lunedì 5 giugno 2017

Poesia / Frammento 12: È morto un Dio (con Jim Morrison).


Questo magnifico ciliegio, che aveva volto e corpo e buona voce, non c'è più. Mani impietosamente sacrileghe lo hanno tagliato per creare uno squallido sterrato in cui posteggiare automobili.
La lamiera invade il verde, svilendo i suoi tesori.
Lui, il mio Albero-custode, mi collegava a un'anima universale dalle mille sfumature e dai prodigiosi suoni. Così adesso:

Dal tronco cavo
si sfilano brusii.
Come preghiere.

Irene Navarra, L'Albero-custode, Fotografia e Grafica, 2012.

Preghiere che perforano il mio Vuoto.
Vorrei piangere.
E non vedo il giorno avvenire come una pagina bianca tutta da scrivere.
Sono una folle che proclama la morte di un Dio senza gaie letizie profetiche di destini, non più liberi ormai perché privi di creature spirituali.
Friedrich Nietzsche non mi affascina più.
Così recupero (dalla memoria e da un vecchio quadernino di appunti) il Jim Morrison di Completamente immacolati. Con sconsolata ironia, sussurro sommessa le sue parole:

[...]
Lascia che ti parli delle angosce e della perdita di Dio
Delirando, delirando nella notte senza speranza
Qui fuori nel perimetro non ci sono stelle

Qui fuori siamo completamente
Immacolati

venerdì 2 giugno 2017

Poesia / Ascoltando il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart (Recordare Jesu pie).


Un pomeriggio passato a casa di due amiche musiciste.
L'interpretazione al pianoforte del Requiem di Mozart.
In me visioni ininterrotte.
Il culmine nella Sequentia, durante il Recordare.

Michela e Daniela Cuschie, grazie.

Irene Navarra, Dalla Terra al Cielo, Fotografia e Grafica, 2017.


Onda sonora che si snoda, indugia, sale
come convolvolo di velo.
Lontane le promesse.
Laggiù, oltre le cose della terra,
un albero scandito dentro il cielo
offre i suoi rami millenari.
Pallida seta, l’orizzonte.
Un punto è Luce fulgida di voci.
Rossa di sangue sacro.
Mi lascio andare.
E la corrente
s’increspa in brezza mite.
Sono alla cima ormai.
Vedo l’Eterno facendo schermo
agli occhi con la mano.

So quanto slancio serve ancora
per conquistarti il cuore,
amabile Gesù di festa e pianto.
Chiamami adesso.
Mi librerò leggera.
Sarò una piuma arcobaleno
che si trastulla nella manna del tuo sguardo.

Irene Navarra, Onda di Luce, Disegno grafico, 2017.

E ora il testo del Recordare attribuito a Tommaso da Celano (1190 ca. - 1260 ca.).
La traduzione dal latino (talvolta libera per necessità di senso musicale) è opera mia.

Recordare Jesu pie,
quod sum causa tuae viae,
ne me perdas illa die.
Quaerens me sedisti lassus,
redemisti crucem passus;
tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis,
donum fac remissionis
ante diem rationis.
Ingemisco tamquam reus,
culpa rubet vultus meus:
supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti,
et latronem exaudisti,
mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae,
tu, bonus, fac benigne,
ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta,
et ab haedis me sequestra,
statuens in parte dextra.

Ricordati, Gesù pietoso,
che sono il motivo del tuo viaggio,
e di non perdermi nel giorno del distacco. 
Tu mi cercavi e ti sedesti stanco,
tu mi hai salvato con il tuo martirio; 
tanto travaglio non sia vano. 
O giusto giudice di punizione, 
dacci la remissione dei peccati 
prima del giorno del giudizio. 
Piango perché sono colpevole, 
il mio volto arrossisce per la colpa: 
risparmia chi ti supplica, o Signore. 
Tu che hai assolto Maria, la Maddalena, 
e accogliesti anche il ladrone, 
tu mi hai offerto la speranza. 
Le mie preghiere sono indegne, 
ma tu, per tua bontà, benignamente fa' 
che io non sia bruciato nell'eterno fuoco. 
Prepara un posto tra gli agnelli, 
e tienmi separato dai capretti, 
lasciandomi sedere alla tua destra.

Per chi volesse leggere il post con il sottofondo della musica di Mozart interpretata
dai Solisti Barocchi inglesi e dal Coro Monteverdi sotto la conduzione di John Eliot Gardiner,
ecco il link.

giovedì 1 giugno 2017

Poesia / Vetro (12). Con Giacomo Leopardi.


Siamo agli ultimi versi della silloge Vetro del mio Dettagli (Edizioni della Laguna). La maledizione del vedere tutto, sentire tutto, comprendere tutto è ormai insopportabile. Non esistono vie di salvezza al vivere feroce dei nostri tempi. I Rimedi sono solo escamotage effimeri.
L'universo parallelo costruito di metamorfosi progressive va perdendo ogni Vaghissimo sentore della Luce (in Vetro 7). Ogni possibile sopravvivenza in stati alieni cade miseramente.

Irene Navarra, De profundis, Disegno grafico, 2017.

Ho creduto di vedere Santuari svettanti dall'Oceano.
Sì, l'ho creduto.

Irene Navarra, Dal fondo dell'Oceano / Santuari, Disegno grafico, 2017.

12

Un passo di esercito incalzante
invade qualche volta
la pace solenne dell'Oceano.

(Luci abbaglianti infinitesime immediate.
Luci infinite come spilli perforanti
al punto da lasciare il Vuoto
nel cristallino della Fluidità.
S'infrangono di colpo
tutti i veli.
Si staccano gli specchi
dalle vette a picco.
Specchi spezzati nel grigio-blu
del vasto corpo irrigidito.
Il mare è squalo livido. 
Per settemila anni d'incantesimo.)


Allora, quando l'illusione manca e il Vero accampa i suoi vessilli, non mi resta altro che salmodiare sottovoce la sofferta resa di Giacomo Leopardi alla logica della mente. In A se stesso il conflitto cuore-ragione ha un epilogo fatale: chi sa guardare con trasparenza attorno a se intuisce spento persino il desiderio dei "cari inganni". Il male è nell'ordine della Natura. E non vi può essere alcun riparo ultra terram nell'amore per Dio.
Con lucido disincanto so oramai che le uniche certezze al nostro vivere fragile sono la morte e l'infinita vanità del tutto.

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,

non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
l’ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l’infinita vanità del tutto.



Giacomo Leopardi, A se stesso, in  Canti - Donati / XXVIII, 1917. Fonte: Wikipedia.

Poesia / Vetro (11). Con Arthur Rimbaud.


Nel mio libro lirico Dettagli (Edizioni della Laguna) Vetro è una silloge della Seconda Parte. Vi racconto la maledizione del vedere tutto, sentire tutto, comprendere tutto.
Ambientata in un SottoMondo marino, propone vie di salvezza al vivere feroce dei nostri tempi. Rimedi. Ciclici come la risacca e la marea.
Creatura in metamorfosi, dunque, costretta a guardare attraverso palpebre cristalline, costruisco un universo parallelo in cui gli stati esistenziali diventano fluidi e si compenetrano in coerenza crescente. La Vita e la Morte si soffondono, così, di un Vaghissimo sentore della Luce (in Vetro 7) che disarticola ogni senso comune favorendo percezioni profonde.

11

La ciprea scagliata dai marosi
sulla spiaggia ciottolosa
rotola con rumore di ginepri
profanati e trascinati.
Lei scheggia le sue anse
dolci come segreti di bambina
ma dialoga imperterrita
parole proibite con il mare.

(Il patto l'ho giurato anch'io.
Negli occhi un guizzo di delfino.
L'ammirazione della bocca
intona canti irrefrenabili,
impetuosa corrente opale chiaro
la mano preme il letto del profondo.
Ho bisbigliato a lungo
la brama dell'incontro.)

Ho visto, quindi so?
Irene Navarra, L'ultima tappa, Disegno grafico, 2017.

Desiderare sempre è il mio destino.
Che io conflagri allora in schiumose particelle.
Perché: Di questo ricercare, / di tanto consenziente naufragare / resta solo un riflesso di lampione. / Di sera. Davanti alla mia casa. / Al fradicio bruire di un rovescio primaverile.

Nel viaggio straordinario fatto di abnorme realtà e totale stravolgimento dei sensi, ho avuto come maestro Arthur Rimbaud con il suo Bateau ivre. Ne rileggo i versi iniziali in rituale sacro. Sono il mantra che mi recito per travalicare i mediocri confini del vero. Sto ancora lottando contro ogni usuale nozione di tempo e di spazio. Per poco, lo so. Tra breve si compirà la retrotrasformazione ultima e io sarò di nuovo umana carne satura di rimpianto per l'infanzia primordiale e unica degli esseri di vetro.

Mentre discendevo lungo Fiumi impassibili,
Sentii di non essere più guidato dai bardotti;
Dei pellerossa urlanti li avevano presi a bersaglio,
Nudi li avevano inchiodati a pali variopinti.

Non mi curavo di avere un equipaggio
Pur carico di grano fiammingo, di cotone inglese.
Quando con i bardotti si spensero i clamori,
I Fiumi mi lasciarono andare a mio volere.

Dentro lo sciabordio furioso delle maree,
L'altro inverno, più sordo di una mente infante,
Io corsi! E le Penisole disincagliate
Mai subirono sconvolgimenti più superbi.

La tempesta ha benedetto i miei risvegli in mare.
Più leggero di un sughero ho danzato sui flutti
Che eternamente trascinano le vittime,
Dieci notti, senza rimpiangere l'occhio frivolo dei fari.

Più dolce che ai fanciulli la polpa d'aspri pomi,
L'acqua verde filtrò nel mio scafo di pino
E delle macchie bluastre di vino e di vomito
Mi lavò, disperdendo timone e ramponi.

Da allora, son immerso nel Poema
Del Mare, infuso d'astri, e lattescente,
Che divora verdi azzurrità, dove, relitto estasiato
E livido, a volte discende pensoso un annegato,

Dove tingendo all'improvviso l'azzurrità, deliri
E ritmi lenti sotto il giorno che s'accende,
Più inebriante dell'alcool, più vaste delle lire,
Fermentano i rossori amari dell'amore!


Libero adattamento dal francese di Irene Navarra.
Fonte per il testo originale: Wikisource (Poésies complètes, avec préface de Paul Verlaine et notes de l’éditeur, L. Vanier, 1895).