I versi in calce a questa brevissima Introduzione sono di Dante Alighieri.
Mi risuonano nella mente e nel cuore da stamattina.
Ho riletto, pertanto, il Canto XXXIII dell'Inferno
e ritrovato il famosissimo episodio del Conte Ugolino della Gherardesca,
rinchiuso nella torre della Muda con figli e nipoti, per farli là morire di fame.
Già eran desti, e l'ora s'appressava
che 'l cibo ne solea esser addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti' chiavar l'uscio di sotto
a l'orribile torre; ond'io guardai
nel viso a' mie' figliuoi sanza far motto.
(Dante Alighieri, Inferno, XXXIII, 43-48)
Liscio zampillo di una fonte
è l'eco come neve
di un giorno bisbigliato
e poi dimenticato tra due pause
su cui si abbatte il mare
violato nella notte
dai rami di una Luna
che ha scosso gemme argentee
e ha frantumato l'onda
con il pestello fitto dei suoi raggi,
molesti per chi vuole un po' di pace.
Dentro il mortaio resinato
s'impasta il cedro con il gelsomino.
Fluttua l'aroma nella torre della Muda.
Non basta per esorcizzare
la cipria dell'Alba
che sale con l'allodola fulgente.
(Rimodellarsi inevitabilmente.
Compiere il passo nell'assurdo della Luce.
Nessuno a farne un'adeguata cronaca.)
La spiegazione
Mi trovo nella torre della Muda, a Pisa. Là dove si consumò l'orribile morte del Conte Ugolino della Gherardesca assieme a figli e nipoti. Sono immersa in un'esperienza sensoriale complessa. Dall'apertura a cui mi affaccio, vedo il mare, violentato dalla Luna con il "pestello fitto dei suoi raggi", molesti per chi, come me, cerca un po' di pace.
Non provo dolore fisico.
Sono stordita dal profumo di cedro e gelsomino, di consistenza quasi materica, che viene dall'esterno con il salire dell'Alba.
I versi e le loro visioni sono privi di qualsiasi elemento positivo.
Sta arrivando il giorno.
L'intensificarsi dei suoi aromi speziati lo annuncia con forza, ma non porta conforto di Luce alcuna. Il chiarore mattutino si offre, invece, come un velo sottile, quasi impalpabile, che cerca, senza riuscirci, di esorcizzarne l'arrivo.
Dopo il quale ripartiranno i miei giochi per rimodellarmi inevitabilmente.
Il "passo nell'assurdo della Luce" trasforma la tragedia antica in un dramma esistenziale moderno. A ogni inizio giorno mi si impongono, in cicli rinnovati, sempre nuove maschere e nuove forme.
Del tutto avulse da qualsiasi adeguata cronaca.
La solitudine più feroce imprime il suo sigillo nel mio corpo.
Che si lascia andare imbelle.
Non c'è difesa.
Non c'è preghiera atta a sconfiggerla.
C'è solo un crudele autocannibalismo spirituale,
Nel silenzio fondo di questo mio esistere adesso.
