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mercoledì 3 luglio 2024

Poesia / Cronaca: Il dono.



P_Irene Navarra, Tra le rose, AIArt e GraphicArt, 2 Luglio 2024



Semi di girasole nella mano aperta.
Creature alate vi si posano.
A turno.
Bianche e delicate.
Mi muovo piano nel giardino
con frulli d'ali attorno.
Sono scortata da un esercito gentile.
Le rose assentono
con l'intensificarsi del colore.
Essere qui e altrove.
Espandersi armonioso
di certezze che la nostra summa
è in queste cose di minima apparenza.


sabato 17 febbraio 2024

Prosa / Racconto breve: Riccardo e il papavero.

 
P_Irene Navarra, Riccardo e il papavero, AIArt e GraphicArt, 18 Maggio 2023.




    Riccardo fermò di colpo la macchina sul ciglio del viottolo quasi sommerso da campi con erba alta e minuscoli fiori bianchi e gialli. Appoggiò le braccia sul volante, la testa sulle braccia e pianse. Singhiozzando convulsamente.
    Poi si riprese.
    Raddrizzò il busto, abbandonò le mani in grembo e, piano piano, si ritrovò a respirare a fondo. Trattenendo l'aria a lungo. Il suo Maestro di meditazione gliel'aveva insegnata bene, quella forma di rilassamento.
    Riccardo inalava boccate d'aria con voracità. Come se fossero garanzia di salvezza.
    Inspirare ed espirare erano le uniche azioni che riuscisse a sostenere in quel momento.
    Lo fece finché sentì che il cuore si calmava e capì che doveva muoversi, dare ossigeno verde al corpo, camminare.
    Così scese dalla macchina e iniziò ad avanzare nel mare d'erbe di un campo in leggera discesa verso le sponde del fiume la cui voce s'insinuava nel frusciare del vento sulla rustica natura di quel luogo.
    Riccardo alzò gli occhi al cielo privo di nubi, li rivolse poi all'orizzonte di cespugli d'acacia e riuscì a non avere pensieri. Lina e la loro storia di anni non c'erano più. Il dolore provato all'annuncio che lei aveva un altro amore, che la sua vita era finalmente diventata elettrica (così aveva detto: elettrica), la ferita che gli si era aperta nel cuore alle sue parole, tutto, proprio tutto dileguava nel fascino 
semplice del paesaggio che lo accoglieva rassicurante.
    Lo conosceva bene quel posto.
    Ci veniva fin da cucciolo. Era l'angolo di mondo adatto a lui. Solitario di carattere, alquanto schivo, amava leggere al riparo dei salici che là, sulle rive impervie del fiume, crescevano rigogliosi. Ce n'era uno, in particolare, che lui chiamava Furio per i rami flessibili, sibilanti a ogni brezza come fruste, tra le cui forti braccia stava sempre da re. Ci passava le ore inseguendo sogni d'artista. Di pittura e poesia. Probabilmente in un'ansa del tronco tormentato c'era ancora la scatolina di latta con dentro il disegno su carta pergamena di una ragazza in bicicletta, capelli bruni al vento e vestito leggero rosso a fiori azzurri.
    Ragazza che lui credeva sarebbe arrivata magicamente per farlo innamorare.
    Doveva recuperarlo, quel disegno.
    Il tempo poteva averlo sbiadito ma non distrutto.
    Gli appariva chiaro nel ricordo. Rappresentava la sua anima e le sue speranze.
    Si avviò. Deciso a riconquistare quei sogni che Lina gli aveva negato, preda com'era del desiderio di vivere una vita concreta, ricca di cose, cose, cose. Ritenute irrinunciabili emblemi di successo sociale.
    Con quel disegno si sarebbe riappropriato della sua vera essenza.
    A passi rapidi, dunque, Riccardo iniziò a scendere verso il fiume. Finito il campo d'erbe, si avventurò tra pietre e rovi fino ai salici. E Furio lo riaccolse come se non si fossero mai lasciati. I rami a mimare un saluto mentre lui accarezzava il tronco solido e incominciava a sondarne le pieghe.
    La trovò, la scatolina. Era ancora là, rabbrunita dalle intemperie, tuttavia ben chiusa sul prezioso contenuto. La aprì, forzando deciso, e ne estrasse il disegno che ripulì, spianò, lisciò. E guardò sospeso.
    Lei era bellissima.
    E con lei ritornò il tempo dei sogni.
    La ammirò ancora e ancora. Rapito da tanta grazia.
    La portò alle labbra per riappropriarsene, e se la mise nel taschino dei jeans, mentre il cuore gli batteva impazzito.
    Un ultimo sguardo a Furio, e prese la via del ritorno, arrampicandosi veloce sulla sponda.
    Fu nel campo d'erbe, tra i minuscoli fiori bianchi e gialli che sfiorava con le mani aperte, procedendo lentamente. Finché non vide una macchia rossa, unica e speciale, alta sulle altre piante.
    Era un papavero che doveva essersi aperto da poco, pensò quasi incredulo.
    Era sbocciato alle sue spalle.
    Sfacciato, allegro, solitario papavero. Anche arrogante in quel suo svettare da re sulla platea di umili sudditi bianchi e gialli.
    Un segno, decise Riccardo.
    E cercò con gli occhi, d'istinto, la strada dove, in quel preciso attimo, stava passando una ragazza in bicicletta. Capelli bruni al vento e vestito leggero azzurro a fiori rossi.

18 Maggio 2023

Irene Navarra 

giovedì 25 maggio 2023

Poesia / Tanka: Nel Loto la via.

 

(IQ48), Dal fango la purezza, AI e
Grafica, 25 Maggio 2023.
 

Oh, riposare
su un letto vegetale!
Sempre che il Loto
ti offra il suo rifugio
tra petali di seta.
#Tanka 45

E nel profumo
dilagante in dense scie
- a occhi chiusi -
farsi stupore bianco.
E diventare intesa.
#Tanka 46

IQ48

Meditando, naturalmente, annullati nel fiore del Loto, nel suo profumo inebriante.
Lasciarsi stordire dalla forza millenaria che infonde in te, con la saggezza profonda dell'acqua da cui nasce.
Indossare la sua veste pura,  trascolorante a poco a poco nel decadere dell'inevitabile trasformazione.
Se inspiri il Loto Bianco, prendi coscienza anche del suo maturare: dal Fango in cui si propagano le radici alla Luce che lo fa sbocciare.
A cui Lui tende.
Lungo un processo sempre sulla soglia della Morte.
Morte in sé.
Dal suo Verde il viaggio verso la Luce.
Salute e Vita.
Dal suo Bianco l'accettazione che nella Luce c'è la Morte.
La Bella Morte.


(AI48), Petali di seta, AI e Grafica, 25 Maggio 2023.


mercoledì 24 maggio 2023

Prosa / Racconto breve: Ritratto in bianco e rosso (La neve nel cappello).

 

P_Irene Navarra, Ritratto in bianco e rosso, AIArt e GraphicArt, 30 Gennaio 2023.jpg




    Spalancai le persiane e rimasi a bocca aperta per lo stupore. Nella notte c'era stata un'abbondante nevicata e Gorizia si era vestita da sposa d'inverno. Ricami gelati su tetti e grondaie. Voile e organza sui giardini. Uno spettacolo.
    Neve e silenzio.
    Oh, quel silenzio ovattato che solo lei sa dare! Da sotto la sua coltre ogni suono emergeva smorzato, come in segno di complicità connaturata al fenomeno stesso.
    Peccato, mi dissi.
    L'evento climatico, incantevole di per sé, fiabesco davvero, mi sconvolgeva però i piani. In mattinata avevo programmato un giro culturale alle Scuderie di Villa Coronini Cronberg, che distava abbastanza da casa mia, per scoprire la mostra di un'artista coreana di pseudonimo #T-0∞, sconosciuta di identità e aspetto effettivi, definita - dai giornalisti non solo locali - alquanto suggestiva. Le testate nazionali se n'erano occupate, spendendosi in generose critiche per gli itinerari espositivi particolari e coinvolgenti.
    L'avrei visitata malgrado il tempo.
    Sarei andata a piedi. Ben attrezzata. Con l'equipaggiamento che tenevo da parte per qualche eventuale scappata fugace in montagna.
    Mai collaudato, peraltro.
    Niente macchina, allora.
    E ciò perché ho una guida particolare. A detta di molti, una guida disinvoltamente poetica. Ovvero: se vedo un fiore a bordo strada guardo quello e non la strada. Figuratevi con i fiocchi di neve che osserverei tutti al microscopio per coglierne le forme a stella. Meglio non mettere a rischio vite su vie ghiacciate, dunque sdrucciolevoli, di conseguenza pericolose.
A piedi! Alé, a piedi! mi ripetei, scuotendomi dal magico torpore del risveglio bianco.
    Bianco con un'assurda punta di verdino livido, però.
    Che mi causava inquietudine senza motivi espliciti.
    Così mi avventurai fuori casa, scivolando per il freddo tappeto srotolato sulla città, e arrancai fino al Parco di Villa Coronini Cronberg, che era il percorso obbligato per raggiungere la sede dell'esposizione.

    E là, nel Parco, successe qualcosa.

    Stavo con fatica affrontando il viale d'accesso in leggera salita.
    Occhi ai piedi, occhi alla meta. Con ritmo costante.
    Davanti a me, si muoveva agile una figurina vestita di una sorta di giacca smanicata rossa sopra un maglione antracite. Sulla testa sballonzolava un buffo cappello, anch'esso di colore acceso, da cui sfuggivano ribelli ciocche scure. Era curioso di foggia. Mai visto uno simile. Alto e cilindrico. Direi sproporzionato per la sua corporatura 
minuta.
    Lei, dunque, camminava spedita davanti a me, rollando appena le spalle, con grazia. La chioma adesso usciva sciolta dal cappello e ondeggiava sulla schiena. Accelerò le falcate, e non so come facesse. Sembrava volare. Le tenni dietro. Arrivata all'altezza della villa, svoltò a destra, inoltrandosi nel Parco tra pini italici insciallati da uno strato di neve che ogni tanto cadeva a falde in tonfi morbidi. Mentre si insinuava tra le piante iniziò a girarsi.
    E mi guardò. Con drammatico intento.
    Nel volto affilato e pallido un che di saggia arroganza, di puntuta consapevolezza.
    Si fermò e mi guardò per un tempo che mi parve lunghissimo.
Anch'io, ancorata saldamente a terra nei miei Moon Boot, la osservavo.
Mi diede l'impressione di voler parlare, poi, d'improvviso, si mise a correre e sparì dalla mia vista, inghiottita da un gruppo di allori.
    Le tenni dietro, lasciando il sentiero e inoltrandomi 
nel folto delle piante, ma non la trovai. Nemmeno una traccia rimaneva del suo rapido passaggio.
    Di Lei ritrovai solo il cappello rosso, posato a terra dalla parte del colmo e pieno di neve.
    Piuttosto confusa, ripresi a ritroso il tragitto, calcando i piedi nelle mie proprie orme, attenta allo strato di bianco sul suolo per intercettare le sue. Di esse, tuttavia, neppure un segno.

    La mostra si annunciava con una locandina criptica affissa sulla porta d'entrata delle Scuderie di Villa Coronini Cronberg. Nome dell'artista e titolo dell'esposizione coincidevano: T-0∞.
    T-0∞ presenta T-0∞, il testo essenziale. Sfondo bianco, grafia rossa.
    Nessuna ulteriore immagine.

    Ok, mi dissi. Vediamo un po'. Ed entrai.

    Nella prima stanza c'erano tre tele di grandi dimensioni riempite a spatolate dense di colore a olio dal bianco puro al grigio chiaro al verdino spento. Qualche traccia di natura scheletrita, aria fumosa in cielo. Dalla prima all'ultima leggere varianti date da un incupirsi cromatico e dall'inspessirsi progressivo di materia nella parte sinistra del quadro. Come se proprio in quella sezione si stesse formando della sostanza aliena al tutto. Un ectoplasma surreale.
    Nella seconda stanza in cinque dipinti, sempre di tecnica a olio, si clonava quanto avevo appena vissuto nel Parco.
    Istanti identici.
    L'esile figuretta in rosso con lo strano cappello, di spalle, il suo inoltrarsi tra i pini italici, il suo girarsi e guardarmi con la stessa intensità dell'esperienza già provata, lo sparire tra gli allori e l'incredibile volatilizzarsi, il cappello pieno di neve a terra. 
    Tutto uguale.

    Ero paralizzata. Un fascino sottile mi legava a quelle opere per me due volte vere. Quasi si enucleassero dall'esperienza appena vissuta.
    Mi feci forza per entrare nell'ultima stanza che sapevo dedicata alle presentazioni multimediali.
    Appena varcai la soglia, nel buio assoluto partì un video che si riprodusse su grandi schermi appesi alle pareti.
    Le immagini scorrevano insinuandosi tra folate di fiocchi di neve. Era Lei che danzava felice, i capelli - 
fluenti e  liberi - come nastri di seta scura nell'imperversare della tormenta di gelo.
    Danzava una carola infinita, piccola dea creatrice di malie, narratrice intrigante di favole oscure.

    Mi staccai a stento da quell'atmosfera sospesa, con un sospiro, conscia di stare lasciando un metaverso prodigioso che legava indissolubilmente la pittrice ai suoi fruitori.
    Mi staccai, mio malgrado.
    E presi, soggiogata da emozioni forti, la strada del ritorno, scrutando attentamente le zone     d'ombra dietro gli alberi.
    Non si sa mai, pensavo in allerta speranzosa.
    Non si sa mai.

23 Maggio 2023

Irene Navarra

domenica 21 maggio 2023

Prosa / Racconto breve: Una vita in pochi gesti.

L'amica Daniela Alessandri mi ha narrato di due anziani entrati - in ciabatte e tenendosi per mano - nel bar dove lei stava prendendo un caffè.
Io ho raccolto d'istinto lo spunto.
Ed ecco il risultato.
Grazie, Daniela.

(Irene Navarra), Amore puro, AI e Grafica, 20 Maggio 2023.



Una donna e un uomo anziani arrivano ciabattando sulla terrazza a mare del Maximilian's.
Sì, ciabattando.
Nel senso proprio della parola.
Arrivano con le ciabatte ai piedi. Di stoffa, un po' sformate, nere per lui, floreali per lei. Forse Defonseca. Mi pare di riconoscerle. Sono quelle della pubblicità televisiva. Comode di sicuro. Pensavo di prendermele per stare in casa. Loro le usano per venire al bar.
Bene.
Poveri piedi. Devono aver retto molti pesi, vista l'età avanzata dei legittimi possessori.
Mi viene da ridere.
E rido. Apertamente.
Seduta a uno dei tavolini esterni del bar dell'Hotel Riviera & Maximilian's di Grignano sulla magnifica costiera triestina, l'ultimo libro di Haruki Murakami aperto davanti, me ne sto, ironica e quasi allegra, incollata alle ciabatte dei nuovi avventori.
E rido, con un gridolino gorgogliante in gola. Da sfottò. 
Poi alzo - lenta - gli occhi, mi soffermo sulle mani intrecciate, sui volti serenamente amorevoli e mi vergogno di colpo per la mia stupida reazione. 
Ricomincio a narrare, quindi.

Appaiono sulla terrazza a mare del Maximilian's due anziani. Vengono dal Parco attiguo, tenendosi per mano. Volti avvizziti, stanchi, provati da anni difficili e chissà che altro. Camminano con cautela, sorreggendosi a vicenda. Si guardano ogni tanto, di sottecchi, con una complicità così naturale che non sono in grado di smettere di osservarli.
Entrano nel bar dell'Hotel e si siedono a un tavolino separato dagli altri, inquadrato in una erkerfenster con pesanti tendaggi ai lati.
Malgrado la bellissima giornata, vado anch'io all'interno per non perderli di vista. Non sono curiosa. Sono affascinata.
Ordinano. Rivolti al mare che luccica nel sole d'inizio Aprile e, ogni tanto, tra di loro.
In muti sorrisi dicono più di quanto può immaginare e descrivere uno scrittore sensibile e allenato.
Il mare è la loro cornice oltre i vetri.
Immaginate la scena: i due anziani al centro della finestra con ai lati i tendaggi pesanti di velluto color verde sottobosco, e il mare fuori, azzurro come non mai, e riverberante piccole luci d'oro a corona attorno a loro.
Riccardo Tosti con la sua speciale propensione al Luminismo li avrebbe di sicuro ritratti.
Sono dispiaciuta di stare all'interno in questa giornata di calma di vento. Succede poco dalle nostre parti. Che non ci sia il vento, intendo. La Bora è di casa. Urla e imperversa strappando le foglie agli alberi e portandosi via quanto non è stato ben ancorato a terra.
Sono dispiaciuta, ma anche tanto attratta da quelle creature così fragili e solide allo stesso tempo.

Maria e Vincenzo, abitano vicino. Stanno sempre insieme, mi dice il cameriere che mi serve un caffè profumatissimo con un ricciolo di panna spolverizzata di cacao amaro. Credo che mai nessuno li abbia visti separati. Vivono in una dependance della proprietà. Di cui, forse, erano i custodi, aggiunge confidente.

Anche loro hanno ordinato il caffè. Il caffè e una pasta a testa. Lei una fetta di torta Sacher, lui una Crema carsolina. Sempre così, continua il cameriere, mentre si avvia verso due giovani che gli stanno facendo cenno di venire.
Maria e Vincenzo mangiano piano, a sbocconcelli, e parlano piano, a mezze frasi e ammiccamenti. Potrebbero essere stucchevoli per il troppo amore palese, se non fossero tanto genuini nei gesti e nelle espressioni. 
Una vita passata fianco a fianco, dunque, la loro.
Che tristezza questo pensiero per me che di anni con il mio compagno ne ho passati solo due. Di fuoco all'inizio. Di algido distacco nei mesi ultimi del rapporto. Troppe differenze. Tutto troppo faticoso. Meglio tagliare. E il taglio, dapprima asettico, si è incancrenito in ansie e tormenti e nostalgie. Proprio a questo bar l'avevo incontrato, durante un corso d'aggiornamento di sedi diverse della stessa Compagnia d'assicurazioni. Noi ne eravamo i relatori. Proprio qua avevamo capito di piacerci e di volere una vita in comune. E proprio qua torno quando mi manca, e l'ansia mi attanaglia la gola.
Io, stupida giovane donna desiderosa d'amore.
Lui, opportunista giovane uomo desideroso di sesso.
Mai mi aveva guardata come Vincenzo guarda Maria.
Ora finalmente lo capisco.
Mi alzo, raccolgo Haruki, la tracolla, lascio i soldi per la consumazione e mi dirigo alla loro volta. Mi osservano come se sapessero, mentre si tengono le mani sul tavolino.
Avvicinandomi sorrido. Anche loro sorridono. Mi chino e li bacio sulle guance.
Ricambiano. Mi sento quasi una nipote, acquisita per diritto di comprensione sentimentale.
Mormoro Grazie, ed esco.
Nel sole che abbaglia.

20 Maggio 2023

Irene Navarra


sabato 20 maggio 2023

Poesia / Tanka 44: La mia meditazione è un fatto cellulare (Secondo racconto).

 

Irene Navarra, Nel farmi niente, AI e Grafica, 20 Maggio2023.

Talvolta voglio
essere puro niente:
una corona
di pistilli per l'ape
che viene dal giardino.
#Tanka 44

IQ48

Fondamentale il concetto del niente nella meditazione. La riduzione progressiva di qualsiasi aspetto della personalità dona una serena apertura alla contemplazione profonda e, di conseguenza, alla coscienza del proprio posto nell'universo.
Da qui, da tale prodigiosa agnizione, scaturisce il mutarsi in positivo: migliore salute nella tranquilla accettazione dell'essere ciò che siamo, ovvero: armonici intrecci di legami naturali, concatenazioni spontanee e in sé perfette.
Corone di pistilli o spine di rose, soffi di parole oppure sorrisi muti, lacrime... Emozioni. Questo siamo.
A occhi chiusi, quindi, seduti comodamente nel nostro angolo preferito, mani aperte l'una dentro l'altra, proviamo a sentirci niente. Per paradosso più la nostra sostanza si mortificherà, più brilleremo.


mercoledì 17 maggio 2023

Poesia / Tanka 43: Bianco - Caffè (Meditazione cromatica) .


Ci si può riarmonizzare con il mondo, appena svegli, grazie alla solita tazza di caffè?
Certo che sì. A me succede ritualmente ogni mattina.
Basta che nessuno e niente mi disturbino.
Il profumo del caffè, il suo colore, il colore della tazza sono tutti elementi che mi predispongono al successo.
Mi siedo al mio angolino del tavolo della cucina con la Moka fumante davanti, e mi accingo alla funzione quasi sacra del versare il liquido bollente nella tazza Bianca con il manico e il fondo tinta Caffé.
Lo faccio.
E aspetto.
Il Bianco mi calma la respirazione, il Caffè come colore mi stimola i pensieri, anche cupi, che il Bianco diluisce con la sua tranquilla influenza.
Un andare e venire continuo e piacevole.
So che la mia testa accorda e disunisce.
So che il Bianco e il Caffè si accordano in unità profonda.

E mentre il Bianco si espande in tutto il mio essere preparandolo al momento del primo sorso aromatico, all'intimità del Caffè che ti pervade la bocca e stimola i sensi, mi accoccolo in una sorta di tregua. Inspirando tracce di Bianco spruzzato di Caffè ed Espirando alienazione subdola.
Bianco e Caffè vanno oltre il contrasto e si uniscono nei miei dieci minuti di pace speciale.
Perlopiù questi piccoli esercizi di Meditazione spontanea mi bastano per il resto della giornata.


(IQ48), La mia droga, AI, 17 Maggio 2023.


Tazza di caffè -
Mattina - Naufrago in te.
E tu ti esalti
portando ebrezza nera
dentro la profonda me.

IQ48