Visualizzazione post con etichetta consapevolezza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta consapevolezza. Mostra tutti i post

mercoledì 1 giugno 2022

Poesia / Tanka: Caos ordinato.


Elogio poetico della gastronomia vegana, dell'attenzione zen ai particolari, della consapevolezza come Mindful Cooking. Esaltazione del rispetto, del rifiuto di cibarsi della carne dei nostri fratelli animali, della ricerca dell’armonia per il nostro corpo, per l'ambiente e per tutto il creato. Da queste buone pratiche scaturisce la persuasione filosofica del Bene-Essere come modello esistenziale.

Silvia Valenti (@itsmeandmylife), Caos ordinato, Fotografia, 2022 (Courtesy dell'artista).

Incontri - scontri
di sapori dolci - agri:
Aglio, zucchine
con olio evo friccico
e pomodoro crusco.
#Tanka22

Vegano il gusto
d'anacardi e fermenti,
spezie orientali, fiori -
Bontà incruenta - vita.
In noi sorriso lieve.
#Tanka23


mercoledì 7 ottobre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Confessione.


Siamo al Settimo Tempo della silloge L'opera incompiuta. Quello del pianto. Nel silenzio. E di nascosto. Con Ásgeir Trausti e la sua Andann dregur che mi risuona discreta nella mente. Ma non mi consola. Anche il sogno non serve. Non c'è luce o Visitazione che possa alleggerire il senso di Vuoto e di Assenza che provo. Così, di me resta un involucro. / Il cuore batte fuori.

 
Irene Navarra, La notte dentro, Fotografia e Grafica, 7 ottobre 2020.

 

Io
piango
in silenzio.
Di nascosto.
Nessuno può vedere le mie lacrime.
Quelle che contano davvero
che fanno solchi fondi sulle guance
e non danno requie.

Sono volata qui
in questa chiesa disadorna
di una landa astrusa
senza sapere come.
Tetto di travi nere
una sedia sbilenca
un altare di legno come sfondo
gelo azzurrino alle finestre.
Ásgeir mi canta Andann dregur
negli angoli riposti della mente.
Con il respiro lascio cerchi
foschi sopra i vetri.
Nella cornice delle labbra
avanza un sogno
ritmato da una pulsazione
che si gonfia e mi travolge.
Mentre si schiantano pareti
e implodono gli arredi
in turbinio selvaggio
di me resta un involucro.
Il cuore batte fuori.

Anche questa volta Ásgeir Trausti mi aiuta con un'altra magnifica ballata: Andann dregur- Il respiro si ferma. Myndir mi aveva invece accompagnata mentre scrivevo C'è una cerniera che si chiude (Qui il post e il video). La sua musica è magico motivo conduttore di molte mie emozioni.


mercoledì 30 settembre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Un'ubriacatura folle (Mentre mi adeguo al cambiamento).


Eccoci alla quarta lirica della mia raccolta L'opera incompiuta (qui la prima, qui la seconda, qui la terza).
Nell'immagine uno scorcio dell'amata campagna in cui ho passato giorni indimenticabili con Pablo golden retriever. Anche Lui adorava quest'angolo di Paradiso che è la benedetta Terra assegnataci per destino.
L'abbiamo percorsa  senza stancarci, appagati dalla sua bellezza frugale. Festanti di gioia pura per tanta grazia raffinata e semplice. Un dono del cielo.
L'abbiamo percorsa uniti dallo stesso desiderio. Spesso scivolando sui suoi pendii e rotolando tra infinite sfumature di verde e umili fiori di radicchi selvatici. Il riposo poi, protetti dai rami di qualche albero florido, era quanto di più esaltante si potesse provare. Ricordo un giorno di pioggia a scroscio, il rifugiarci di corsa sotto le impenetrabili foglie di un gelso secolare, il mio scrivere frettoloso un frammento di pochi versi sul quadernino che mi fa sempre da viatico (un inno al Signore nell'intenzione), lo sguardo estasiato di Pablo accucciato accanto a me.
Momenti straordinari, quelli (qui l'haiku e la foto di riferimento), recuperabili solo frugando nella mente graffiata dalla sua assenza. Momenti che chiudo in una  teca di nuvola dove solo io posso penetrare per incontrarmi con Lui. In un Tempo che sia compiuto e uguale a se stesso.

Irene Navarra, Il grappolo dimenticato, Fotografia e Grafica, 30 settembre 2020.

Un’ubriacatura folle
questo trasmutarmi quasi fisico
in foglia, ramo e umido terriccio
denso di sentori.

Non so davvero quale sia la differenza
tra la mia carne, il sangue che zampilla dallo squarcio
appena inciso nell’incavo del braccio e l’erba,
il fiore della malva ancora viola,
l’uva lasciata tra racemi secchi
in negligenza compiacente.

 

Vedere tutto questo
dietro lo schermo delle palpebre,
sentire sulla pelle che non è più pelle
brividi caldi di presagi come doni.
Niente figure di parole.
La Vera Essenza mi si mostra nel Silenzio.
Togliendo scorza a scorza
sedimenti antichi.
E dolori nuovi
da distacchi inevitabili.
Strazianti.
 

martedì 8 settembre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Il nocciolo della questione (Con Paul Verlaine).


Riccardo Bortolami, Variazioni, Acquerello e Grafica, 2013.

Primo Tempo.

Che la Vita fosse anche Morte io lo sapevo. L'avevo già provato il sentimento del Distacco, della Perdita, dell'Assenza. Pensavo di essermi vaccinata contro le ferite provocate dalla sparizione di una creatura amata. In fondo le esperienze servono! mi dicevo. Ti abituano, mi ripetevo. Ti piegano sì, ma nel contempo ti rendono incredibilmente forte. Li hai sentiti sulla tua pelle quegli attimi tremendi che separano il tuo respiro dal respiro di chi si sta involando. Ricicli quell'angoscia troppo intensa della prima volta, la smorzi, sminuisci, sopporti quindi, crescendo in consapevolezza, chiarendo alla coscienza ciò che non siamo e non saremo e non vorremmo mai. Te lo  racconti, convinta di riuscirci.
E invece no, no, no.
Il dolore dilaga impetuoso, travolge, scardina cuore e mente. È ormai allenato a invaderti - ha il fiato lungo dei fondisti - e lo fa con scienza imbevendoti di certezza negativa, cellula dopo cellula. Tenti di urlarlo, il tuo dissenso. Poi lo sussurri, lo manipoli, ne fai storie di resilienza feroce e saggia.
Fai, fai, fai.
Ma non serve a nulla. Che cosa rimane, pertanto, di tutto il tuo nuovo soffrire? Rimane attorno a te il maledetto vivere senza. Un insulto, un'imperfezione, una frattura violenta tra l'Essere e il Non-Essere. Un'illusione. Alla fine un tedio sottile che ti logora l'anima.
E finalmente ci arrivi: l'esistere, per la sua stessa materialità in sgretolio continuo, è sempre un'opera incompiuta.
Per compierla te ne saresti dovuto andare anche tu.
Ma sei ancora al mondo a macerarti.

Ecco, ho capito. Sono tuttora qui. La mia opera è di fatto incompiuta. Patisco una pena da mancanza. Da dimezzamento. Chi mi completava ha esaurito il suo tempo.
Aspetterò che si compia il mio.
Stornando qualsiasi ricatto sul tema del dovere etico, della ripresa socialmente esemplare.
Voglio la solitudine. E il silenzio.
Non ho interesse per quanti non sanno del mio vino già bevuto e del mio pane già mangiato.

Questa sostanza da alterare 
io l’ho premuta,
ripremuta
anche spillata
quando scivolava
in subdolo fluire tra le dita.
Ne ho tratto un frutto minimo
che sa di decadenza.
Una molesta opera incompiuta.


Ah! Tutto è bevuto! Non ridi più, Batillo?
Tutto è bevuto, tutto è mangiato! Niente più da dire!
Solo, un poema un po’ fatuo che si getta alle fiamme,
solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi dimentica,
solo, un tedio d’un non so che attaccato all'anima!

(Ah! tout est bu! Bathylle, as-tu fi ni de rire?
Ah! tout est bu, tout est mangé! Plus rien à dire!
Seul, un poème un peu niais qu’on jette au feu,
seul, un esclave un peu coureur qui vous néglige,
seul, un ennui d’on ne sait quoi qui vous afflige!)

Da: Paul Verlaine, Languore (Langueur), in Allora e Ora (Alors et maintenant), vv. 10 - 14.

sabato 29 ottobre 2016

Non-Haiku / Noterelle un po' critiche (2). Manifesto programmatico.


Irene Navarra, MondrianLight, Fotografia e Grafica, 2014.

Riprendendo il filo del post di sabato 23 Luglio 2016 in cui dichiaravo la mia impossibilità ad accettare supinamente in toto l'haiku giapponese, con questa seconda Noterella un po' critica comunico la mia volontà di non chiamare haiku i frammenti poetici di tre versi composti di cinque - sette - cinque o più sillabe. Gendai o tradizionali che siano. Ora come ora, sulla questione vige il caos, pretestuosamente però infarcito di verità da Ipse dixit. Maestri autoeletti di varia appartenenza etnica lo raccontano, raccogliendo consensi. Il Simplicio galileiano insegna. 
La mia sensibilità - slava per parte di madre, spagnola e francese per parte di padre (un mix incandescente di malinconico struggimento e folgoranti scoppi di gaiezza) - mi porta a negare dipendenze di qualsiasi tipo. 
Se desidererò aggiungere ai miei frammenti un titolo e un sottotitolo, lo farò. E parlerò di materia e forma, dando una visionaria identità al concreto e metaforizzando l'astratto.
Operazioni, queste, non certo da moderno (e patetico) haijin piegato a convenienze sabi-wabi di coloritura grigio informe. 
Lode all'Espressionismo.

Finalmente libera, sto per seguire Il Violinista pazzo di Fernando Pessoa che scrive: Egli apparve all'improvviso nel sentiero, / tutti uscirono ad ascoltarlo, / all'improvviso se ne andò, e invano / sperarono di rivederlo. // La sua strana musica infuse / in ogni cuore un desiderio di libertà. / Non era una melodia, e neppure una non melodia ( da Il violinista Pazzo, vv. 7 - 12, pag. 7, Arnoldo Mondadori Editore, 1998).

E creo. Solo Frammenti di non melodia.

(Eteronimo IH48)

1
Sapere la sua melodia come una ferita
che s’apre e sgrana amanti
della mente consapevoli.

2
Tiepide carni violentate dentro verità
che il suono induce con l’assolo
di un selvaggio ritmo.
L’ho visto danzare sopra i tetti, 
quel pensiero. E dileguare.
A cavalcioni dell’Aurora.

Mentre sai tutto del tuo tempo ormai 
librarsi per accompagnarlo?
Sì, farsi etere e andare.
Andare. 


.