P_Irene Navarra, Ritratto in bianco e rosso, AIArt e GraphicArt, 30 Gennaio 2023.jpg |
Neve e silenzio.
Oh, quel silenzio ovattato che solo lei sa dare! Da sotto la sua coltre ogni suono emergeva smorzato, come in segno di complicità connaturata al fenomeno stesso.
Peccato, mi dissi.
L'evento climatico, incantevole di per sé, fiabesco davvero, mi sconvolgeva però i piani. In mattinata avevo programmato un giro culturale alle Scuderie di Villa Coronini Cronberg, che distava abbastanza da casa mia, per scoprire la mostra di un'artista coreana di pseudonimo #T-0∞, sconosciuta di identità e aspetto effettivi, definita - dai giornalisti non solo locali - alquanto suggestiva. Le testate nazionali se n'erano occupate, spendendosi in generose critiche per gli itinerari espositivi particolari e coinvolgenti.
L'avrei visitata malgrado il tempo.
Sarei andata a piedi. Ben attrezzata. Con l'equipaggiamento che tenevo da parte per qualche eventuale scappata fugace in montagna.
Mai collaudato, peraltro.
Niente macchina, allora.
E ciò perché ho una guida particolare. A detta di molti, una guida disinvoltamente poetica. Ovvero: se vedo un fiore a bordo strada guardo quello e non la strada. Figuratevi con i fiocchi di neve che osserverei tutti al microscopio per coglierne le forme a stella. Meglio non mettere a rischio vite su vie ghiacciate, dunque sdrucciolevoli, di conseguenza pericolose.
A piedi! Alé, a piedi! mi ripetei, scuotendomi dal magico torpore del risveglio bianco.
Bianco con un'assurda punta di verdino livido, però.
Che mi causava inquietudine senza motivi espliciti.
Così mi avventurai fuori casa, scivolando per il freddo tappeto srotolato sulla città, e arrancai fino al Parco di Villa Coronini Cronberg, che era il percorso obbligato per raggiungere la sede dell'esposizione.
E là, nel Parco, successe qualcosa.
Stavo con fatica affrontando il viale d'accesso in leggera salita.
Occhi ai piedi, occhi alla meta. Con ritmo costante.
Davanti a me, si muoveva agile una figurina vestita di una sorta di giacca smanicata rossa sopra un maglione antracite. Sulla testa sballonzolava un buffo cappello, anch'esso di colore acceso, da cui sfuggivano ribelli ciocche scure. Era curioso di foggia. Mai visto uno simile. Alto e cilindrico. Direi sproporzionato per la sua corporatura minuta.
Lei, dunque, camminava spedita davanti a me, rollando appena le spalle, con grazia. La chioma adesso usciva sciolta dal cappello e ondeggiava sulla schiena. Accelerò le falcate, e non so come facesse. Sembrava volare. Le tenni dietro. Arrivata all'altezza della villa, svoltò a destra, inoltrandosi nel Parco tra pini italici insciallati da uno strato di neve che ogni tanto cadeva a falde in tonfi morbidi. Mentre si insinuava tra le piante iniziò a girarsi.
E mi guardò. Con drammatico intento.
Nel volto affilato e pallido un che di saggia arroganza, di puntuta consapevolezza.
Si fermò e mi guardò per un tempo che mi parve lunghissimo.
Anch'io, ancorata saldamente a terra nei miei Moon Boot, la osservavo.
Mi diede l'impressione di voler parlare, poi, d'improvviso, si mise a correre e sparì dalla mia vista, inghiottita da un gruppo di allori.
Le tenni dietro, lasciando il sentiero e inoltrandomi nel folto delle piante, ma non la trovai. Nemmeno una traccia rimaneva del suo rapido passaggio.
Nel volto affilato e pallido un che di saggia arroganza, di puntuta consapevolezza.
Si fermò e mi guardò per un tempo che mi parve lunghissimo.
Anch'io, ancorata saldamente a terra nei miei Moon Boot, la osservavo.
Mi diede l'impressione di voler parlare, poi, d'improvviso, si mise a correre e sparì dalla mia vista, inghiottita da un gruppo di allori.
Le tenni dietro, lasciando il sentiero e inoltrandomi nel folto delle piante, ma non la trovai. Nemmeno una traccia rimaneva del suo rapido passaggio.
Di Lei ritrovai solo il cappello rosso, posato a terra dalla parte del colmo e pieno di neve.
Piuttosto confusa, ripresi a ritroso il tragitto, calcando i piedi nelle mie proprie orme, attenta allo strato di bianco sul suolo per intercettare le sue. Di esse, tuttavia, neppure un segno.
La mostra si annunciava con una locandina criptica affissa sulla porta d'entrata delle Scuderie di Villa Coronini Cronberg. Nome dell'artista e titolo dell'esposizione coincidevano: T-0∞.
T-0∞ presenta T-0∞, il testo essenziale. Sfondo bianco, grafia rossa.
Nessuna ulteriore immagine.
Ok, mi dissi. Vediamo un po'. Ed entrai.
Nella prima stanza c'erano tre tele di grandi dimensioni riempite a spatolate dense di colore a olio dal bianco puro al grigio chiaro al verdino spento. Qualche traccia di natura scheletrita, aria fumosa in cielo. Dalla prima all'ultima leggere varianti date da un incupirsi cromatico e dall'inspessirsi progressivo di materia nella parte sinistra del quadro. Come se proprio in quella sezione si stesse formando della sostanza aliena al tutto. Un ectoplasma surreale.
Nella seconda stanza in cinque dipinti, sempre di tecnica a olio, si clonava quanto avevo appena vissuto nel Parco.
Istanti identici.
L'esile figuretta in rosso con lo strano cappello, di spalle, il suo inoltrarsi tra i pini italici, il suo girarsi e guardarmi con la stessa intensità dell'esperienza già provata, lo sparire tra gli allori e l'incredibile volatilizzarsi, il cappello pieno di neve a terra.
L'esile figuretta in rosso con lo strano cappello, di spalle, il suo inoltrarsi tra i pini italici, il suo girarsi e guardarmi con la stessa intensità dell'esperienza già provata, lo sparire tra gli allori e l'incredibile volatilizzarsi, il cappello pieno di neve a terra.
Tutto uguale.
Ero paralizzata. Un fascino sottile mi legava a quelle opere per me due volte vere. Quasi si enucleassero dall'esperienza appena vissuta.
Mi feci forza per entrare nell'ultima stanza che sapevo dedicata alle presentazioni multimediali.
Appena varcai la soglia, nel buio assoluto partì un video che si riprodusse su grandi schermi appesi alle pareti.
Le immagini scorrevano insinuandosi tra folate di fiocchi di neve. Era Lei che danzava felice, i capelli - fluenti e liberi - come nastri di seta scura nell'imperversare della tormenta di gelo.
Ero paralizzata. Un fascino sottile mi legava a quelle opere per me due volte vere. Quasi si enucleassero dall'esperienza appena vissuta.
Mi feci forza per entrare nell'ultima stanza che sapevo dedicata alle presentazioni multimediali.
Appena varcai la soglia, nel buio assoluto partì un video che si riprodusse su grandi schermi appesi alle pareti.
Le immagini scorrevano insinuandosi tra folate di fiocchi di neve. Era Lei che danzava felice, i capelli - fluenti e liberi - come nastri di seta scura nell'imperversare della tormenta di gelo.
Danzava una carola infinita, piccola dea creatrice di malie, narratrice intrigante di favole oscure.
Mi staccai a stento da quell'atmosfera sospesa, con un sospiro, conscia di stare lasciando un metaverso prodigioso che legava indissolubilmente la pittrice ai suoi fruitori.
Mi staccai a stento da quell'atmosfera sospesa, con un sospiro, conscia di stare lasciando un metaverso prodigioso che legava indissolubilmente la pittrice ai suoi fruitori.
Mi staccai, mio malgrado.
E presi, soggiogata da emozioni forti, la strada del ritorno, scrutando attentamente le zone d'ombra dietro gli alberi.
Non si sa mai, pensavo in allerta speranzosa.
Non si sa mai.
23 Maggio 2023
Irene Navarra
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