Irene Navarra, Joker stanco - v.a.8, disegno grafico su schizzo a matita, 2012. |
Chissà perché chi attualmente pubblica libretti di poesia (esaltandoli sui vari social) vuole parlare attraverso le "emozioni del cuore". Lo stesso vale per i pittori, gli scultori, i ceramisti... (tutti autocertificantisi tali) che tendono sempre all'esposizione - virtuale o meno - dei loro frutti.
Non basta però andare a capo per abbozzare testi di un qualche valore lirico.
E nemmeno riempire una tela di segni e pennellate per generare capolavori d'arte.
Tanti, forse inclini alla "come viene viene che viene bene", lo pensano e se ne fanno scudo, sentendosi genuini. E grandi per natura.
Non sono d'accordo.
La letteratura è una cosa seria.
L'arte anche.
Gli sfoghi sentimentali, no.
Se questi sedicenti creativi avessero il buon gusto di ricercare le radici di ciò che credono di poter produrre, spesso "ispirandosi" di qua e di là, se ne accorgerebbero. Si affiderebbero allora, umilmente, alla ricerca e allo scavo, tralasciando per un momento costruttivo l'autocelebrazione del proprio mondo istantaneo, "ingenuo ma tanto genuino". Così si giustificano quanti, senza nessuna preparazione / predisposizione / applicazione nel campo prescelto si sono svegliati una mattina - è irrilevante a quale età - sentendosi prudere le dita all'idea di raccontare una storia, dipingere impressioni in modo sincero.
Oh, più sincero di quello dei pedanti accademici!
Razza da disprezzare, in verità, perché intrisa di convinzioni sull'uso di accenti, virgole, verbi ausiliari di un tipo o di un altro, logica consequenziale, morfologia, sintassi, figure retoriche caratterizzanti, regole di prospettiva, cromie, tecniche specialistiche. Settore per settore.
Eh, sì! A che serve una forma corretta! È la spinta intima che conta! Ci teniamo, forse, a una composizione (armonica o disarmonica) secondo principi eletti? Ma, no.
Via, quindi, con vaneggiamenti privi di capo e di coda, banali senza rimedio. Pagati di tasca propria naturalmente.
Arte democratica, questa. Così la chiama qualcuno.
Arte da macero, questa. Così la definisco io.
Una volta riciclata, nell'impasto di libri e tele si potrà, probabilmente, cogliere un principio di Ri-Nascimento solo se capiterà come materia grezza tra le mani di un creativo vero, pronto a farla vivere con caratteri originali e duraturi che nulla hanno a che fare con le "emozioni del cuore" come veicolo unico di appartenenza alla classe dei geni. Con buona pace di chi ha bisogno di un'onda calda invasiva per scrivere o dipingere mentre "banna" il cervello (ammesso che ci sia) con rime in "ore" o croste di colore.
Amen.
Questa critica l'ho scritta qualche giorno fa. Fatta riposare per bene, riletta, rimeditata, la pubblico con l'inedito che accompagnava in origine il mio Joker stanco, una figura intrisa di umorismo pirandelliano, che mi rappresenta al meglio. Anche come trasformista sono annoiata. Non accetto più qualsiasi baggianata per gentilezza di rapporto. Gli arroganti sono incontentabili: ti stringono la mano che porgi in saluto docile per tirarti a loro e divorarti nella convinzione di appropriarsi di brandelli della tua carne alimentata a conoscenza. Proposito che, comunque, non ammetterebbero mai.
Quindi, da Joker stanco eppure ancora desideroso di mantenere l'integrità, comunico che:
Abbiamo sorriso e goduto.
Ci siamo estasiati nel gioco
casuale dei dadi lanciati (da chi?)
per quattro manciate di scorie.
(E l’urlo dei barbari stride,incalza sui passi più lentinel tempo che avanza.)
Sonaglio stonato, il pensiero.
Non voglio più beffe.
Aspetto la spada.
Non voglio più beffe.
Aspetto la spada.
Irene Navarra, Percezioni, 2012.