneva importante farlo notare.
    Arrivando di corsa, si spogliava frettoloso e s'infilava tra le onde.
    Capriolando.
    Era un delfino abilmente giocoliere.
    Quando era stanco, usciva dal mare, si strofinava per bene, si avvolgeva nella coperta (per tenere tranquilla Martha che lo scrutava come un falco in caccia dal portico) e, seduto sui sassi, fissava il mare, scandagliandolo quasi, con un brillio strano negli occhi. Si riscuoteva al richiamo di Martha che, preoccupata per la sua salute, lo voleva subito a casa.
    E lui obbediva alla donna amorevole che l'aveva salvato.
    
    Si sgranava piacevole la loro vita. Senza intoppi.
    Senza intoppi finché 
Christós non iniziò a mostrare segni di un'ossessione incontenibile Non c'era momento in cui non volesse stare vicino al mare. Il Fratello mare, in verità, come lo nominava lui. Ci parlava. Più di quanto parlasse con gli umani. E diceva che trovava sempre risposte negli sgargianti riverberi mai uguali della sua superficie. Risposte rese ora in voci sussurrate, ora tonanti. e spesso in segni. Come la volta in cui portò a Martha la pipa di suo marito, riconoscibilissima per la rosa selvatica incisa sul fornello con due iniziali vicine: G. S: 
Giórgos Stratos. A Martha che, sgomenta, teneva tra i palmi delle mani l'oggetto quasi con sacra devozione, Christós disse che un'onda gliel'aveva depositato ai piedi mentre si stava chiedendo se suo marito se la passasse bene là dov'era.
    Il segno è positivo, aggiunse. Il regalo vuole rasserenarti.
    Allora Martha avvolse la reliquia in un fazzoletto ricamato e la depose tra i resti della sua vita matrimoniale. Grata in cuor suo per il dono, ma anche un po' turbata dai poteri che Christòs dimostrava.
    Poteri che di giorno in giorno si facevano più chiari.
    Christòs era un vero e proprio "animale" marino.
    Sapeva narrare storie di abissi, di città sommerse, di fiori giganteschi agitati da impetuose correnti, di pesci dotati di telepatia. Ecco, questi ultimi comunicavano in segreto con lui e lo attraevano parecchio. Le diede la notizia semplicemente, senza girarci intorno. E le fece capire che era un'esperienza da provare.
    Martha seppe così che desiderava liberare in mare la sua diversità.
    E iniziò a soffrire, soffocando però la pena. Per non addolorarlo.

    Intanto le nuotate giornaliere di Christòs si facevano sempre più lunghe. Spariva per delle ore. E ritornava allegro e premuroso, portandole delle offerte: conchiglie mai viste prima, denti di pescecane, anelli di vetro - ovvero colli di bottiglie levigati dall'erosione -, fiori di corallo. 
    Questo finché non sparì.
    Inghiottito dal mare.

    La disperazione di Martha non ebbe limiti.
    Deperiva, ingrigendo, avvizzendo come una pianta falciata.
    Pregava, Martha.
    Accoratamente.
    In ginocchio davanti all'immagine della Madonna delle Lacrime recitava le parole rituali per impetrarne l'aiuto.
    E mentre i giorni passavano impietosi, si spegneva a poco a poco.

    Una mattina di luglio inoltrato lei se ne stava seduta sullo scoglio dove aveva trovato Christòs. Ne sentiva l'impronta e percepiva il leggero odore d'alga di allora.
    Le braccia stringevano il vuoto dell'aria tersa. Il cuore batteva lento, i sensi desideravano la morbidezza del suo corpo di tenero fanciullo dall'incarnato assurdamente un po' azzurrino.
    Un po'azzurrino, si ripeté Martha a voce alta. Un po'azzurrino, gridò alle nubi, al vento, al mare.
    Al mare.
    La consapevolezza della scoperta le abbagliò la mente di un lampo come una ferita.
    Seppe che non poteva essere suo.
    Era del mare.
    E si acquietò.
    Non era possibile avere chi apparteneva alle radici primordiali del Creato.
    Doveva accettare.
    Dio le avrebbe mostrato la via.
    Il loro destino si sarebbe compiuto in termini imperscrutabili a tutti.

    Martha si rasserenò e decise che il tempo doveva scorrere comunque. Anche se Christòs non fosse ritornato.
    Andò avanti senza pretese e senza attese.
    Passarono i mesi.
    L'anno volse nuovamente al termine.
    Si avvicinava il quinto anniversario del ritrovamento.
    Martha, seguendo la solita liturgia di commemorazione, portò fiori di corbezzolo e latte allo scoglio.
    Versò il latte, sparse i fiori e pregò con un fervore tale che il cielo subì uno scossone.
    Pregò, chiedendo soltanto che Christòs non avesse rimpianti.
    Da tanto non arrivavano lassù tali emozioni.
    E poiché piacque quel suo adattarsi, i Sacri stabilirono di ascoltarla sommovendo i principi costitutivi del mondo subacqueo.
    Decretarono, pertanto, il ritorno del mutante - rifiutato dall'arcano Popolo del mare - a chi l'aveva amato.
    E applicarono il decreto, iniziando a insinuare falle nell'ordine della dimensione fluida particolarmente difficile da destabilizzare.
    Si allentarono i legami, si cancellarono norme genetiche, si aprirono passaggi mai dischiusi prima.
    Lo scardinamento di tradizioni consolidate non fu uno scherzo. Ci vollero numerose incursioni dall'etere. Tuttavia alla fine avvenne il miracolo.

    Martha si preparava a festeggiare l'Assunzione della Vergine Maria. Si era ad agosto, il 15 per la precisione. Con tutto il villaggio aveva allestito la Chiesetta rurale che sorgeva su un'altura nell'entroterra, difficile da raggiungere per le asperità del terreno roccioso. I compaesani si erano avviati di buon mattino con asini carichi di cibi per allestire il banchetto cultuale.
    Lei li avrebbe raggiunti, dopo la visita al luogo che per lei rappresentava più di un Santuario.
    Arrivò, quindi, allo scoglio venerato, versò il latte e sparse corolle di calendule, poi si sedette sui sassi roventi e ammirò la distesa marina. Perdendosi nello scenario radioso. Senza cognizione dei minuti che correvano, stava davvero bene. Per la prima volta dacché Christòs era sparito.
    Una sostenibilissima leggerezza dell'essere cristallizzava quell'attimo in storia da acquisire.
  Da acquisire nella quotidianità per renderla anch'essa sostenibile. 
  Sarebbe rimasta, Martha, nella bolla di profonda empatia con il Tutto se, all'improvviso, non avesse notato all'orizzonte uno spumare inconsueto. L’azzurra distesa vibrava, si gonfiava, si alzava in colonne e guglie che sembravano cattedrali liquide. Una fantasmagoria di trasformazioni in avvicinamento stravolgeva ogni senso comune.
    Martha era esterrefatta.
    Non aveva mai assistito a un fenomeno del genere.
    Fenomeno che finì così come era iniziato.
    Di colpo.

    Martha se ne stette sospesa a lungo, sperando di rivedere la scena straordinaria appena scomparsa.
    Nulla riavvenne.
    Sospirò delusa.
    Prese la strada della Chiesetta dove, probabilmente si stava già svolgendo la Messa di adorazione di Maria.

    Quella sera si coricò presto e si addormentò subito.
    A metà della notte sentì un rumore.
    Senza paura si liberò dalle lenzuola e si avviò verso la cucina.
    Il cuore le batteva con un ritmo di onde gentili.
    In piedi vicino alla tavola c'era Christòs. Illuminato dai raggi complici della Luna che entravano di sghembo dalla finestrella rivolta al mare.
    Gli occhi splendevano, 
    Sorrideva.
    Le tese qualcosa avvolto in alghe kelp.
    Martha prese il dono e lo svolse dall'involucro vegetale.
    Era formato da due pietre sottili chiuse a libro, tenute legate da cordini probabilmente alghe anche quelli.
    Lo aprì e ne lesse le lettere incise.
    Lui ora è Tuo, comunicavano in modo formale,
    Martha e Christòs si abbracciarono.

    La mattina, portandogli la colazione, ebbe modo di guardarlo a suo piacimento mentre ancora dormiva.
    Cresciuto, robusto, bellissimo, constatò tra sé e sé con un respiro fondo.
    E non più leggermente azzurrino di incarnato.
    Fratello Sole avrebbe impreziosito la sua pelle con sfumature d'oro bruno.
    La vita poteva riprendere a fluire.