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domenica 28 luglio 2019

Poesia / Derive - La rosa azzurra della sera.


Esorcismi di salvezza.
Irene Navarra, Lumini sul davanzale, Fotografia e Grafica, 2017.


Molti lumini accesi
per gli occhi oltre il vetro.

Il muschio del greto di un pensiero
molle sul collo come laccio tenue.

La mela gialla sopra il davanzale
perché attiri sguardi smorzi sguardi.

La rosa azzurra della sera solo fuori.

Da Irene Navarra, Derive, GA, 2009.




Esorcismi di salvezza.
Irene Navarra, Malum versus Nox, Fotografia e Grafica, 2017.



Derive
Esistenziali, naturalmente, quelle di Irene Navarra.
Spirali costanti nella continua combinazione e mutazione degli eventi.
Flussi remoti.
Travolgenti metafore.
Come segni di una nuova cartografia per gli arcipelaghi della mente e dell’anima.
Paradossali ipotesi di salvezza.

Dall' Introduzione a Derive di Silvia Valenti.





Il libro, diviso in due sezioni, “L’ora d’Ombra” e “Il Mondo Fuori”, che a sua volta raccoglie “Silenzi”, “Controlli & Autocontrolli”, “Rimedi”, narra un viaggio intimo e personalissimo di sofferenza, di crolli e rinascite, di mimesi, anatemi e benedizioni, di magia e quotidianità anche scabra. E’ un’indagine panempatica che ci immerge in un liquido generatore di vita e dubbi, primordiale e irrinunciabile, l’Ombra, di cui l’autrice afferma il segno precipuo, rivelando che “L’unica veritiera / è quella che passiamo / all’ombra di noi stessi / interrogando / su di noi / la nostra nuvola.” [da “L’ora d’Ombra: sostanza e potere”].
Si tratta dell’Ombra che Freud e Jung definiscono parte costitutiva della psiche in relazione più o meno disponibile all’io cosciente. Il penetrare l’Ombra porta alla scoperta delle nostre difformità, facendocele accettare come un’affascinante terza dimensione in cui gli opposti possono coesistere, integrati in complice accordo. L’Ombra è pertanto l’interfaccia della luce con la tenebra, senza la quale la luce stessa non esisterebbe; e noi, plasmati di chiaroscuri, non saremmo uomini. È “Un utero materno da esplorare.” [da “Preludio”], la componente selvaggia destinata a restare invisibile se l’indole è gretta, a espandersi invece se la nostra interiorità tende oltre i confini del tangibile.
L’insieme dà la completezza, sembra rammentarci la scrittrice. La scissione rende l’uomo cieco. Può generare alienazione.
Le coordinate che ci fornisce, si dispiegano attraverso l’intera opera come in un portolano. Sono il tempo, lo spazio e il riflesso, da intendersi sia nel loro senso comune, sia in qualità di pretesti lirici di trasformazione e trasfigurazione. E ancora la “queste” ontologica, perfezionata grazie all’assimilazione del pensiero michelstaedteriano, senza nemmeno l’eventualità del suo epilogo, ma con la medesima passione, con le stesse capacità visionarie e persuasive di quel sé che, nel beffardo teatro della vita, si muove a volte come un fantasma, altre da Golem vendicatore.

Dalla Prefazione di Silvia Valenti al mio Derive (Prima parte).
Ancora grazie, Silvia, per la dedizione con cui hai affrontato l'analisi di questo libro che è parte della mia anima. 


E ora il video.


lunedì 30 ottobre 2017

Poesia / La terra, la visione (Le nostre radici 3).


Irene Navarra, Una porta sul tempo ritrovato, Fotografia e Grafica, 2017.


Nell’aria che s’imporpora e s’annera
graffi di sole, euforiche folate
tra griglie in bilico precario
su muri scalcinati.
Frasche selvagge, gatti,
una palma straniera nella corte.
Dilavarsi cencioso della legna.
Dietro le imposte stanze
a schegge di ricordi.
Catalogo essenziale: grembiule
di percalle pendente dal suo gancio,
il pentolino per il caffè turco,
pareti con bordure a stampo
(uva turchina pere crochi stilizzati),
l’alone di un’icona trasferita
(una Madonna con Bambino?
un mezzobusto di Gesù?),
tendine-rotte-orlo-punto-croce-
colori-bulgari più rimasugli-
pizzi-a-incasso. A jour.
Matasse disfatte di accaduto.

(Spazi lasciati.
Il tempo solo fuori.
Conchiglia sulle impronte
sghembe della noncuranza.)

Qui se vuoi saperne di più su La terra, la visione (Gorizia e dintorni tra realtà e sogno) le cui immagini sono costituite dalle opere ad acquerello e olio del pittore Roberto Faganel.
Le magistrali traduzioni sono di Jolka Milič (Grande ufficiale dell'Ordine della Stella della solidarietà italiana concessa dal Presidente della Repubblica Ciampi nel 2005) e di Gloria Angeli dell'Università di Udine.
L'Introduzione è stata curata da Silvia Valenti, critico d'arte e orafa. Qui il suo sito e Qui la sua Presentazione del libro.

domenica 1 ottobre 2017

Poesia / La terra, la visione - Primavera a San Mauro - VI (La preghiera).


Roberto Faganel, L'Isonzo, olio su tela, 1999.


(Preghiera)

Il fiume con la sua sapienza
fatta di istanti eterni l’uno
sull’altro e infibulato all’altro
accorda i fermenti trasformati
dal grembo caldo della conca
in cui si cova il tempo.

La sua coscienza è specchio
solo di nubi-trasmigranti-
tacite-tzigane nel quarzo
immacolato di San Mauro.


                  (La croce resa a istinto è una conferma.
                  Qui il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo.
                  Così sia.)


(Molitev)

Reka s svojo modrostjo,
stkano iz večnih trenutkov, ki drug
nad drugim in v drugega pripet
uskladijo vzgibe, spremenjene
od toplega naročja kotanje,
kjer se koti čas.

Njena zavest je ogledalo
zgolj iz oblakov - selečih se,
tihih, ciganskih - v brezmadežnem
štmavrskem kremenu.

    (Nagonsko vrnjeni križ je potrdilo.
    Tukaj Oče in Sin in Sveti Duh.
    Amen.)


(La preiere)

Il flum cu la sô sapience
fate di moments eternis un
sore di chel altri e incalmât a chel altri
al acuarde i ferments mudâts
dal grim cjalt de concje
dulà che si cove il timp.

La sô cussience e je spieli
dome di nûi-migrants-
cidins-zigainars tal cuarç
cence magle di San Maur.

(La crôs regalade d’istint
e je une conferme.
     Culì il Pari, il Fi e il Spirtussant.
     Amen.)

Qui se vuoi saperne di più su La terra, la visione (Gorizia e dintorni tra realtà e sogno) le cui immagini sono costituite dalle opere ad acquerello e olio del pittore Roberto Faganel.
Le magistrali traduzioni sono di Jolka Milič (Grande ufficiale dell'Ordine della Stella della solidarietà italiana concessa dal Presidente della Repubblica Ciampi nel 2005) e di Gloria Angeli dell'Università di Udine.
L'Introduzione è stata curata da Silvia Valenti, critico d'arte e orafa. Qui il suo sito e Qui la sua Presentazione del libro.

domenica 17 settembre 2017

Poesia / La terra, la visione (Le nostre radici 1).


In queste liriche ci sono tre mondi: quello di Emma Golden Retriever che non c'è più, quello di Pablo Golden Retriever che ora mi scorta complice nelle avventure quotidiane lungo magnifici sentieri  di campagna, e il mio.
Ogni piccola scoperta, un evento magico.
Ogni passo tra i folti ciuffi d'erba dei vasti incolti che percorro di giorno in giorno, un respiro profondo di appagamento e gratitudine per quanto mi è concesso. Condividere, poi, con un amico a quattro zampe tanta beatitudine significa cogliere meglio le sinestesie del Creato.

Qui se vuoi saperne di più su La terra, la visione (Gorizia e dintorni tra realtà e sogno) le cui immagini sono costituite dalle opere ad acquerello e olio del pittore Roberto Faganel.
Le magistrali traduzioni sono di Jolka Milič (Grande ufficiale dell'Ordine della Stella della solidarietà italiana concessa dal Presidente della repubblica Ciampi nel 2005) e di Gloria Angeli dell'Università di Udine.
L'Introduzione è stata curata da Silvia Valenti, critico d'arte e orafa. Qui il suo sito e Qui  la sua Presentazione del libro.


Roberto Faganel, Le nostre radici, Acrilico su tavola, 1984.


Le nostre radici 1

Cerchi di tini rossocrosta di antiruggine.

(Sarebbe bello accoccolarmi nella loro curva
e prendere a ruotare come un Momix
di qualche magra fiera paesana.)

Calcina, verderame: fondali e paradisi
a doghe in sfascio. Relitti di un’Arca
singolare che navigò l’Apocalisse
per poi schiantarsi qui.
In questo fiume che conosce
nome a nome i morti
curandone
impossibili apparenze.

(Bisaccia sulla spalla
e nelle tasche semi di radicchio
più cari dei coralli di rosario.
Contati. Soppesati.
Avvolti in fazzoletti.

Quasi creature da ninnare
in ceste con decori di robinia.)


Roberto Faganel, Le nostre radici - Frammenti, Acrilico su tavola, 1984.


Naše korenine 1

Obroči čebrov, skorjasto rdeči od premaza proti rjavenju.

(Kako lepo bi bilo, ko bi se čepe v njihovi
krivulji začela vrteti kot eden od Momixov
na kakšnem bolj revnem vaškem sejmu.)

Gašeno apno, zeleni volk: ozadja in nebesa
iz razsutih dog. Razbitine prav posebne
barke, ki je preplula apokalipso,
da se je potem tule razbila.
V tej reki, ki pozna
vse mrliče poimensko
in goji nemogoče
zunanje videze.

(Z bisago na rami
in s semeni radiča v žepih,
ljubših od korald rožnega venca.
Preštetih. Potežkanih.
Zavitih v robcih.

Skoraj bitja za ujčkanje
v košarah z okraski iz robinije.)

(Traduzione in lingua slovena di Jolka Milič.)


Lis nestris lidrîs 1

Cerclis di brentiei ros croste di antirusin.

(Al sarès biel scrufuiâmi te lôr curve
e cjapâ a rodolâ come un Momix
di cualchi sagre magre di paîs.)

Cjalcine, verderam: fondâi e paradîs
a dovis in ruvine. Relits di un’Arcje
singolâr che e navigà l’apocalìs
par dopo vignî a sbati culì.
In chest flum che al cognòs
non par non i muarts
curantint
aparencis impussibilis.

(Carnîr su pe spale
e tes sachetis samencis di lidric
plui cjaris dai corai di rosari.
Contâts. Stazâts.
Invuluçâts in façolets.

Cuasi creaturis di drindulâ
in cos cun decorazions di robinie.)

(Traduzione in lingua friulana di Gloria Angeli.)

domenica 12 febbraio 2017

Poesia / Derive - Preludio - La critica di Silvia Valenti.




Irene Navarra, Di me / Dell'Ombra, Grafica, 2010.
Se non cerchiamo negli anfratti della nostra mente
l'Ombra che ci contiene,
corriamo il rischio di morire
ignari del suo tempo.
Nascere. Emergere da nebule indistinte.
Discernere in base a una marcatura
di segni rossi, primordiali, che tracciano il discrimine
tra un luogo di grafite grigia
(compatta ma friabile)
e un punto luminoso
(immateriale, inattaccabile).
Tempo dell'Ombra.
Da vivere in contrasto col baluginio d'Inizio
rimasto sulle cose.
Ombra.
Un utero materno da esplorare.

(Sotto la falda del mantello pesante come piombo
non entra Luce alcuna
che sia di questo mondo.)
.
Da: Irene Navarra, Derive / L'ora d'Ombra, GA, 2009.


Irene Navarra, Di me / Dell'Ombra, Collage grafico, 2010.
Dalla Prefazione di Silvia Valenti al mio Derive.
Seconda parte (pag. 13).


“L’ora d’Ombra”, con il suo calibro apparentemente casuale dei correlativi oggettivi, prepara il lettore a inoltrarsi in ben più spinose questioni. La poesia della Navarra infatti - dice Giuliano Soria - “testimonia, in una cifra stilistica complessa, ricca, la ricerca di vie quasi private alla significazione, attraverso l’oscurità”. E non vi si vuole indulgere, ma semplicemente entrarvi, curandola come una creatura, ascoltandola nel profondo per riconoscerla necessaria al tutto, sebbene contraltare della luce e fonte di illusioni.
La conoscenza è liberazione.
La conoscenza è però portatrice di inevitabile solipsismo da isolamento agnitivo.
Ci rende diversi.
Non esistono compagni di viaggio. Eccetto i propri demoni e il tempo che scorre come sangue nelle vene.
Nella poetica dell’autrice tale assunto si lega indissolubilmente al suo codice genetico lirico, e non solo. Nasce anche da un’innata sensibilità, da una vasta cultura e, senza dubbio, da incredibili doti di intuizionismo panico. “Una dentellatura fuori calibro / da usura continuata / farà precipitare il tempo / nel rovescio.” [da “Una dentellatura fuori calibro”], profetizza ben conscia di un’incontrovertibile verità: il tempo è legato all’uomo, lo determina e ne scandisce l’esistenza. Una visione, questa, che è sottolineata da frequenti richiami, subliminali ma chiari, a spiriti fratelli, filosofi o scrittori che siano. “La temporalità è l'essenza stessa della vita umana”, scriveva Martin Heidegger; e ancora: “L’essenza dell’essere è l’esistenza”. Niente di più vero per la poetessa che intende il vivere come un labirinto in cui fluisce il principio formale del tempo. Tanto da poter uniformarsi all’assioma del prediletto Jorge Luis Borges: “Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco” [da “Altre Inquisizioni”]. Forse quindi una condizione soggettiva indispensabile, metaforizzata in un “Andirivieni di persone ritornanti al punto” mentre “Come un tappeto si srotola / l’Accesso. / Come un tappeto si arrotola di nuovo. / E poi di nuovo. / E poi di nuovo ancora. / Protervo ancora e ancora.”. Fino alla conclusione fulminante: “Se schiacci l’occhio sul caleidoscopio del tappeto / trovi l’Inverso e il Verso. / Indistinguibili e tenaci. / Verso In Verso.” [da “L’Inverso e il Verso”]. Conclusione che introduce il medesimo costrutto concettuale del giardino delle “Finzioni” borgesiane in cui ogni sentiero si dirama in un altro, e poi in un altro, biforcandosi all’infinito, senza alcuna possibilità di venirne a capo e, soprattutto, di tornare all’origine del primo evento.

E ora il video.