Visualizzazione post con etichetta #prosa. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #prosa. Mostra tutti i post

venerdì 3 novembre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (5 - Napoli).


    Il passato ritorna
    Sono in una casa da cui si vede il mare.
    Sento le voci dei venditori ambulanti, le chiacchiere dei cugini. Ora mi arriva la chiamata di zia Elena per il pranzo. In frenesia approdiamo ai nostri posti a tavola da ogni angolo della grande casa.
    Profumo di peperoni arrostiti, d'impepata di cozze, di tortano appena sfornato.
    Fra poco mangeremo sulla terrazza che domina il porto della mia Napoli. C'è un'allegria incontenibile.
    L'estate dilaga.
    Noi naufraghiamo in lei.


Immagine generata con AI Stable Diffusion su Prompt molto dettagliato (https://stablediffusionweb.com).
P_Irene Navarra, Napoli mia, AIArt e GraphicArt, 2 Novembre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion -


Napoli si veste
di colori pastello
nei miei ricordi.

E il mare canta
la libertà dei giorni
senza dolori.


mercoledì 1 novembre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo, Le tracce di mio padre (4 - Napoli).

 

Immagine creata con AI su prompt dettagliato e preciso (https://stablediffusionweb.com).
P_Irene Navarra, Le tracce di mio padre, AIArt e GraPhicArt, 1 Novembre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion -


    Sono a Napoli, nell'appartamento di nonna in via Chiaia.
    La pendola appesa alla parete dietro la scrivania, che era di nonno Luigi, rintocca le 11.00.
    L'amica per la pelle - e compagna di classe - Thea, riposa stesa a terra vicino a me.
    Abbiamo trascorso la notte sulle sudate carte di latino e greco che porteremo agli esami di Quinta Ginnasio. Siamo davvero stravolte.
    Papà viene a trovarci. Entrando getta uno sguardo alla parete di destra su cui campeggia il quadro a olio di suo padre, morto di febbre spagnola quando lui aveva appena pochi mesi.
    Lo fa sempre quando entra in questa stanza.
    Poi si gira verso di noi,
    La giacca in lino un poco spiegazzata, bianco grezzo, i pantaloni beige, sempre in lino, la camicia azzurra, il cache-col dai toni freddi, il Borsalino spinto sulla nuca, ride, papà, come un invasato ai nostri segni di stanchezza dopo ore e ore di applicazione ai sacri testi e un vaso di melanzane sott'olio casalinghe svuotato completamente. Vuole sollevarci il morale, come suo solito. Non abbiamo la forza di rispondergli con leggerezza.
    Allora sparisce in camera da letto, vi si ferma un paio di minuti, e ricompare.
    Pigiama blu, sulle spalle un asciugamano grande color arancio come mantello. La sciarpa di seta a disegni cachemire di nonna Maria a mo' di turbante in testa, vola nella stanza e lungo il corridoio, cantando il tema di Lawrence d'Arabia. Le sabbie del deserto si alzano in mulinelli attorno a lui.
    Tu sei Lawrence. Io lo so. Convinto di stare cavalcando un cammello in corsa.
    Thea e io, il pubblico di un film spettacolare.
    Così scoppiamo a ridere e lui, finalmente soddisfatto, torna al Borsalino, al suo cache-col e ai lini dell'abito da passeggio.
    Occhiali scuri e di buon passo nel sole fino alle rive di via Caracciolo, alla Villa, al mare.

    Un attimo da quei rituali di felicità, e ci fu Autunno, il cadere della foglie, l'assenza. 
    Resta l'eco della sua voce allegra che canta con ironia La pansé di Renato Carosone.


Pansé viola, 'a mij,
~ surriso - ammore - priezza ~
pansé gialla, 'a toia



martedì 31 ottobre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (3 - Gorizia).


Siamo a Gorizia.
Correva l'anno 2015.

L'immagine è stata generata Con Stable Diffusion XL (https://stablediffusionweb.com).)
P_Irene Navarra, Pablo tra i fiori, AIArt e GraphicArt, 31 Ottobre 2023.


    Ho per meta un luogo speciale.
    Mi precede il mio esploratore preferito: l'unico di cui mi fidi. È un cane. Un Golden    Retriever di nome Pablo. Il mio cane.
    Dalla nostra casa in Gorizia - nella parte alta della città delimitata da colline morbide e dalla cintura turchese dell'Isonzo -  punta dritto al Monastero delle Orsoline che sorge a poca distanza.
    Io gli corro dietro.
    Si gira a guardarmi davanti al portone d'accesso ed entra sicuro con il suo passo dinoccolato ed elegante. Da Lord inglese. Una gioia per gli occhi.
    Lo trovo nell'atrio che mi aspetta.
    Ci sono.
    Scampanello.
    Suor Elena, amica e compagna da sempre di avventure spirituali, mi apre.
    Siamo dentro. Nel cuore del Convento.
    Un minuto di attesa, ché sistemi il suo tombolo e affidi a una consorella la portineria, e ci infiliamo nel corridoio dal pavimento tirato a lucido che ci porta al Parco.
    Il Parco è un altro mondo.
    Una dimensione secolare fatta di alberi antichi, rigogliosi e non, con ferite di un vissuto importante nei tronchi. Pablo è felice. Corre libero saltando di aiola in aiola. Annusa i fiori, le erbe. Si tuffa nei cespugli. Rincorre scoiattoli che si beffano di lui dall'alto delle loro tane aeree. Poi si accuccia sereno davanti a un ricco ciuffo di margherite.
    Lui ama le margherite.
    Noi ci avviamo verso il tavolino di pietra tonda (la nostra Tavola Rotonda della nostra Camelot segreta) che pare attenderci all'ombra dell'immensa sughera, signora del luogo.
    Adesso il profumo della sua corteccia è intenso.
    Sparge sentori prodigiosi quando siamo sotto i suoi rami contorti. Abbiamo capito da un po' che è il suo modo di assentire - aromaticamente - al nostro presentarci al suo cospetto.
    Di fronte: due tassi ormai quasi decrepiti ci sorvegliano.
    Nascondono di sicuro i druidi che qui danzavano al chiaro di Luna.

    Mi tolgo lo zaino dalle spalle, lo appoggio su una panchetta sempre di pietra, lo apro con religione e ne estraggo: formaggio montasio, pane, mandorle, un bottiglietta di Pinot bianco fresco e due bicchieri. Sistemo il tutto sulla Tavola Rotonda.
    Verso il vino.
    Alziamo i bicchieri.
    Brindiamo.
    A noi e alla vita.
    Pablo, immobile davanti alla grotta della Madonnina di Lourdes qua ricreata, coglie il sacro del luogo e scodinzola.
    So che sorride.
    Lui vede cose che noi non vediamo.


E rientrando
l'ombrello di Elena
appeso al portone.


Irene Navarra, L'ombrello di Elena, FotoInstagram, 29 Giugno 2015
.


lunedì 30 ottobre 2023

Prosa / Di draghi e altro: Racconti.

 
Questo libro mi perseguita.
Ce l'ha amichevolmente con me perché gli resisto.
Vedremo come andrà a finire.


Irene Navarra, La scrittrice e il suo libro, AIArt e GraphicArt, 25 Ottobre 2023.


    Sta nascendo il mio libro di racconti.
    Nell'immagine il titolo.
    Non sono ancora convinta che sia una buona cosa. Il pubblicarlo, intendo.
    Ci penso e intanto lavoro.
    Annoiata, perché mi pesa l'impegno del correggere che scatena in me una forma di compulsione insopportabile.
    Sono un'ossessiva nelle revisioni.
    Maniacalmente immersa in quanto già scritto.
    Detesto le ripetizioni di vocaboli che, qualche volta e purtroppo, mi sfuggono. Le scopro sempre, vista la mia formazione da filologa esasperata, ma le criminali evase mi fanno stare male al punto da sognarle la notte come aguzzine pronte a perforarmi il cervello. 
    Così mi sveglio e corro a controllare.
    Ancora e ancora.
    Insomma: le parole sbagliate o superflue affiorano a livello di coscienza e si rivelano nel sonno.
    Uno stress indicibile.
    Perciò non amo pubblicare.
    Cerco di evitarlo.
    Non so, però, se ci riuscirò.
    Questo libro mi minaccia in modo bonario.
    È un libro positivo.
    Probabilmente non sarò in grado di resistere.
    E penso: finché resta nel limbo delle cose sospese, mi salvo.
    Poi saranno dolori.
    Povera me!


domenica 29 ottobre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (2 - Trieste).


Partiva per l'ennesima volta.
E con lui il mio pensiero.
Il cuore no.
Restava qui a rimirare il mare con la luce dei nostri occhi dentro. Blu mare in noi, mescolato sempre all'argento del distacco. Ogni onda un ricordo. Travolgente e profumato di pini. I nostri corpi sapevano di resina. Nei capelli aghi pungenti. Scaglie di pigne sulla pelle.
A Miramare, nel Parco del Castello di Massimiliano e Carlotta, l'aria stessa ci faceva mito. Le rive, poi, di Trieste bella ci accoglievano sorridenti verso casa e il Pelinkovac versato a goccia nei bicchieri colmi di ghiaccio.


P_Irene Navarra, Lungo i binari nel giorno del distacco, AIArt e GraphicArt, 28 Ottobre 2023.


In ogni punto
del viaggio verso Vienna
tra le tue mani.

Sono un giornale
che racconta amore
privo d'inchiostro.


mercoledì 11 ottobre 2023

Poesia / Ritratti: Ombre e Luce. Io.

 

Lo scorrere del tempo rimargina molte ferite.


P_Irene Navarra, Ombre e Luce, AIArt e GraphicArt, 11 Ottobre 2023.
Immagine generata con Stable Diffusion.


Ombre sul volto
Luce sui capelli.
Un'altalena di emozioni, la mia vita.
Attratta dall'Eterno che consola
non ho paura dell'Oscurità incipiente.
Ne ho fatto utile esperienza
nel passo dopo passo di giornate
sempre col respiro corto.
 
Ora sono bastevole a me stessa.
E non piango.


martedì 10 ottobre 2023

Poesia / Ritratti: Carlotta e le rose bianche.

 

Non più scarlatto
per il mio volto stanco
e il cuore chiuso.
Solo l'immacolato delle rose rare-
antichi amori.




P_Irene Navarra, Carlotta e le rose bianche, AIArt e GraphicArt, 10 Ottobre 2023.
- Immagine generata con Stable Diffusion -


"A 80 anni ho ritrovato la gioia di vivere. E le rose.
Quelle bianche. Opulente e innocenti.
Adesso me le infilo di nuovo nei cappelli. Come emblema della forza rinata. Ho superato tempeste di malattie gravi e morti devastanti. Ciò che mi ha stroncata, è stato l'assassinio di mio nipote, Alessandro il Bello re del mio cuore di nonna. Colpito per strada da un proiettile vagante. Era stupendo. In tutti i sensi. Mia figlia se n'è andata con lui. Qualche mese dopo. Non ha retto.
Io sì, invece. Non volevo, ma...
Così sono tornata alle rose. Quelle bianche.
Per piangere con amiche complici.
Loro, però, non volevano le mie lacrime. Volevano sorrisi.
Le rose mi hanno salvata.
Un giorno, passeggiando nel mio Giardino personale, mi sono sentita chiamare da una voce strana. Scrosciavano parole come acqua di fonte. Mi sono girata e ho visto un cespuglio di rarissime Ferencz Deàk agitarsi. Il loro bianco mi accecava. La vena rosa data dalla carezza del sole sfumava ineffabile. Una in particolare propendeva verso di me. Era la quintessenza della grazia. Immacolata e ciarliera.
L'ho ascoltata. Mi ha detto di ridere. Mi ha detto che le mie rughe diventavano solchi incredibilmente simpatici quando ridevo. Che ci avrei potuto coltivare i loro semi da tanto erano profonde. Mi ha detto Sei bella, Carlotta, figlia mia, ridi.
Ho capito che la rosa era mia madre e ho riso di cuore."

Carlotta d'Arcois, Mémoires, 1968.






lunedì 9 ottobre 2023

Poesia / Ritratti: Le collane di Carlotta.


 
Avere fiori attorno al collo
è un modo per salvare la bellezza.
Ormai non mi specchio più.
Guardo loro.

Carlotta d'Arcois, Mémoires, 1943.

P_Irene Navarra, Le collane di Carlotta, AIArt e GraphicArt, 9 Ottobre 2023.
Immagine generata con Stable Diffusion.



"Potevo fare a meno di tutto.
Ma non dei fiori.
Niente più cappelli ornati di rose scarlatte e carnicine, però. Sì a collane di piccole corolle variegate. Modeste e sincere.
Con l'avanzare dell'età dovevo tenerle più sott'occhio, le mie creature speciali.
Appese al collo, dunque. Intrecciate a sagome di tulle predisposte in cui infilavo i sottili gambi.
Ogni mattina.

Le rose - quelle dei cappelli freschi di fragranza - continuavano a parlarmi della mia vita lunga, così diversa dal loro durare tanto poco.
E mi infastidivano.
Le scansavo. Erano impenitenti vanesie. 
Tuttavia talvolta mi ci imbattevo per caso, così ne approfittavano per ricordarmi il solito ritornello.
Fortunate, io rispondevo.
Andarsene nell'arco di momenti, è un dono.
Vedersi spegnere per tempo e tempo in una nebbia come ovatta soffocante, è una maledizione."

Carlotta d'Arcois, Mémoires, 1943.


domenica 8 ottobre 2023

Poesia / Ritratti: Carlotta d'Arcois (L'antenata).


L'antenata.

Lei, Carlotta, mi appare in sogno.
La vedo muoversi per il parco rigoglioso attorno alla sua villa cinquecentesca.
Elegante, e bellissima.
Speciale.
Ma del tutto ignara della sua unicità spontanea.
Mi raccontava nonna Maria del suo amore per le rose, soprattutto scarlatte e carnicine. 
Era una luce che irradiava sugli altri il suo generoso calore.


P_Irene Navarra, Carlotta d'Arcois, AIArt e GraphicArt, 8 ottobre 2023.
Immagine generata con Stable Diffusion.


"Ogni mattina, in primavera, scendevo nel parco che circondava la mia villa, andavo alle aiole delle rose e ne coglievo alcune. Quelle aperte ma non del tutto, carnose, opulente, persino arroganti nella loro bellezza. Sfacciate con discrezione. Le ammiravo per un po' e poi le componevo in modo adeguato per adornare il mio cappello del giorno. Cappello che indossavo per la passeggiata rituale lungo i viali del Giardino personale: un angolo di Paradiso arboreo e floreale che curavo con le mie mani, affiancata da Edilia, l'erborista di casa. Passeggiavo, dunque, protetta dal mio copricapo profumato di fresco. Da sola o in compagnia non era importante. Anzi, devo dire che preferivo la solitudine in quei momenti, perché senza testimoni potevo muovere la testa a mio piacere - in modo buffo, penso - per far espandere attorno la fragranza delle amate rose. E iniebriarmene con gioia."

Carlotta d'Arcois, Mémoires, 1910.


Dal Libro dei Ricordi di famiglia:

Il copricapo con le rose fresche
espande la sua essenza a ogni movimento.
È l'anima odorosa di quei fiori
che scende in me
e mi fa sua.
Sono fragranza impavida:
velluto e seta di petali carnosi,
il sangue sulle spine
di chi tentò la mia conquista.

Carlotta d'Arcois 

lunedì 21 agosto 2023

Prosa / Racconto breve: Henrietta e il drago,


Irene Navarra, Henrietta e il Drago, AI olio su tela, 18 Agosto 2023.


    Vestita di un abito color cannella che le lasciava scoperte le spalle, i lunghi capelli tanto biondi da sembrare bianchi raccolti in una crocchia scomposta sulla nuca, la giovane Henrietta camminava spedita. Il crepuscolo settembrino aveva rinfrescato l’aria e lei voleva arrivare a casa in fretta. Sulla via del ritorno, tuttavia, l’attendeva un imprevisto. Proprio in mezzo al tratturo che si snodava tra i campi e arrivava al cancello di servizio del suo giardino, al centro preciso di una modesta curva a gomito, c'era qualcosa di strano.
    Una forma quasi di piccolo dinosauro con una cresta sul dorso, due miniali aperte sui fianchi e una lunga coda, se ne stava in una fessura del sentiero.
    Henrietta si fermò un pochino interdetta, si stropicciò gli occhi e guardò cercando una messa a fuoco migliore.
    Forse era un'allucinazione. Guardò, quindi, aspettandosi il nulla di sempre.
    E tuttavia la forma era là.
    Sussultava a tratti. Come se respirasse a fatica.
    Che fare?
    Decise di avvicinarsi.
    Avanzò piano, fermandosi a circa mezzo metro da quello che ormai si poteva definire un animale.
    Immerso in una specie di catalessi, a tratti bubbolava. Ovvero buttava fuori l'aria dalle narici in scoppiettii ripetuti.
    Sembrava un incantevole, minuscolo drago bianco. Bianco tutto il corpo, la coda, le creste della testa e del dorso. Le ali e le zampe, invece, viravano in vaniglia caldo.
    Un drago. Uscito da un libro di favole. Divenuto realtà per qualche caso astruso.
    Uno spettacolo incredibile, però.
    Nessuna paura la agitò. Anzi un'intensa ridda di emozioni le si scatenò nell'intimo. Per qualche oscura ragione riusciva a cogliere la fragilità di quella creatura singolare.
    Si inginocchiò, pertanto, accanto alla buca, posò lo zainetto a terra togliendoselo dalle spalle, lo aprì con calma e ne estrasse una sciarpa azzurro cielo di morbidissimo chiffon.
    Sarebbe stata la culla di fortuna per depositarvi il piccolo drago.
    Lui si lasciò prendere senza reagire. Aprì gli occhi, scrutò per un attimo Henrietta con pupille verdissime - due perle smeraldine velate di tristezza - e si rincantucciò tra le sue mani amorevoli, accomodandosi nella sciarpa azzurro cielo che lei rimboccò attorno al buffo muso.
    Poi si addormentò. Profondamente al punto da sembrare esanime.
    Henrietta, però, sapeva con chiarezza che lui viveva, dato che il corpicino iniziava a scaldarsi e il petto andava su e giù, con ritmo regolare.
    Che incontro! realizzò allora Henrietta.
    E corse verso casa.

    Percy intanto sognava quanto gli stava accadendo. Come in un film. A un certo punto si accorse di trovarsi in una cuccia grande e confortevole, accanto a un letto dove riposava la sua salvatrice, emettendo ogni tanto dei lievi sospiri. Di soddisfazione, pensò. Per averlo trovato. Felice dell'ipotesi, si girò sull'altro fianco e continuò a nannare.
    Non stava così bene da molto.
    Aveva vagato e vagato. Una meta c'era, di sicuro. Ma non sapeva in quale luogo.
    Finché non era arrivato alla rustica stradina di terra rossa serpeggiante tra i campi. Là avrebbe avuto inizio la sua vera avventura. In qualche modo sarebbe successo. Lo aveva capito nel suo cuore di drago buono.
    E avveniva per davvero.
    Protetto dai teneri sentimenti di Henrietta, Percy si avviava al termine prefissato per ogni essere della stirpe dei draghi bianchi. Quelli cioè che avevano compiti segreti e delicati da svolgere, e non si trasformavano mai in sputafiamme, pur se impauriti o attaccati.

    Dopo un tempo che Percy non poteva valutare (ore, giorni?), Henrietta gli sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre lui ancora planava tra nuvole e fiori, ornandosi le creste di gelsomini nel lungo dormiveglia ristoratore. Aguzzò i suoi ipersensi e udì che gli comunicava una notizia fantastica: Ti chiamerò Percy, bisbigliava accarezzandogli la punta del naso, il diminutivo di Percival. Come lui anche tu hai percorso strade infinite, lo sento. Qui c'è il tuo Graal. Quando ti sveglierai, brinderemo insieme, con latte e succo di lamponi.
    Percy sognò che lei lo battezzava solennemente con quello che era il suo nome sin dalla nascita. Gli faceva cadere alcune gocce di latte sulla testa, scandendo le parole: Tu sei Percy.
    Henrietta lo aveva intuito.
    E ciò significava una cosa sola: lei era la sua meta.
    Dopo questo pensiero, il sonno ritornò pesante e beato.
    E lui fu solo una minuscola anima fluttuante.

    Colma di gioia per l’incontro inaspettato Henrietta parlava di Percy a tutti, ma nessuno le dava credito perché nessuno lo percepiva o vedeva. Non si accorgevano della sua esistenza.
    Credevano che la ragazza fosse lievemente disturbata e non la contrastavano.
    Henrietta chiacchierava con Percy e gli raccontava il suo disagio. Lui ribatteva-spiegava-rintuzzava-assentiva-dissentiva, cercava di consolarla, rappresentandole la poca importanza del fatto che nessun famigliare o amico volesse darle fiducia e partecipare ai loro dialoghi. 
Lei se ne lamentava, mentre banchettavano a pane e miele e bevevano latte con succo di lamponi.
    Chiedeva che distorsione fosse quella.
    Percy viveva in una dimensione parallela visibile solo a lei?
    Lui rispondeva paziente e la invitava alla gentilezza e allo stare di animo sereno.
    Li aspettava un futuro ricco di vicende fascinose. Non doveva crucciarsi. Lei era Sole, Luna, Stelle. Brillava di una Luce abbagliante. Lui era nel suo destino. Questo bastava.

    Destino che, intanto si andava preparando, nonostante le saltuarie ubbie, comunque solo momentanee. Duravano i dieci secondi della preghiera recitata ritualmente in coro quando dovevano esorcizzare qualcosa di brutto, tipo ingiurie e atteggiamenti maligni.
    Per il resto Henrietta e Percy gravitavano in una dimensione perfetta.
    Lei imparava da lui il linguaggio dei draghi: una serie di gorgheggi modulati che erano la chiave per comunicare con i fiori.
    Lui acquisiva da lei le tecniche migliori per arrampicarsi sulle querce e da quelle postazioni privilegiate guardare l'orizzonte, immaginando di arrivarci in volo.
    Percy ascoltava con espressione compunta, nascondendo l'innata dote magica del teletrasporto per sé e per gli amici. Non ne abusava mai. La formazione severa, che gli era stata impartita, si basava sul principio della riservatezza. Che non aveva mai, proprio mai, travalicato.
    Ora era arrivato il momento.
    A voce ferma scandì a Henrietta l'ordine di chudere gli occhi e di contare per tre volte tre.
    Dopo avrebbe potuto riaprirli.
    Lei obbedì d'istinto e seguì le indicazioni.
    Dunque: nel preciso istante in cui le palpebre le si dischiusero, immediatamente comprese quanto era successo e atteggiò la bocca in un oh di stupore. Sedeva, con Percy allato, tra i rami del gigantesco cedro cresciuto sulla collina blu-viola che prima era stata il loro orizzonte.
    Il ritorno sulla quercia fu altrettanto veloce e prodigioso.
    Da quell'esperienza Henrietta non stressò più Percy con lagne inutili. Accettò il suo miracolo e si godette lo scorrere delle stagioni.
    L'Autunno, l'Inverno, La Primavera e l'Estate successivi al loro incontro divennero gli stupendi scenari in cui ambientare la quotidianità, balzando di esplorazione in esplorazione.

    Una notte, prima di addormentarsi nella sua cuccia (si era agli inizi di Settembre), Percy disse a Henrietta che la mattina, al risveglio, sarebbe iniziato quell'itinerario favoloso che il Tempo tesseva per loro.
    Henrietta non capì del tutto, ma si fidava.
    Biascicò e scivolò nelle visioni di ogni notte, con cani, gatti, merli... e Percy. Sapere di un domani con lui, il suo Percy bianco-vaniglia, era già un motivo valido per dormire saporitamente.

    Henrietta e Percy si alzarono all'unisono portati da uno stesso desiderio: uscire alla chetichella per scorrazzare nelle campagne selvagge attorno a casa, scendendo fino al fiume, magari. Fecero la solita colazione di pane con miele, latte con succo di lamponi e presero il viottolo che li avrebbe portati alla calma libertà di quei luoghi deliziosi, dove si erano imbattuti a vicenda.
    Saltellavano, si spingevano, cantavano motivetti d'invenzione. Percy aveva una voce da tenore bella e melodiosa. Chi mai l'avrebbe sospettato in un draghetto bianco e vaniglia! Henrietta intonava il tema di fondo e suonava un immaginario violino, la cui musica si generava magicamente.
    Ah, l'intelligenza dell'universo! Quanto era potente! Nessun software ultratecnologico sarebbe riuscito a eguagliarla. Neanche un briciolo di meraviglia in loro per la sinergia che sembrava scaturire dagli alberi, dal cielo, dal Creato tutto. Erano parte di un prodigio dalla consistenza talmente reale da non dubitarne.
    Scherzando e ridendo, quindi, arrivarono al fiume, alle sue acque turchesi, alle robinie, ai rovi, ai cespugli di vitalba e caprifoglio, ai pioppi e ai salici rigogliosi tra i cui fusti inscenarono lieti giochi innocenti.
    Armonie di una gita in piena letizia.
    Grazia pura.
    Finché non avvertirono un guaire flebile.
    Si precipitarono, Henrietta e Percy, verso il luogo da cui sembrava arrivare il richiamo e giunsero con il fiato corto a una piccola ansa riparata da degli imponenti massi disposti in semicerchio attorno all'acqua a formare un primitivo tempio naturale. E là, in un'erosione profonda della pietra di centro videro un cane riverso nel fango. Sembrava un Setter. Uno dei numerosi spesso abbandonati dai cacciatori. Lo raggiunsero e, mentre Henrietta lo esaminava per vedere se avesse qualche frattura, scoprendolo maschio, Percy le posò il muso sulla schiena e le disse: Te l'avevo preannunciato che questa sarebbe stata una giornata speciale. Ecco, lui sarà il tuo compagno per molti anni e io vi scorterò con il cuore. Ho svolto il mio compito. Entro breve non mi vedrai più. Ma non per questo non sarò accanto a voi. Sono un'infinitesima parte dell'anima che fa vivere l'universo. Io sono voi e voi siete me. Addio, amica cara. Adesso posso tornare in pace al mondo mio d'origine.
    E sparì.
    Con le guance inondate di lacrime e una sofferenza atroce che la lacerava, Henrietta raccolse l'infelice vittima della crudeltà umana e filò rapida verso casa. Percy era al suo fianco, lo sapeva, e la confortava la convinzione che non fosse scomparso completamente.
    La sua dolcezza restava e la aiutava a concentrarsi sul necessario da compiere.
    Quando arrivò nella cucina, rifocillò il cane con del latte e del pane spalmato di miele, poi lo ripulì alla bell'e meglio e lo depose nella cuccia che era stata di Percy. Solo allora lui, il suo strappato a una morte certa, le volse lo sguardo.
    Aveva occhi tondi e verdissimi.
    Due perle smeraldine velate di tristezza.
    Tondi e verdissimi.
    Henrietta gli appoggiò una mano sulla pancia e continuò a piangere.
    Ma non di dolore.
    Di gratitudine.

20 Agosto 2023
Irene Navarra


sabato 12 agosto 2023

Prosa e Poesia / 145474: Vita della mia vita. Racconto di Irene Navarra.

  

Questo Racconto breve è nato da una suggestione musicale.
L'amica Michela Cuschie, pianista e interprete eccellente, mi ha fatto ascoltare "Sapere di esistere"
di Licio Venizio Bregant, un compositore locale di grande sensibilità.
L'emozione è stata travolgente.
La necessità di esprimerla in parole e immagini, immediata.


Irene Navarra, Le rose rosa, AI Olio su tela, 12 Agosto 2023.


Piccolo Poema in prosa alla maniera di Charles Baudelaire.

    Vita mi viene incontro.
    A passo di danza lenta.
    Ha tra le braccia un fascio di rose rosa tenue.
    Non me le porge.

    Spero lo faccia, ma no.
    Se le porta al seno, come per proteggerle, e si ferma, discosta alquanto, guardandomi indecisa.
    Vita è indecisa su di me.
    Deve capire.
    Mi merito la luce delle rose?
    E le coreografie perfette del suo venirmi incontro?
    Non so se cedere all'impulso di correre a trattenerla, oppure ritirarmi come ho sempre fatto.
    Là però ci sono le rose.
    Di quel rosa cenere sfumato del mio rosaio antico nel giardino ormai quasi selvaggio.
    Sul fusto c'è la V di Vida, mia madre, "accuditora" di piante ed esistenze.
    La V di Vida.
    Vita della mia vita.
    Una stupenda V che aleggia tra i rami intricati, tocca le foglie, i fiori e poi dilegua in pulviscolo leggero.
    Vita della mia vita.
    Nel solco accanto al tuo sta la mia lettera iniziale in una crepa che non è più abisso da quando ho visto Vita danzarmi incontro.
    Così mi volgo a Lei, accenno un movimento un po' sbilenco, poi spicco un salto astrale e sono a respirare tenui sentori di rose rosa cenere.
    Le sfioro, le accarezzo, me le trovo in mano, le spine confitte nella carne, il sangue che scorre tumultuoso su di loro, in me.
    Le rose strette al petto, guardo il cielo e dico piano:
    "Sono qui".


lunedì 24 luglio 2023

Prosa / Racconto breve: Urania, la ladra di cielo.

 


Irene Navarra, La ladra di cielo, AI matite colorate su carta ruvida, 24 Luglio 2023.


    Scherzi lungo la strada che da casa ti porta a San Mauro, e giù lungo l'impervia discesa fino all'Isonzo.
    Fingi di strappare con le dita un po' di cielo. 
E ti picchietti la faccia, avvertendo un immediato pizzicore. Poi ti pennelli con i polpastrelli come se ti truccassi, per fissare i colori attinti in alto. Incontaminati perché sopra il mondo.
    Questa la sensazione.
    Ora che ti sei toccata con dita di cielo, non sei più la stessa.
    Stai mutando.
    Di sicuro tu non sei più la tu di prima.
    Cammini senza poggiare i piedi a terra, ondivaga come una foglia portata dal vento. Voli danzando verso il fiume verde-turchese di linfa sulle cui rive sei cresciuta selvaggiamente unica.
    È lo specchio della tua anima.
    In lui ti ritrovi sempre.
    Arrivi al fiume, scivoli tra ciottoli tondi e muscosi, distendendoti poi sulla grossa ghiaia - quasi morbida, come dici sempre - che lo contiene, ti affacci dalla sponda e ti rifletti nella corrente limpida.
    Non serve che ti guardi.
    Se ti guardi, temi di perdere l'anima.
    Non vuoi che se ne vada, disciolta in rivoli e spume trasparenti.
    I tuoi contorni intimi li conosci bene.
    Così vedi l'immagine di te a occhi chiusi, in tremolio lieve di fluidi cangianti, mentre la natura attorno esulta, sfolgorando complice.
    Come a sorridere della tua purissima ingenuità.

    È l'acqua che ti viene incontro.
    Ti accarezza piano salendo dal suo letto.
    Tu la raccogli con le mani e la porti alle labbra.
    Le palpebre sono serrate, la bocca dischiusa.
    Il bacio è dolce.
    L'assapori con intenso piacere, poi la lasci filtrare tra le dita e, finalmente, guardi il cielo.
    Come in un rito sacro. 
    Lassù, negli angoli estremi della tua visione, ci sono segni.
    Cancellature.
    Graffi.
    Smagliature del tessuto astrale.
    Lo sai: sei stata tu.
    Ma dove sono andati a finire i pezzi di cielo mancanti?
    D'istinto porti le mani alle guance, al naso, esiti sospesa, scorri tutto il viso, e capisci.
    Là, dove ti sfiori, la pelle è fresca come se fosse azzurra dell'ora azzurra prima della notte.
    Sei riuscita a strappare con le dita un po' di volta celeste, dunque, mentre giocavi a grattarne la stupenda tinta con le unghie. Perle traslucide che raccolgono sfumature.
    Ecco. Ti sei fatta di cielo.
    Con il cuore reso nuvola leggera ti volgi alla strada del ritorno.
    Tu, ladra di cielo.


domenica 16 luglio 2023

Prosa / Racconto breve: Di verde mi in-vesto.

 
Vi accompagno nel mio mondo di trasformazioni.
Buon viaggio.

Irene Navarra, Di verde mi in-vesto, AI e Grafica, 15  Luglio 2023.
    


    Mi guardo le mani.
    Sono strane.
    Sembrano sfarinarsi in polverina luminosa
    Ne ho minimamente paura.
    Cerco di nasconderle, mettendole conserte.
    Mi sta succedendo qualcosa.
    Qualcosa di bello.
    Sento un fluido potente che mi scorre nelle vene.
    E mi amplifica i sensi.
    Sorprendo suoni mai sentiti: fruscii come sospiri di velluto, schiocchi come frustate, vibrazioni che iniziano lontano in boschi vergini, e diventano parole, e vengono sin qui, in questo luogo sacro dove varcherò ogni soglia umana per farmi sostanza sinuosa.
    Ogni forma in me cambia a poco a poco.
    La pelle, adesso, si copre di un pigmento argenteo.
    Salvia selvatica e menta piperita assieme.
    Foglia di vite e fiore di sambuco legati in simbiosi unica.
    Interazioni straordinarie creano creature singolari, rimescolandole in modelli di nuova generazione.
    Così i miei contorni mutano tra chiaroscuri di sottobosco boreale.

    Non so se sono quercia o muschio o felce.
    Non so se sarò spora che naviga nell'aria e poi si quieta nella culla della terra.
    Oppure seme che precipita dal frutto o dal baccello secco, e si propaga.
    Comprendo piano piano una natura in dialogo attraverso correnti sotterranee consolidate in reti di gamme verdi e perlacee consistenze.
    Le vene vegetali proteggono.
    E se le lasci fare, trasmigrano in noi, aprendoci la mente.
    La metamorfosi induce adattamento emozionale.
    Allora il me di recente acquisizione riscopre i ritmi universali.
    Mentre il presente si fa di "sovrumani silenzi e profondissima quiete", mentre il vento mi stormisce in carezze mute.
    Sono libera.
    Immensamente libera.
    E danzo.
    Al suono di una musica sottile che non è mia. 
    È del Tutto. 

Nel giorno della Metamorfosi, addì 16 Luglio 2023.
Irene Navarra


mercoledì 5 luglio 2023

Prosa e Poesia / 145474: L'ortica. Piccola lirica in prosa di Riccardo Bortolami.

Prendendo spunto dai PETITS POËMES EN PROSE di Charles Baudelaire.

Irene Navarra, Toccando l'ortica, AI e Grafica, 5 Luglio 2023.




Nell’orto di verdi spine l’ortica si erge con sublime fierezza.
Una pianta dal carattere ardito e dai fiori di un verde tenero.
Una pianta che sfida chiunque.
Le foglie come lame affilate, sorride al sole, si abbandona al vento, senza paura si offre al mondo.
I suoi steli robusti, imprevedibili, narrano storie di resistenza e sogni marmorei.
La natura la protegge e le dona il fittizio rifugio di un tocco pungente.
Dalla sua anima selvatica, dal suo fragile essere ostinato viene la conoscenza:
non c’è bellezza senza dolore,
non c’è vita senza sofferenza.

Io l’ortica l’ho conosciuta bene.
Ormai mi ama.
Non mi punge più.


martedì 4 luglio 2023

Prosa / 145474: Storie d'ortica (L'incontro). Racconto di Irene Navarra.

 


Irene Navarra, L'incontro, AI e Grafica, 4 Luglio 2023.

 

    Lei camminava davanti a me quasi danzando.
    Si volse all'improvviso.
    Come a un richiamo.
    D'ortica furono gli occhi suoi dentro il mio sguardo.
    Bruciava la ferita mentre nasceva impavido il fiore del nostro incontro.
    A Miramare, dove Massimiliano passeggiava con Carlotta, sotto una pergola di gelsomini e rose fui abbagliato dal suo essere ortica.
    Così mi dissi, mentre la osservavo nel verde sontuoso di quel parco.
    Le mani avevano un flettere discreto come di foglie al vento.
    E gli occhi erano lilla.
    Iridi d'ametista nel nido della ciglia punteggiate d'oro.
    Un attimo durò l'esame distaccato.
    Poi si girò e riprese la sua strada d'erbe nobili e trepide corolle.
    Io la seguii.
    Riccioli bruni cadevano sul collo.
    La pelle aveva un velo di rugiada, piccole perle argento alla luce del mattino.
    Era un'ortica affascinante.
    Muoveva i fianchi come una cavalla smaniosa di correre nel vento.
    Quel suo scalpitare m'incantò.
    La superai a passi lunghi 
per vedere meglio il viso appena appena colto nel lampeggiare d'occhi, al suo voltarsi e scrutarmi facendosi d'ortica.
    La superai e la guardai.

    E fu la dannazione, per me senza difese.
    Di selvaggi campi fervide di menta e timo, di prati con aiole un po' altezzose, di lei che li invadeva col rapido attecchire, l'espandersi avvitando cespi inermi, di tutto questo ebbi una visione.
    E la adorai.
    Oh, se mi piacque.
    Così tornai indietro.
    E la raggiunsi, fermandomi davanti a lei.
    D'ortica e fiele furono le pupille sue dentro il mio sguardo.
    Ma mi fissò.
    E non distolse gli occhi.
    L'eternità, allora lo imparai, ha sfumature viola.
    Severità e morbidezza assieme: storie d'ortica e del suo regno.
    A poco a poco sciolse l'ametista dura.
    E mi sorrise.

Irene Navarra
 Luglio 2023

 

venerdì 30 giugno 2023

Prosa / Gertrud e il Tempo.

 

Irene Navarra, Il ventitreesimo orologio, AI e Grafica, 30 Giugno 2023.



    Ci provava Gertrud.
    Da molto.
    Voleva fermare il Tempo.
    Se Lui avesse smesso di correre, anche lei avrebbe smesso di crescere.

    Gertrud era una ragazzina soddisfatta di essere tale.
    Vedeva tutti i limiti opposti agli adulti, i carichi, le responsabilità che li privavano del vero senso della vita: la fantasia.
    Pertanto aveva deciso di non fiorire in nulla.
    Rifiutava l’idea di diventare una giovane prosperosa, obbligata a curarsi, truccarsi, fidanzarsi.
    Da maschiaccio qual era, vestita con calzoni in pelle, camicette, maglioni spesso sdruciti e sandali bassi o scarponcini a seconda della stagione, si sentiva a suo agio.
    Fermare il Tempo? Cosa ridicola, dicevano i suoi genitori, i parenti, gli amici d'infanzia affezionati.
    Lei ribadiva che ci sarebbe riuscita. La fede e la perseveranza possono i miracoli, aggiungeva un po’ piccata.
    Ci credeva, dunque.
    E tentava.
    Con ogni mezzo.
    Anche con la Mindfulness.
    Il suo guru spirituale, Ananda Gothama, indiano trapiantato 
sin dall'infanzia in Svezia - a Göteborg, la loro città - , la esortava a perseguire il suo obiettivo.
    Tutto si può, diceva ispirato. In questo mondo le cose tra la Terra e il Cielo sono di gran lunga più numerose di quanto immaginiamo, le comunicava con voce suadente.
    E così lei si applicava ostinata.
    A tale scopo aveva raccolto tanti orologi da tenere sott'occhio.
    Nessuno, però, le fu d'aiuto perché tutti dichiaravano la stessa ora.
    Quindi pensò a un escamotage: ne pose uno come orologio primo (il Dux degli orologi: quello del Tempo reale) e aggiustò gli altri, rigorosamente identici nella marca e nel formato al capostipite, spostando le lancette di secondi, minuti, mezze ore, ore, avanti o indietro.
Poi li rimescolò in modo da non sapere i dati effettivi: quelli del Tempo lineare, ovvero dei momenti che si susseguono come siamo abituati a contarli. Anche il Dux ne fece le spese.
    Combinò una gran confusione, si potrebbe dire.
    I canoni tradizionali di lettura temporale erano stati sovvertiti.
    Sì.
    Ma Gertrud ci stava bene in quel suo Tempo-NonTempo. Con gli amati autori tra cui Seneca di cui apprezzava particolarmente il De brevitate vitae, scovato nella fornitissima biblioteca del padre.
    Si sentiva davvero sapiente come il prototipo filosofico di Lucio Anneo.
    Aveva cristallizzato il Tempo in una dimensione dove tutti i ticchettii, discordanti o meno, si annullavano a vicenda, generando il silenzio del non ascolto nel raccoglimento dell'attimo non più fuggente perché dilatato, fisso in un presente magnifico e, di conseguenza, senza Tempo.
    Bene.
    Un passo avanti.
    Tuttavia il Caso ci mise il suo becco adunco e anche gli artigli, in quella sospensione astratta.
    Volle il Caso che Fiona, la madre di Gertrud, trovasse gli orologi di sua figlia e li regolasse.
    Volle anche il Caso che tutti, circa 22, meno uno - il ventitreesimo per l'appunto - avessero totalmente esaurito la loro carica e fossero andati in tilt all'unisono tra le dita improvvide di Fiona.
    Volle il Caso che il ventitreesimo, invece, continuasse a lavorare alacremente su ore, minuti e secondi. Lineari, naturalmente.
    Forse era il Dux, forse no. Poco importava.
    Gertrud si trovò spiazzata.
    C'era al momento un solo Tempo che, imperterrito, batteva il suo infernale ritmo rapido dal contenitore inerme.
    Uno solo.
    Che fare?

    Gertrud salì nel suo Pensatoio aereo inerpicandosi sulla scaletta d'accesso.
    Il Pensatoio era una sorta di comodo nido da Martin Pescatore, di vimini intrecciati con un morbido cuscino in piume all'interno. Saldamente appeso al soffitto, pendente circa a metà della stanza e ancorato al pavimento con dei tiranti d'acciaio, rappresentava per lei il cosiddetto Mondo al Mezzo in cui tutti i canoni normali potevano essere ribaltati.
    Vi si chiuse, dunque, e si mise a speculare.
    Procedura Mindfulness avviata nella posizione del loto, respiro rallentato, mani abbandonate in grembo l'una sull'altra, prese coscienza del problema fissandoci l'attenzione con l'uncino tenace del suo obiettivo.
    Allora, solo allora, volò, Gertrud, come faceva sempre, verso regioni astrali che l'avrebbero aiutata, senza che lei giudicasse alcunché le si fosse presentato. 
    Sperimentò la pienezza del vivere al presente.
    E seppe, come un'illuminazione intima, che la sua scelta era giusta ma contro natura.
    Il ticchettare fastidioso in sottofondo si amplificò ossessivo, quasi a sfidarla. riportandola a quel Tempo che lei non desiderava.
    Nemmeno la Mindfulness sembrava dalla sua parte.
    Ananda Gothama fu costretto ad ammettere che la sua brama di non crescita, probabilmente, era autodistruttiva. Le annunciò persino il pericolo di convinzioni lesive del sé e la esortò a lasciarsi andare tra le braccia di Maya, che una saggezza millenaria intrinseca ce l'aveva di certo.
    Gertrud ascoltò tacita.
    E capì il suo errore.
    Non è che si cancella il Tempo, confondendone le convenzioni.
    Sta in noi la chiave per addomesticarlo, non potendolo annullare.
    Il pensiero costante lo alimenta, perché Lui si nutre di noi.
    Ci divora.
    E noi non dobbiamo permetterlo.
    La strada è lasciare segni del nostro passaggio. Testimonianze tali da sgomentarlo.
    Gertrud decise.
    Avrebbe riempito il mondo con la musica del suo violino, strumento che studiava con profitto e successo sin da piccolissima.
    Avrebbe suonato per il mare, per gli alberi, per i fiori, per le strade, persino per gli edifici, per chi la volesse ascoltare. Li avrebbe incantati, facendo perdere la nozione del Tempo.
    Il Creato avrebbe gioito di tanta Grazia.    
    E gli uomini pure.
    Nella Bellezza innocente si sarebbero spuntate le fauci aguzze del Tempo.

Irene Navarra