Mio padre mi chiamava Nené.
A me piaceva quel diminutivo affettuoso.
Al solo sentirlo mi si scioglieva un che di dolce dentro,
e stavo bene.
Allora brillavano i giorni del miele che Nené, Bambina-Anima limpida,
viveva inconsapevolmente
Sul viso una perenne espressione di sublime sprezzatura
per tutto ciò che non fosse naturale.
Ora Lei ritorna.
E si fa pressante il senso di un rinnovato ascolto.
Piove solitudine sulla casa.Vado in giardino.Nel ruggine dei faggi l'Anima si bagna.Davanti a me Nené sboccia dal fango- come un estremo fiore dell'Inverno -e appoggia il viso sulle maniintinte nella terra fradicia.
(Così facevo da bambina.)
Il gelo sale mentre ascoltoil ciangottio dell’acqua e delle sue parole.Sento un Distacco ch'è profonda pena.Di passo in passo mi avvicino.Di passo in passo si allontana.Devo parlare.Gettare ponti trasparenti e luminosi.Prenderla nella rete della pioggia.Amarla ancora.Unire le nostre solitudini.Per stare inginocchiate sulle foglie molligiocando a pietre con incerte dita.Lei che ora ride in me,Io che rido in Lei.