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venerdì 21 aprile 2023

Critica sociale / Jj4 e la brutalità bestiale che non è la sua (con Dante Alighieri).


    Considerate la vostra semenza:
    fatti non foste a viver come bruti,
    Ma per seguir virtute e canoscenza.

Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, XXVI, vv. 118 - 121.


Foto di Oleksandr Pidvalnyi da Pexels.


    Bene. L'ho formulato il pensiero.
    Nettamente.
    Con la famosa terzina che Dante Alighieri fa pronunciare al suo Ulisse nell'arringa ai compagni per convincerli a continuare il viaggio. Non servirebbero altre parole se l'uditorio fosse percettivo. Ma, dato che credo sia poca la comprensione da parte di alcuni (politici, intendo, amministratori e varia umanità tralignante dalla via della ricerca saggia), lo dichiaro:
    chi vuole abbattere Jj4, si macchia di brutalità bestiale;
    chi ne ha firmato l'uccisione, non segue né virtutecanoscenza. E non ha percezione del Limite. Intraprende, quindi, un folle volo (ibidem, v. 125: 'de remi facemmo ali al folle volo). Contro Natura, in questo caso.
    Alla faccia, dunque, di ogni insegnamento.

    Evolversi, crescere, capire, 
    Rispettare.
    Rispettare.
    Rispettare.
    Affrontare le sfide, dunque, senza manipolazione radicale.

    In Ucraina deportano i bambini.
    In Italia deportano le madri orse.
    Chi più ne ha, più ne metta di aberrazioni.
    E la chiudo qua.

    Questo post è l'epilogo del precedente dedicato a Jj4, in cui si ricordava anche la  tragica morte del giovane Andrea Papi, forse troppo confidente, ma forse anche vittima di malinformazione personale e generica, unita a malasorveglianza della fauna selvatica potenzialmente pericolosa.
    I due genitori, pur straziati dalla perdita, hanno dimostrato di saper seguire virtute e canoscenza, facendo propri i dettami di un corretto, razionale e culturalmente evoluto modo di pensare.
    Malgrado l'atroce dolore della perdita del figlio.
    Tanto di cappello.

Per leggere le dichiarazione di Carlo Papi, padre del ragazzo di cui sopra, clicca Qui. Si aprirà la pagina dedicata di fanpage.it.

giovedì 20 aprile 2023

Critica sociale / Se sono orsi, li uccidiamo. Se sono umani?


Foto di David Selbert da Pexels.


    La vicenda di Jj4 mi ha sconvolto la vita. Nel senso che non voglio più ascoltare né vedere servizi giornalistici dedicati. Ho gia sentito abbastanza. Seguo, invece ormai, tutto ciò che la LAV, LNDC Animal Protection e altre Associazioni indicano. Che è quanto va comunicando anche Andrea Cisternino di Rifugio Italia Kj2 sul suo profilo FB. Lui scrive, infatti: "La Natura deve essere rispettata. Quando vai a casa di orsi, lupi o altri animali selvatici, ricordati che è CASA LORO non TUA".
    Ecco. La Summa è questa. Rispetto. Ci vuole Rispetto.
    Quelle due creature, entrate nella trappola prima della madre, mi si sono infisse nella mente e nel cuore come un'immagine dolorosa che fatico a scacciare. E mi chiedo: perché non prendere anche i cuccioli per rilasciare poi tutti e quattro in un luogo protetto?
    Lei adesso è detenuta al Casteller.
    Detenuta.
    I suoi cuccioli vagano senza protezione alcuna.
    A che pro?
    Guardo il mio Setter Pippo che è vissuto per nove, dico nove, anni in una gabbia da riproduzione di un maledetto allevamento della mia regione e mi si stringe il cuore.
    Quanto può l'umano, nessun altra creatura potrebbe.

    La morte del giovane rappresenta, di sicuro, il fallimento di un programma di ripopolamento con plantigradi dei nostri boschi, avviato e non perfezionato secondo canoni di sicurezza per l'uomo e gli animali stessi.
    La morte del giovane è una tragedia.
    Tuttavia: perché causar
ne un'altra con un'uccisione inutile? Jj4 ha seguito solo il suo istinto, e ha reagito a uno stimolo percepito come pericolo, probabilmente per la sua prole.
    Se il mio Pippo avesse staccato, a ragione aggiungo io, la mano di chi lo possedeva come un oggetto, probabilmente, sarebbe stato ucciso. Qualcuno avrebbe potuto prendere le sue parti? Non credo. Perché tutto si sarebbe consumato in un luogo inaccessibile alle verifiche della giustizia. Per quanto gli animali abbiano conquistato il posto corretto nella Costituzione, non esiste ancora una tutela adeguata.
    Di loro si continua a fare a piacimento.
    Una vera vergogna.
    Sì.
    La morte, dunque, è il destino a cui avviamo spesso quegli esemplari della fauna, selvaggia e non, che si allontanano dalle nostre mappe di pensiero, costruite a tavolino e senza alcuna vera cognizione dei caratteri peculiari e
 delle sacrosante esigenze di ogni singola specie.
    Pippo sta sopravvivendo grazie a continue e dispendiose cure. Ma se fosse capitato in mani diverse, meno amorevoli? Se ne sarebbe andato tra sofferenze indicibili.
    Non c'è un supporto legale sufficiente.

    Sono molto triste.
    Di tristezza, però, non si muore.
    Sopravviverò, comunque.
    Ma Lei, che ha la libertà nel sangue, 
come reagirà a quest'assurda prigionia determinata da chissà quali ragioni di fondo?
    Non oso pensare al suo Calvario.
    E non è che la morte dell'orsa Danica, avvenuta nel 2014 in modo assurdo per il colpo anestetico infertole, non è che la sua morte ci abbia già temprati, preparandoci a soluzioni finali di comodo.
    Anzi!
    Ci ha affilato le unghie.
    Ha insegnato alle persone di buon sentire, che la sfiducia nelle istituzioni e in chi dovrebbe avere la corretta competenza di settore, è necessario sia leitmotiv di un agire consapevole nell'ostacolare decisioni superficiali e pericolose.

    Speriamo bene per Jj4 e i suoi cuccioli.
    Speriamo bene anche per Mj5 ed M62 sul cui capo pende una condanna a morte.
    Noi persone di senno ce la metteremo tutta.

Link di interesse fondamentale per la causa degli orsi.


martedì 11 aprile 2023

Critica sociale / Le storie e i rimbrotti di Pippo Setter inglese.


Irene Navarra, Pippo vi guarda.
Fotografia 2023.
Ciao a tutti. Sono Pippo, il Magnifico Setter dodicenne di Irene capelli d'argento. Oggi Lei mi ha convinto a scrivere agli Amici di questo Blog
per raccontare una storia bella. Io, però, aggiungerò anche un rimbrotto ringhiante.
Sappiatelo: se ringhio sono spaventoso.
E voglio esserlo, questa volta.
Piego il mio cuore buonista a soluzioni dure. Sono stufo di ripetere - inascoltato, snobbato, preso in giro - le stesse verità sacrosante.
Gli umani hanno orecchie piene di cerume denso.
Oppure non hanno cervello.
Già.
Ma torniamo al bello.
Inizio con il mio stile secco, prettamente inglese, a delineare l'argomento. Parto dalla natura animata e inanimata per arrivare al cuore del Tutto (uso la T maiuscola perché lo fa Lei, intendendo così parlare di Anima; ovvero di quello spirito sottile che sta in noi, esseri senzienti e non, unendoci nel profondo).

C'è una casa rosa in un posto magico della nostra Terra.
Sorge tra colline che più verdi e dolci non se ne trovano.
La nascondono in parte dei Cipressi californiani (notizia di Irene) verdissimi e lasciati crescere liberi. Non sono a forma di cono allungato come quelli del cimitero della mia città. Lo so perché ci sono andato con lei a portare dei fiori ai nonni. Questi hanno i rami un po' spampanati con fogliame non tanto compatto da impedire all'aria di circolare.
Sotto a giganti così si sta da Dio (dei cani, naturalmente).
Ombra, Sole e Fresco. Una goduria.

Irene Navarra, La casa dietro gli alberi, Fotografia, 8 Aprile 2023.
La casa ha sette Tesori, sette canidi di varia razza: si va da quello col pelo d'oro e d'argento a quelli dai manti bianchi marezzati d'ocra, ai neri. Cani salvati da situazioni orribili.
Io ne so qualcosina.
Sono qui a scrivere perché Irene, la mia Irene gentile, mi ha salvato da un maledetto allevamento dove, da nove anni, facevo il riproduttore. Ero, cioè, una macchina a comando senza dignità. Ho dato forma a molti Setterini senza mai vederne uno. Ve lo immaginate?
Adesso, però, sono pronto a dire parole buone ai buoni e notizie corrette ai cattivi.

I sette cani sono più gioiosi della Primavera.
Stanno bene.
Sono amati, accuditi, coccolati e dispensatori di coccole.
Là, nel giardino della casa rosa, c'è il senso della vita.
Alleluja! (esclama la mia Irene, se si procede al meglio).
Se, invece, la va male... apriti cielo!
Le invettive si sprecano
A proposito: so che significa invettiva. Ieri me ne ha letto una di Dante: anzi di San Pietro in Paradiso che si scaglia contro la Chiesa; Lei l'ha fatta sua e si scagliava contro chi abbandona i miei fratelli e contro chi li chiude nel giardino di casa e se ne dimentica. E anche contro gli allevatori senza un briciolo di sensibilità.
Brava Amica!
Lei sì che se ne intende!
E conosce anche il Diritto Animale. Ve ne do un saggio ripreso da un mio post precedente che mi ha fornito perché mi rinfrescassi la memoria.
Il reato di maltrattamento di animali (cito dai sacri testi su indicazione di Irene) è inserito nell’ambito del nuovo Titolo IX Bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” ed è disciplinato dall’art. 544-ter del Codice penale, che punisce "Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale".
E altro ancora che non sto qui a dirvi. Basta questo per il momento. Nella fiducia che le forze dell'ordine, allorché allertate, facciano il loro dovere.
Essendo un cane ottimista, mi auguro che NESSUNO SI GIRI DALL'ALTRA PARTE.
Capito? Nessuno deve girarsi dall'atra parte davanti a un animale che patisce per mano o mente umana. Sì. Quanto affermo ha una motivazione: non esistono solo le torture fisiche, anche le psicologiche ci distruggono. Forse maggiormente. Credetemi. Ci sono passato per prove del genere.
Mi auguro inoltre che non sia chi segnala situazioni di dolore e disagio per i miei simili a essere tormentato dalla legge, mentre chi tormenta si salva, facendosi vittima innocente.
BauAmen.

N.B.: Torturatori di cani, ricordatevi che siete sotto sorveglianza. Non sgarrate, Capito! I miei bellissimi occhi neri come l'onice non vi perdono di vista.

lunedì 14 novembre 2022

Prosa / il gran finale (da "Davvero così").

Amo moltissimo questo racconto  perché mi rappresenza appieno.


Irene Navarra, Il gran finale, Disegno grafico. 2022.

    Prima parte

    Il cielo notturno sfavilla di luminescenze vivaci. Fontane magenta, ditate bronzee, guglie turchine frammiste a enormi crisantemi di un arancio sfacciato, rose purpuree, iris dai pistilli giallo zafferano, sontuose dalie lilla-oro, meteoriti di zolfo e smeraldo, torce di rubini, dardi di topazi si incalzano a scrosci e girandole.
    La notte sembra adirarsi, accecata dalla luce, nemica del suo segreto. La linea dell’orizzonte ora si confonde con l’indaco cupo del mare, ora deflagra in scintille che sfidano le tenebre.
    E poi…, il drago. Eccolo il drago.
    Nell’acqua rischiarata da miriadi di fiaccole affiora il manto delle ali aperte, la cresta arcobaleno. A fauci spalancate nel liquido bollore, inarcando la groppa, dimenando coda e zampe, rovesciando la testa, attende la battaglia.
    Turbinio di colori, crepitii, boati, il sibilo di spade sguainate, la caccia, il cavallo nero e il Cavaliere Morte in carrellata sullo schermo del cielo, nella distesa marina. Per qualche istante sospeso. Finché…

    Un clic fortissimo le esplose nel cervello.
    Il Ferragosto finisce qui! si impose Veronica ammirando i fuochi d’artificio, belli da togliere il fiato. Quest’anno il drago non può morire, rimarcò in tono sostenuto controllando a destra e a sinistra se qualcuno la scrutasse con sospetto per il suo sproloquiare solitario.
    Scarse persone presso il faro, eccelso sopra i tetti della città. Nessuno distolse gli occhi dall’incanto del mare.
    Meglio perdere parte dello spettacolo che veder morire il drago. Clic dunque! decise Veronica. Fine della morte del drago, fine della favola cruenta, fine dei fuochi.
    Un flessuoso movimento dei fianchi, una piroetta, e si allontanò nella notte scarlatta per fugaci fiamme fatue.

    La storia della morte del drago continuava a stregarla. La visione era un simbolo, lo sapeva bene. Aveva contenuto il suo destino sin da quando, a cinque anni, l’aveva suscitata contemplando in visibilio i primi bengala, botti, castagnole, bombe della sua vita – mano nella mano del papà – dal terrazzo della loro nuova casa. Meraviglioso e vero era il drago pronto a combattere il Cavaliere Morte nel mare iridescente. Tanto vero da costringerla a gridare: Lo ammazzano! Non voglio!
    Chi ammazzano, chi? aveva chiesto il padre con un graffio di apprensione nella voce.
Ma il drago, papà! Stanno per ammazzarlo. Corriamo, dai, salviamolo!
    La cosa era stata presa come doveva: fantasia troppo fertile…, una preghierina alla Madonna l’avrebbe aiutata..., la camomilla alla sera l’avrebbe calmata.
    È un soggetto ipersensibile, crede alle favole, nulla di grave, diagnosticò un amico psicologo dopo aver chiacchierato con lei.
    È sana ma impressionabile. Tenetela lontana da quanto potrebbe turbarla: leggende e disegni inquietanti, persone strambe, sentenziò il medico di famiglia che l’aveva visitata dopo l’invenzione di Ferragosto. E dicendo ciò accennava con il capo ad Amelina, la tata, che la segnava con la croce e le infilava l’aglio e l’immaginetta di Gesù dal cuore ardente nella taschina del pigiama.
Veronica, peraltro, da quella sera aveva incominciato a smaniare nel sonno, a blaterare parole sconnesse, a scuotersi come se stesse vivendo esperienze tremende. La mattina, interrogata, raccontava che le ammazzavano il drago e lei lottava perché non succedesse.
Le ammazzavano il drago.
    Ma il drago non è un animale vero! ribatteva perplesso il padre.
    Il drago è come un cane, come un gatto, come una balena, ma più antico. Per timidezza se ne sta rincantucciato nel mare. Solamente i fuochi lo fanno uscire perché gli piacciono. E il Cavaliere Morte ne approfitta e lo uccide, rispondeva sicura Veronica.
    Il padre era piuttosto sgomento. Il cavaliere Morte scaturiva infatti pari pari dall’Apocalisse di Giovanni. Qualcuno doveva avergliene parlato e Veronica con la sua inventiva aveva fatto il resto. Incominciò a indagare. Le chiese se avesse sfogliato dei libri, quali e, senza aspettare un no o un sì di replica, con maldestra noncuranza le buttò là: Ti ha regalato qualcosa Amelina?
    La piccina lo aveva scrutato imbarazzata. Cosa doveva averle mai regalato Amelina, l’amata, anziana, grassoccia e simpatica Amelina che le faceva baciare i piedi piagati del Gesù crocifisso appeso sopra il lettino? che le recitava orazioni strampalate e divertenti all’ora della nanna? Scosse il caschetto castano senza proferire sillaba e il padre si rasserenò. Il drago era una creazione di Veronica, niente di più! Bisognava sdrammatizzare, ignorare, distrarla. Le portò un gattino, un trovatello macilento, leggero come una piuma: il primo (e Primo di nome) di una serie di cani e gatti, merli zoppi e ricci sopravvissuti con qualche acciacco alle traversate di carreggiata.
    Il drago sembrò andarsene, e a lui subentrarono schiere di derelitti in carne e ossa con accompagnamento di uggiolati, miagolii e trilli. La casa, il giardino, la rimessa si riempirono di scatole, recinti, cucce, gabbie senza la minima lagnanza da parte di nessuno.
    Purché non tornasse il drago. 
    Che invece tornava di notte, all’insaputa dei genitori, invadendo i sogni di Veronica, senza però causarle le ansie e i batticuori di una volta, data la netta, festosa vittoria sul Cavaliere Morte. Una sferzata di coda e l’assassino recidivo veniva sbalzato di sella, scagliato ai confini del cielo ed esiliato in un castello d’acciaio, mentre il cavallo, convinto a un pacifico dietrofront, era rispedito, con un’affettuosa pacca d’ala di drago sulle natiche color della pece, ai lucenti pascoli delle nubi, in una profusione di glicine e giallo croco. Con appagamento di Veronica che ridormiva il sonno del sasso.
    A sei anni, la notte di Ferragosto, come le era già successo – per davvero insomma, da sveglia – lei rivide il drago, il Cavaliere, il cavallo, la battaglia e rivisse il dolore della sconfitta, ma si tenne la notizia per sé. A sette anni fu la medesima cosa, identica a otto, a nove…, e avanti uguale: fantasmagorie di giochi pirotecnici nel cielo, un ribollio nel mare, clap clap di zoccoli, una spada traslucida sulla testa dalle squame policrome, la lotta, la morte del drago e la voglia di dormire per ritrovare le sequenze positive del drago vittorioso, tra squilli di trombe annuncianti il suo trionfo e la liberazione del cavallo.

    E questo perdura nel presente di Veronica, ormai ventiseienne, lo stesso caschetto castano, lo stesso piglio volitivo di quand’era bambina. Il fisico modellato con grazia naufraga in maglioni larghissimi e tute di jeans dalle tasche capaci. Cucite sulla stoffa in quantità incredibile, servono da mezzo di trasporto per cuccioli di qualsiasi specie. Così, fino a casa possono stare a loro agio e avere un po’ di ristoro dal suo amorevole corpo.
    Nulla era cambiato dall’infanzia. Tranne un fatto: ora lei salvava veramente il drago, ovvero gli esseri infelici del mondo animale, spendendo ogni sua energia nella clinica veterinaria dell’Università cittadina, dove si era diplomata a pieni voti e dove, giorno dopo giorno, il drago l’accompagnava da amico devoto, soffiandole nell’orecchio il consiglio giusto per aiutare quei figli di un dio minore. Là Veronica portava avanti una guerra santa, con passione inesauribile e il tocco taumaturgico della sua mano, o dell’ala del drago, come preferiva definirla se ripuliva una ferita, oppure riduceva una frattura causata dall’uomo, malvagio e ingrato con i suoi compagni di vita.
    Il drago era il Salvatore, di nome e di fatto: per Veronica che lo seguiva con fiducia illimitata, vista la vocazione di cui era stato messaggero, e per i protetti della giovane che lui sorvegliava bubbolando dalle narici enormi in disparati angoli della clinica. Ovunque ci fosse bisogno di lui, diceva Veronica ai colleghi che sapevano la storia del drago e pensavano scherzasse. Anzi, per celia, sull’architrave delle sale chirurgiche avevano appeso il seguente cartello:
Irene Navarra, Drago 1,
Grafica, 2022.
    CASA DI SALVATORE. Con entusiasmo di Veronica.
    E con soddisfazione di Salvatore.
    Il lavoro in clinica era duro e continuava a coinvolgerla in modo drammatico, malgrado sperasse nell’avverarsi delle parole dei maestri: Alla lunga ci si abitua! Parole, queste, improbabili o, per dire meglio, inattuabili. La zampa del drago, invero, la strattonava per un gomito quando, davanti ai soliti casi atroci, cercava di girare lo sguardo dall’altra parte.
    La richiamava all’ordine.
    E lei si adeguava.
    Di buon grado, se il cuore reggeva. 
    Talvolta però non ne poteva più, e allora scappava dalla città, verso le montagne che la circondavano con la loro cintura a ricami bianco-verdi. Si rifugiava nelle terre del Rio Fortunato, tale perché evitato dall’uomo. Troppo ripide le sponde, troppo impetuose le acque, niente bar e aziende agrituristiche raffazzonate alla bell’e meglio: soltanto natura e canto degli uccelli. Lande selvose indenni da cartacce, lattine, bottiglie di plastica, in cui vagabondava discorrendo tra sé e sé sommessamente per non disturbare le cince baccanone sugli alberi e i fringuelli in cerca di semi tra l’erba.
    Sussurrava al vento come le foglie e si muoveva con l’agilità felpata di un gatto selvatico.     La voce del bosco era la sua stessa voce.
    Là dimenticava brutture e afflizioni.

    Quel giorno, però, si discostò dall’acqua addentrandosi nel bosco per un confuso impulso.
Un confuso impulso.
    E il mattino di giugno pieno di promesse si adombrò mentre le franava addosso l’incubo    di ogni Ferragosto e il drago si inabissava in una palude limacciosa.
    Morendo indicava un punto rosso sangue pieno di dolore.

Il punto rosso sangue
è una creatura legata al palo,
lo sguardo spaurito,
il petto magro ansante per l’arsura.
Oltre il recinto decrepito,
davanti alla bicocca di lamiera e legno tarlato.


    Seconda parte

    Veronica liberò il cucciolo di cane dalle catene e si buttò nel bosco dirigendosi verso il corso d’acqua. Volava Veronica, incurante di sterpi e spine, le pupille dilatate fisse sul fardello che le penzolava tra le braccia.
    La fuga verso la salvezza ridarà forza al drago, salmodiava. Il drago può rinascere e parlare.
    E il drago parla davvero.
    In Veronica si dischiude una porta: ha cinque anni e guarda affascinata i fuochi d’artificio.
    La mano del padre l’ha lasciata, lei galleggia nell’aria. È pura luce. Entro breve lotterà contro il Cavaliere Morte in sella a un cavallo candido dai finimenti intessuti di stelle.
    I Sacri Testi avranno ragione.
    La Profezia, che le riecheggia dentro da tempo immemorabile, si compirà. Lo sa, ora. E va mormorandosela.

Aperto il settimo sigillo,
apparvero sette Angeli
con sette trombe
che si accinsero a suonare.
Il primo, il secondo, il terzo,
il quarto e il quinto Angelo
diedero fiato alle trombe
e ci fu grandine, fuoco, sangue.
Dal cielo cadde nei fiumi
e nel mare la stella Assenzio
e il mare e i fiumi furono amari.
Le locuste dalle code di scorpione
invasero la terra
salendo dal pozzo dell’abisso
per tormentare gli uomini
senza il segno di Dio sulla fronte.
Poi fu la volta del sesto Angelo.
Egli liberò i fratelli
sotto forma di cavalieri
dalle corazze fiammanti
in sella a cavalli dalle code di serpente,
e la terza parte degli uomini fu uccisa.

    Una litania di devozione per lei. Le dona vigore e l’aiuta a comprimere la rabbia in lucidi progetti di vendetta. Formule pronunciate all’unisono con la voce di Salvatore che, scrollando il dorso immane e stendendo le ali di smeraldo, riemerge incollerito dalla putredine del male.

    Veronica ritornava a casa con un altro derelitto. Sarebbe ridiventato un setter irlandese, se fosse riuscita a salvarlo.
    Ti chiamerò Salvo, gli disse aprendo il vano di carico della Uaz leopardata dalla ruggine e attrezzata con morbidi plaid. Povero tesoro, cosa ti hanno fatto! Guarda, Salvatore! È pelle e ossa, non riesce a reggere la testa da tanto è stremato. Maledetti umani! Potessi sbatterli all’inferno. Squartati, sbranati vorrei vederli! Altroché! Nessuna pietà per chi tortura gli animali. Occhio per occhio, dente per dente!
    Chi lega un cane alla catena, muoia di catena! aggiunse gesticolando all’aria, verso un grande olmo.
    Salvatore, accucciato sotto il grande olmo, era molto, molto torvo. La cosa appena scoperta lo faceva soffrire e meditava anche lui la vendetta. Sarebbe stata esemplare. Dovevano capirla gli umani la legge del più forte, o del più intelligente, oppure del più magico. La mettessero come volevano, un rimedio doveva pur esserci. Adesso però bisognava lasciare Veronica in pace. Concederle del tempo da dedicare al nuovo cencio striminzito. Ne era certo d’altronde, il cuore di Veronica poteva dare vita ai sogni, quelli che cambiano il mondo.
    Il loro destino era scritto nell’angolo del cielo riservato ai fratelli minori dell’uomo.
    Luogo che esisteva davvero.
    E lui lo sapeva perché arrivava da lì.

    Veronica versò alcune gocce d’acqua da una borraccia nella bocca della creatura spossata. Il cucciolo deglutì a fatica, la guardò e sorrise come i cani sanno fare, sollevando cioè le labbra verso le orecchie e allungando gli occhi a forma di mandorla. Lo baciò sul muso, lo depose in una cesta dai bordi alti su un suo vecchio maglione, gli rimboccò una coperta attorno per creargli un soffice giaciglio, bloccò il lettino di fortuna con altri contenitori perché non sballottasse troppo, andò alla guida e partì innestando la marcia con furia, in uno sfrigolare di metallo e di pneumatici sollecitati dall’abbrivio.
    Il viaggio di ritorno fu funestato da nuvole minacciose di propositi violenti. Un ritornello le martellava in testa. Non poteva permettere un simile martirio. Aveva l’obbligo di affrontare il male.
    La strada era un nastro plumbeo. L’unica realtà: il respiro affannoso di Salvo in aggiunta al suo, roco e lento. Doveva fermarsi. Si immise in una stradina secondaria e frenò sbandando. Le mani sul volante, la fronte sulle mani, le palpebre serrate, vedeva qualcosa.
    In se stessa questa volta.
    Non attraverso il drago.
    Un rotolo di pergamena antica, riallacciava fili interrotti di memorie che emergevano in messaggi terribili.

Il settimo Angelo diede fiato alla tromba
e si alzarono in cielo grandi voci.
Dicevano: il regno di questo mondo
è delle genti che si sono adirate.
È giunto il momento
di mandare in perdizione
chi manda in perdizione la terra.
Dal cielo aperto
verrà un guerriero
che si dirà giusto e fedele
e ucciderà la bestia
dalle sette teste e dalle dieci corna,
Poi chiamerà uccelli e lupi
a divorare le sue carni. 

    Dopo un tempo eterno Veronica iniziò a staccarsi dalla dimensione astratta in cui fioriva la rivalsa e trionfava la giustizia. Rialzò la testa, si toccò la fronte, gli occhi e, in un altalenare di sussulti percettivi, scivolò nel presente. Un rituale, questo, stracollaudato. All’inizio con paura, in seguito con agio. Senza che nessuno lo sapesse, pena le estenuanti sedute dallo psicologo amico o dal medico di famiglia, orientati a convincerla dell’assurdità della situazione con la boria di chi non sa, non vuol sapere e non capisce. Di conseguenza l’oro del silenzio aveva la meglio sull’argento della parola.
    E lei, Veronica, la strega-bambina, una volta divenuta donna aveva gongolato di ciò.
    Il silenzio è più forte di tutto, diceva agli alberi, al vento, agli amatissimi animali.
    Il silenzio contiene i suoni e le forme impossibili da descrivere. Li serberò per me, fingerò di non aver sentito e visto. Perché io posso raccontare alle pietre ma non a chi ha un buco al posto del cuore, recitava poi convinta tra sé e sé serrando le labbra per non emettere neanche una sillaba.
    Il motto preferito? L’anima tace sempre nelle mie parole. Se l’era inventato e giurato davanti allo specchio, incrociando le dita sulle labbra, dopo l’episodio del drago che aveva scatenato l’inchiesta su di lei. Se l’era rigiurato inoltre, di anno in anno, all’indomani del Ferragosto. Per non ricadere nella voglia di parlare con gli umani. I loro pregiudizi la irritavano. Era necessario sembrare “normali”. Purché non le togliessero le voci che le parlavano e le indicavano la direzione giusta.
    Quindi silenzi, quindi giuramenti a medi incrociati sugli indici, schiacciata contro lo specchio per non farsi udire, con il drago al fianco, affidabile garante della (tacitissima) parola data.
    Le voci e Salvatore erano i suoi ripari alle abiezioni del mondo. Da cui doveva strapparsi per ritornare alla Uaz, a Salvo e all’urgenza della corsa verso l’ambulatorio. All’oro del silenzio controllato.
    Denso di furore, tuttavia.

    Nei giorni seguenti fu occupatissima a curare Salvo che rifioriva e le sorrideva fiducioso, tentando, senza riuscirci, di tirare su le sue quattr’ossa per zampettarle incontro al rientro dal lavoro e dai consueti giri di salvataggio. A breve l’avrebbe fatto perché mangiava con appetito sostanziosi pezzetti di carne e lei, quando lo imboccava, appoggiava il dito sulla sua tenerissima lingua rosa di cucciolo, per farglielo ciucciare, in consolazione dei precoci patimenti.
    Però, mentre accudiva Salvo, lavorava in clinica, mentre sbrigava qualsiasi tipo di faccenda insomma, rifletteva con intensità. Se si interrogava sul da farsi, vedeva il sentiero dal Rio Fortunato al bosco come un nastro di dolore al cui capo c’era un altro essere infelice, ormai esausto. Si odiava perché avrebbe dovuto precipitarsi a liberarelo. Subito avrebbe dovuto farlo. Ma si voltava dall’altra parte sentendosi una vigliacca.
    E Salvatore non aveva il coraggio di strattonarla.
    Salvatore aspettava il suo turno.

    Domenica di fine luglio.
    Veronica andrà di nuovo là.
    L’antica pergamena le si sta srotolando dentro e la guida. Deve stanare e uccidere la bestia dalle sette teste e dalle dieci corna. Deciderà sul posto cosa fare, dopo aver guardato negli occhi la bestia‑aguzzina di Salvo.
    Con sommo disprezzo.
    Dopo averla guardata, lei e il drago la colpiranno.
    Com’è giusto.
    Ciò che avrebbe trovato, lo presentiva al millimetro. L’esperienza gliel’aveva insegnato: molti uomini seviziano i propri fratelli animali per il piacere di farlo. Non c’è un perché. È così e basta.
    Vuoi mettere il gusto di massacrare in modo calcolato una creatura in perfetta letizia e consonanza con le leggi naturali? Vuoi mettere la gioia dell’obbligare all’immobilità chi vive di corse, di balzi, tuffi, scarti, frenate e capriole? Del dare un metro di corda in cambio dell’amore profuso generosamente?
    Amore, sì! I nostri fratelli animali sanno cos’è l’Amore vero. La dedizione assoluta. Ciò di cui molti uomini non saranno mai capaci! rifletteva Veronica percorrendo il sentiero noto.
In prossimità del luogo si fece accorta. Temeva di trovarsi faccia a faccia con la bestia senza aver avuto il modo di studiarne di nascosto le fattezze, i gesti, di capire di che pasta fosse fatta. Per la prima volta da che frequentava il territorio del Rio Fortunato non sentiva il chiacchiericcio degli uccelli e il brusire degli alberi.
    Persino il fiume frenava l’impeto.

    L’incontro fu sconvolgente.
    La vide arrivando di soppiatto tra i cespugli fitti intorno alla bicocca.
    Era una donna bella e giovane. Una bestia-donna dai capelli ramati vestita di garze porporine. Una zingara dai numerosi gioielli tintinnanti al collo, ai polsi, alle caviglie. Si dimenava seguendo una musica interiore che le corrompeva il viso. I piedi nudi battevano il terreno. Le braccia volteggiavano come vele impazzite. In disparte, un meticcio grigio era riverso a terra, quasi strozzato dalla catena corta che lo teneva legato a un palo.
    Sembrava morto.
    E lei danzava ridendo, contro un fondale di lamiere ruggini e cumuli di spazzatura.
    Scoprirla donna fu uno schiaffo per Veronica. Non l’aveva previsto. Nelle sue fantasie c’erano stati e c’erano i malvagi, ma sempre maschi. Rudi, crudeli, sadici e maschi. Le donne no. Non torturavano gli inermi. Le donne portavano dentro il grembo i figli, li mettevano al mondo assistendosi a vicenda, soccorrevano gli animali femmine nel parto. Le donne sapevano amare con abnegazione. Fin dall’origine dei tempi. Gli uomini, invece, fanno le guerre, uccidono, stuprano, tormentano. Le donne no. Le donne subiscono.
    Eppure, davanti a lei, la bestia-donna danzava, indifferente a chi stava morendo.
    A un tratto l’esserino mosse la testa verso un piatto di latta contenente dell’acqua torbida.     Non l’aveva alla portata, non avrebbe mai potuto leccarne nemmeno una goccia, ma la bestia con un calcio la disperse e il silenzio annotò un rumore aggiunto alla sua risata: il frrr del liquido che alimentava l’aria di vapore. La risata sgangherata e il frrr con la sua eco contrappuntarono la riluttanza della natura.
    Al doppio rumore si aggiunse il battito del cuore di Veronica che si slacciò da lei crescendo nel sottobosco, nello spiazzo ingombro di rifiuti davanti al posto malaugurato.
    Creò un strepito di battaglia, tetro, tumultuante.
    Scostare con le mani l’intrico di rovi impenetrabili ferendosi senza badarci, anestetizzata dalla collera, irrompere sulla lurida radura e caricare impavida, incarnata nella Clorinda del mito – lancia in resta, corazza scintillante – fu simultaneo e luttuoso.

    Veronica è un grumo d’ira, è energia pronta a conflagrare, una macchina micidiale armata per colpire la bestia che la guarda piombarle addosso con occhi dilatati ma privi di timore, come se sapesse.
    La guarda come se sapesse.
    D’improvviso, nel cristallo del cielo avviene qualcosa di devastante e stupendo che vince i sensi di Veronica, trattenendone l’assalto.
    Le particelle d’acqua bevono i raggi luminosi del giorno pieno, li filtrano e riverberano all’istante con le scie opalescenti di un pianto cosmico. Lo stesso del mare per i fuochi pirotecnici di Ferragosto. Non ci sono i fiori giganteschi, le torce colossali, le corone di faville contro la volta: immenso scenario alla lotta esiziale per il drago. Quanto sta vivendo ha il sentore buono del sogno di ogni notte perché le lucciole di luce sembrano aggiungere al sole un altro sole, in presagio propizio.
    Veronica contempla le stille diamantate. Poi abbassa gli occhi. La bestia appare circonfusa da cateratte di grafite che ribollono artigliandola con dita rapaci, travolgendone la chioma fulva, la bocca sconcia. Per lei nascono e montano nubi burrascose, vortici sgroppano in impennate, crisalidi astrali rigurgitano magma incandescente.
    Veronica intuisce.
 
Irene Navarra, Drago 2,
Grafica 2022.
    È il momento.
    La condanna con sguardo d’ortica e di fiele.
    Infine
    lentissima
    si scosta lasciando che arrivi il drago.

    E mentre Veronica raccoglieva la creatura esanime,
il drago si avventava sulla preda
dai monili d’oro e perle.


    Poi gli uccelli e i lupi fecero il resto.


giovedì 14 luglio 2022

Critica sociale / La nuova vita di Pippo Setter Inglese.



Irene Navarra, La nuova vita di Pippo, Fotografia.

Eccomi qua. Sono Pippo Magnifico Setter Inglese nel giorno del mio compleanno. Oggi, 14 Luglio 2022, ne conto ben undici. Di questi, nove li ho passati in un allevamento di proprietà di un veterinario. Come animale da riproduzione. Quell'essere senza cuore mi ha rubato la giovinezza e la gioia. Tutto era cupo, monotono, doloroso nel suo mondo tristissimo.
La fame e la sete mi devastavano.
I pochi peli che avevo sul petto me li strappavo a bocconi. Per noia, credevo. Per stress, mi ha confidato poi un comportamentalista.
Gli occhi mi bruciavano come il fuoco. Ed erano rossi. Rossi come l'inferno.
Ormai allo stremo della sopportazione, mi stavo lasciando andare.

Finché lui, il mio padrone, decide che ero troppo vecchio per ciò a cui mi aveva destinato e mi "regala" a un canile. Un buon canile dove pensavo di finire i miei giorni.
Mi ci ero rassegnato.

E invece proprio là arriva lei, la mia Irene capelli d'argento, la mia fata di speranza e amore.
Arriva tutta vestita di chiaro, con un sorriso buono e le mani colme di carezze.
Arriva e mi porta via.
Correva l'anno 2020. Si era a novembre. Il giorno 20.
Così comincia la mia storia di dormite sul divano della stube (la mia testa sotto la sua ascella destra); di uscite in giardino per pipì anche cinque volte la notte (con una sciarpa di lana sulla pancia perché non prendessi freddo); di corse dai vari veterinari specialisti in questo o in quello; di fotografie della pupù, che era sempre piena di sangue, da mandare alla dolce doc. Michela; di ricerche al pc sulle mie patologie fisiche e psicologiche; e... di lunghe passeggiate in campagna; di escursioni olfattive sul campo da golf del Castello di Spessa; di giochi; di pappa deliziosa con tanta verdura d'orto.
Di Vita insomma.
Di Vita vera da cane vero, veramente amato. 
Ancora non ci credo. Ogni tanto sbatto gli occhi, che adesso non fanno più male e mi dico: Quando li riapro, tutto questo svanirà. E invece no! Le mie ciotole sono in cucina, la mia poltrona davanti al caminetto, il mio divanetto Frau in salone, il mio letto, i miei tappeti... Tutto riappare fulgido e pulito al solito posto.
Che sollievo!
Di conseguenza, adesso che sono abbastanza tranquillo sul mio futuro, posso occuparmi dei miei simili, ricordando agli umani che non siamo più oggetti d'uso quotidiano!
Siamo finalmente esseri senzienti tutelati dalla Costituzione. Me l'ha spiegato la mia Irene capelli d'argento. Ora nel Codice Penale entriamo anche noi come creature con sentimenti. Creature che soffrono.

Il reato di maltrattamento di animali (cito dai sacri testi su indicazione di Irene) è inserito nell’ambito del nuovo Titolo IX Bis “Dei delitti contro il sentimento per gli animali” ed è disciplinato dall’art. 544-ter del Codice penale, che punisce "Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.
La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell'animale".
E altro ancora che non sto qui a dirvi. Basta questo per il momento. Nella fiducia che le forze dell'ordine, allorché allertate, facciano il loro dovere.
Essendo un cane ottimista, mi auguro che NESSUNO SI GIRI DALL'ALTRA PARTE.
Capito? Nessuno deve girarsi dall'atra parte davanti a un animale che patisce per mano o mente umana. Sì. Quanto affermo ha una motivazione: non esistono solo le torture fisiche, anche le psicologiche ci distruggono. Forse maggiormente. Io ne so qualcosina.
Mi auguro inoltre che non sia chi segnala situazioni di dolore e disagio per i miei simili a essere tormentato dalla legge, mentre chi tormenta si salva, facendosi vittima innocente.
BauAmen.
Parola di Pippo, alla buon'ora Magnifico Setter Inglese.
P.S.: Nella fotografia del post sono naturalmente io che, dalla mia macchina decappottabile, gioisco del meraviglioso paesaggio attorno.


Vi richiamo anche qualche post del mio predecessore Pablo Golden Retriever, caporedattore per parecchi anni di questo Blog:
E vi lascio il ricordo del mio primo intervento. A quell'epoca mi stavo illudendo, ma non ero ancora sicuro di niente:


venerdì 20 marzo 2020

Pablo golden retriever ammonisce gli umani.


Non abbandonate i miei simili.
Non diffondono il coronavirus. Lo dice la scienza, non lo dico io.
Io dico: tenetevi strette le vostre creature a quattro zampe.
Potrebbero salvarvi dall'impazzire per isolamento.
Credetemi. Sono un cane anziano che ha molto sofferto e imparato sulla sua pelle.

Parola di Pablo golden retriever e della sua compagna Irene. 

Irene Navarra, Pablo severo critico, FotoInstagram, 2016.



domenica 10 dicembre 2017

Critica sociale / I cani: cose o esseri senzienti? Pablo golden retriever dice la sua.


Irene Navarra, Pablo e Thundog, Fotografia, 2017.

Ciao, gente. Sono sempre Pablo, il golden retriever ormai parte integrante della Redazione del blog di Irene. Passeggiando insieme nel fuoco acceso del tramonto dell'altro ieri, oltre a descrivermi la scena cromatica che noi cani possiamo solo immaginare, Lei mi ha narrato la storia di un fuoco vero scoppiato fra il 5 e il 6 dicembre 2007 nella fabbrica Thyssen di Torino. Era un fuoco che uccideva. Orribile. Il solo pensarci mi incenerisce il pelo. Di tutta l’atroce vicenda assolutamente indimenticabile mi ha emozionato in positivo scoprire il nome di chi procurò giustizia alle sette vittime del rogo e alle loro famiglie: il pm Raffaele Guariniello. Lo stesso che ha vegliato sul Codice di diritto animale pubblicato nel luglio scorso.
Raffaele Guariniello: uno straordinario conoscitore delle leggi e, per di più, animalista. Che meraviglia! Dovremmo essere in una cuccia di ferro, dunque, se capiti e protetti da un uomo di tanta coscienza. Con un simile guardiano, siamo a posto.
E invece no!
Nessuno lo ascolta, mi dice Irene. I politici che si riempiono la bocca di promesse, evitano di citarlo per non rovinarsi le spiritose invenzioni elettorali. Vogliono fare propri i traguardi da lui raggiunti? E ciò mentre gli specialisti, che dovrebbero occuparsi del nostro benessere, sanno poco o niente delle normative vigenti. Per loro basta che un cane abbia un po’ d’ombra d’estate ed è tutto ok.
Pfui! sbavo io.
Non ci guardano nemmeno negli occhi, quando vengono a verificare se siamo trattati bene o male, se abbiamo acqua e cibo, la sacrosanta passeggiata, la compagnia dei nostri fratelli umani e non, l’affetto carezzevole di cui abbiamo bisogno.
Per loro siamo cose.
Cose che si muovono, ma cose.
Mi chiedo: sono nati così stupidi?
Qualche anno fa, durante una crociera con i miei, nella Marina di Cherso in Croazia ho conosciuto il gatto Saro. Beveva solo acqua freschissima e con un rametto di rosmarino che ci pescava dentro. Altrimenti nisba! Il suo compagno bipede era perennemente in ansia. A ogni scalo, sbarcava precipitosamente e iniziava la cerca necessaria della pianta aromatica gradita al suo quattro zampe. Lo faccio con gioia e dedizione, ci dichiarò.
Saro era una cosa un po’ particolare. Già! Una cosa pretenziosa. Esprimeva una sua volontà.
Beh, amici lettori, il mio guinzaglio non si è mai sottratto al mio collo, il tappeto della sala di casa non si è mai ritirato dalle mie chiappe, i lampioni in giardino non hanno mai rifiutato il getto poderoso del mio pisello!
Considerata, quindi, l’evidenza, chiara anche a un bambino, mi pare davvero arrivato il tempo di smetterla con le scemenze su di noi.
Abbiamo occhi di pietra, zampe di legno, mantello di plastica riciclata, per caso? Ci trascinate su un carretto con le ruote? Ci prendete per chincaglieria? Addobbi come i nani da giardino? Esemplari del bestiario Thun?
Quanto ci vuole per farsene una ragione del fatto che siamo esseri senzienti?
Raffaele Guariniello l’ha scritto nell’Introduzione al Codice. Io continuo a sbandierarlo.
Chissà, a forza di dai e dai anche le capocce cocciute degli umani che ci pensano schiavi destinati a essere comprati / venduti, affidati / adottati si apriranno per comprendere questi buoni semi di verità.
Parola di Pablo golden retriever, grande esperto di maltrattamento psico-fisico, visto che ho cambiato quattro famiglie in quattro anni di vita. Abbandonato senza aver fatto nulla di male! E dire che ero proprio un bravo cane: tenevo la pipì anche per sedici ore di fila e ripulivo la cucina mangiando dal secchio dell’umido perché nessuno si ricordava di darmi la pappa. Quasi trasparente dalla magrezza, forse non mi vedevano.
Sì, ero proprio un bravo cane. Eppure…

Adesso ancora una volta le parole di Raffaele Guariniello tratte dall'Introduzione al Codice di diritto animaleRepetita iuvant! esclama sempre Irene con piglio da professoressa. Io le do fiducia e ve le ripropongo prendendole dal post Esistere malgrado del 29 novembre scorso.
«Nel nostro Paese, le norme a tutela dei diritti degli animali possono e debbono essere ulteriormente rafforzate ma già oggi impongono interventi potenzialmente efficaci. Oggi, a differenza di ieri, fare giustizia non vuol più dire occuparsi soltanto di criminalità in danno dell'uomo. Oggi vuol anche dire proteggere la vita, l'integrità, il benessere, la dignità degli animali. Sorprende, da questo angolo visuale, ed è deleteria, la scarsa diffusione tra gli operatori dei principi che governano la protezione degli animali sul piano internazionale e nazionale. Il fatto è che non basta avere buone leggi di facciata scritte sulla carta. Ed è purtroppo la larga disapplicazione delle norme vigenti uno dei fenomeni che più caratterizzano l'Italia e non solo l'Italia. In alcune zone del nostro Paese, i processi penali per reati lesivi degli animali proprio non si fanno, mentre in altre zone si fanno, ma spesso con una tale lentezza che prima di arrivare al verdetto finale si concludono con la prescrizione del reato. La conseguenza è devastante. Si diffonde nella sostanziale indifferenza di pur autorevoli istituzioni un senso d'impunità, l'idea che le regole ci sono, ma che si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità. E si diffonde un altrettanto devastante senso di giustizia negata.»

lunedì 4 dicembre 2017

Critica sociale / Considerazioni di Pablo golden retriever sulla mala detenzione dei suoi simili.


Irene Navarra, Pablo severo critico, FotoInstagram, 2016.

Eccomi qua. Sono ancora Pablo, il golden di Irene, la fondatrice di questo blog. Mi preme di fare un annuncio a voi umani pseudo salvatori di cuccioli indifesi che non chiedono nulla tranne un po’ di rispetto (ve lo abbaio forte e chiaro): volete amarli o no questi i cani che adottate, magari facendoli arrivare dal Centro e dal Sud del nostro Paese, sicuri di render loro un favore? Malsani soggetti che non siete altro! Ma vi rendete conto che segregarli in un giardino considerandoli rifiuti degni solo di diventare concime per la terra non è propriamente ben detenerli? E che pensare, poi, di chi – volontario o meno – (e sui volontari avrei la mia da raccontare) ci consegna con poca accortezza, non indaga, non conosce le leggi giuste, non le applica, non intende ammettere che siamo esseri senzienti, crede che ci bastino un po’ d’acqua e ombra, fa finta di non capire gli errori commessi e, nel momento in cui realizza di averci affidati a dei disgraziati insensibili, si rifiuta di rimediare?
Io parlo a buon diritto.
Così infatti ero stato trattato dai precedenti miei tre padroni. Mi avevano dimenticato: chi in un cortile sporco, chi in un garage, chi in un buco di locale dove me ne stavo chiuso anche per sedici ore di fila e se mi scappava la pipì e la facevo contro una pianta o un angolino... Non oso ricordare quanto succedeva.
Mai una carezza.
Mai una passeggiata.
Solo clausura, clausura, clausura. E brutti modi a brutto muso. Concerti per voce urlata e swisc di cinghia.
Finché è arrivata Lei.
Ha teso la mano con le lacrime agli occhi, ha preso la misera corda che era il mio guinzaglio e mi ha portato via. Nella sua casa profumata di pappa buona e amore. Tanto amore.
Allora, degenere possessore di cani che non capisci niente della nostra natura socievole e gioiosa, del bisogno di compagnia, di quanto soffriamo il freddo intenso dell’inverno e il caldo torrido dell’estate nelle "comode cucce di plastica" comperate per accoglierci in crudele solitudine, ti venga pure "la pivida in tel cul e un paneriz per dedo che no te possi gratartela"! Scusate la volgarità del detto triestino imparato nei vagabondaggi di famiglia in famiglia prima dell'incontro con la mia Irene ma, quando penso alla bassezza di certe condotte contro di noi, creature a quattro zampe e coda allegra, è l'unica maledizione che mi venga in mente.
Neppure molto cattiva, mi pare.
Io avevo quattro anni e mezzo e nemmeno quindici chili quando Irene mi ha preso con sé.
Sembravo appena uscito da un lager nazista.
Mangiavo immondizie rovesciando il secchio dell'umido.
E non aggiungo particolari.
Non vorrei nausearvi.
Sono troppo buono.
Quindi: in bocca al lupo per essere divorati, ai cattivi. Per essere protetti, ai buoni.
E adesso leggetevi questo post con la meravigliosa Ode al cane del mio omonimo Pablo Neruda. Lui sarebbe felice delle mie parole. Lo so. Era un animalista vero.

Un'ultima, importante nota: esiste il Codice di diritto animale che può aiutare gli operatori del settore. Consultatelo, per favore. E riguardatevi anche Poesia / Le solitudini delle case 5 (Esistere malgrado), ovvero l'articolo della mia Irene che ne tratta.