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giovedì 27 ottobre 2016

Letteratura (e Arte) come vita: da Carlo Bo a Bob Kaufman e Jean-Michel Basquiat.


Eugenio Bernes, Irene, C.A.G.E. Art, 2012.

Sto lavorando sulla poesia ermetica. Recupero la parte critica. Rileggo Carlo Bo. Rivedo i sacri testi e, come sempre quando preparo una lezione di letteratura, divago con il pensiero. Mi piace divagare. Sono una visionaria. Ora mi aggancio in rapidi spot al poeta Bob Kaufman (New Orleans, 18 aprile 1925 – San Francisco, 12 gennaio 1986). Immagini e parole. Il contrasto è evidente, ma le affinità subliminali affiorano.

Scrive Carlo Bo:

“La nostra letteratura sale dalle origini centrali dell’uomo, ha troppa memoria per risolversi in una passione che subisce i nostri umori, le nostre origini, la nostra povera polemica di viventi. Diventa una conseguenza naturale di speculazione: è un discorso infinito e continuo che apriamo con noi stessi. […]
È la vita stessa, e cioè la parte migliore e vera della vita. E si sa a che cosa alluda: non a questo mostro che ci soffoca di più giorno per giorno, a questa enorme fiera di vanità in cui per diverso grado cadiamo tutti con le debolezze, le colpe, i peccati e soprattutto con la nostra spaventosa disponibilità alle omissioni; non a questo simbolo di vita che ci serve di scusa e di protezione ma a quella solenne promessa, al nostro unico sogno di salvezza, a quel termine che difende la “via” e la “verità.” […]

Da: Letteratura come vita di Carlo Bo, in Il Frontespizio, settembre 1938 e in Otto studi, 1939.

Carlo Bo e Bob Kaufman? Un critico d’avanguardia sostenitore dell’Ermetismo e un rapsodo da strada, compagno di Kerouac e degli scrittori della Beat Generation? Certo che sì! In dissonanza e allo stesso tempo in consonanza: letteratura fuori dalla storia per Bo (ma pur sempre forma esistenziale) / letteratura dentro la storia per Kaufman. Fermo restando che per entrambi vita e letteratura sono gemelle siamesi e che tutti e due considerano la parola poetica in una necessaria intermittenza di discorso e silenzio.
Bob Kaufman è stato una figura di primo piano della San Francisco Poetry Renaissance negli anni Cinquanta. Il suo stile poetico genuino, specchio di un flusso interno modulato sui ritmi jazz del Bebop (lo chiamavano The Original Bebop Man) influenzò almeno una generazione di autori. Ne parla magnificamente il regista Billy Woodberry nel documentario And When I Die, I Won’t Stay Dead del 2015.

Qui il trailer:



Bob Kaufman è un Dharma Bum cittadino che legge i suoi versi dappertutto, esibendosi in esaltanti performance. Per lui poesia e vita sono un’unità inscindibile, si nutrono dello stesso substrato. Un fertile humus che il linguaggio della poesia rivela quando le ragioni storiche, politiche e sociali aprono spiragli di ragionevolezza. Altrimenti è meglio consegnarsi all’oblio. E in effetti l’assassinio di J. F. Kennedy lo spinse a fare un voto di silenzio che perdurò fino al 1975, quando, il giorno in cui finì la guerra del Vietnam, entrò in un bar e recitò All Those Ships that Never Sailed. Gli si riaprì allora la fonte della parola e ricominciò a creare. Per breve tempo, però. Nel 1978, dopo aver detto all’editore Raymond Foye: Voglio essere anonimo… la mia ambizione è essere completamente dimenticato, si eclissò per sempre.

E adesso gli spot visionari mi portano a Jean-Michel Basquiat (New York, 22 dicembre 1960 - 12 agosto 1988). Perché? Dalle parole, altre immagini. Ancora letteratura come vita e vita che diventa arte? Ma sì. Chi più di Basquiat ha saputo incarnare l’artista che ha fatto arte della sua esistenza. Parlarne qui non è utile. Il web trabocca di notizie su di lui. Basta un clic e si è catapultati in caleidoscopiche fantasmagorie. Ciò che mi preme mostrare è il filo che lega questi autori, lo stame potente che si fa per l’uno battito di parole e ritmi capaci di rendere incandescente qualsiasi tema; per l’altro commistione espressionista di colore, materiali e tecniche alla Twombly, Dubuffet, Rauschenberg. Presi d’istinto, questi ultimi, e amalgamati in uno stile unicoEntrambi dunque hanno creato dei veri e propri assolo Bebop alla maniera di Charlie Parker. Genuini, veloci, perfetti. E straordinari, chiari-scuri specchi del tempo in cui vissero.



giovedì 13 ottobre 2016

Poesia / Roque Dalton Garcia poeta e combattente.


Roque Dalton Garcia.

Dice Julio Cortazar che Roque Dalton Garcia (San Salvador, 14 maggio 1935 - Quezaltepeque, 10 maggio  1975) è stato “l’esempio assai poco frequente di un uomo in cui la capacità letteraria, la capacità poetica, sono fin dall’età giovanile mescolate con un profondo sentimento di naturalezza con il suo popolo, con la sua storia e il suo destino. In lui, da quando aveva diciotto anni, non si poté mai separare il poeta dal lottatore, lo scrittore dal combattente, e per questo la sua vita fu una serie continua di persecuzioni, prigionie, esili e fughe”.

Fu assassinato il 10 maggio 1935 da compagni di lotta dell’ERP (Esercito rivoluzionario del popolo). I colpevoli sono tuttora ignoti e i resti del poeta non sono mai stati trovati. Nel luglio di quest’anno l’Ufficio per la Difesa dei Diritti umani del Salvador ha accolto le richieste di giustizia della famiglia del poeta e ha chiesto alla Procura generale di riaprire le indagini.

(Fonte: PressReader 31 luglio 2016)


Vita e letteratura nell'Estetica di Roque Dalton Garcia.

La poesia di Roque Dalton Garcia, delicata e aggressiva assieme, rivela la necessità spirituale di coniugare vita e letteratura. E ciò in forma spesso autoironica, talvolta spietatamente critica o anche teneramente gaia. Un alternare dialettico, questo, reso come cifra estetica dell’essere. Roque è poeta e combattente proiettato nella storia del suo Paese. Egli si fa voce narrante del suo Paese e di quelle feroci contraddizioni per cui la Vita, da mordere con gusto e allegria, diventa Morte da subire nel corpo violentato da una pallottola sparata di fianco. “L’unica pallottola capace di trovarlo” come ha scritto Eduardo Galeano in Memoria del fuoco.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Poesia / Roque Dalton Garcia / 13 ottobre 2016.

E adesso ascoltate la voce di Julio Cortazar che recita Alta Hora de la noche.



sabato 21 marzo 2015

Critica / Anna Mattiuzzo: Bianca vestito di neve.


Il concetto del colore nelle illustrazioni di Anna Mattiuzzo



Tra meraviglia e allegoria si snoda il racconto fantastico di Anna Mattiuzzo Bianca vestito di neve (L'orto della cultura Editore, 2013). Il libro, contesto di autentica magia, presenta un epilogo intriso di buona moralità a sfondo sociale. Vivere integrati in un sistema desentimentalizzato o seguire il miraggio dell'amore? suggerisce il dilemma alla base della storia. Sobria di necessità, poiché dedicata a un pubblico infantile, ma assieme complessa nei suoi sensi connotati, e da mediarsi di conseguenza attraverso il filtro cosciente dell'adulto, capace di interpretarne gli aspetti subliminali per incanalarli alla corretta fruizione.
Di gelo è la sostanza di Bianca. Candidi gli occhi, il viso, gli abiti, il cuore portato a passeggio come un palloncino inerte.Bianca procede nel suo mondo scialbo, priva di turbamento. Lei non sa entrare in empatia con gli altri esseri. Per la sua natura algida accetta i ritmi monotoni del vivere. Finché sulla scena non irrompe l'imprevisto: le richieste di alcune creature del bosco incontrate per caso. Stanno preparando una festa in onore dell'inverno. Che male le potrà mai capitare se raccoglierà ghiande, nocciole, legnetti, mele per lo scoiattolo, la volpe, il lupo, il topolino? Nessun male, si dice Bianca, introducendo una varianza nella misura sempre uguale dei suoi giorni. Scopre così un universo ricco di attese e speranze. Da qui la scintilla che appicca un fuoco via via più fervido. Ecco il colore. Prima i guanti, le scarpe, le vesti, poi le guance, il volto intero e tutto il corpo assumono contorni, vibrano di rosse sfumature. Bianca inizia a percepire un esile grumo che le palpita nel petto con intensi battiti. Avverte il trepidante calore della commozione. La nuova conoscenza cancella il passato. Ora contano i balli, i canti, il gioioso rumore, la tenerezza reciproca. È una metamorfosi radicale, quella della bimba. Una trasformazione resa attiva in virtù dell'aiuto prestato generosamente e del lavoro condiviso. La gratuità ne è la chiave. Nella seconda parte della favola si dispiega, pertanto, una scala di valori diversi. In controcanto alla dimensione ghiacciata - arida dunque - che è stata l'habitat materiale ed emotivo della piccola Bianca, divampa a poco a poco la fiamma dell'adesione a un progetto comune. Allora, mentre le cose si accendono di brillii nella festa per l'arrivo dell'inverno, il gelo del cuore si sfa completamente non solo in Bianca, ma anche in noi lettori, rapiti ormai dall'incanto di questo delizioso quaderno in versi e immagini. E desiderosi di affidarci ancora alla sua genuina poesia.

Irene Navarra / Quaderni di critica / Artemisia Eventi Arte /
Anna Mattiuzzo / 6 febbraio 2015.
La critica è stata pubblicata nella Sezione Cultura di Voce Isontina del 21 marzo 2015.