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venerdì 16 ottobre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Desiderio.

 
Nella Decima tappa del mio viaggio (L'opera incompiuta) sono riuscita a guardare di nuovo il cielo.
Volgo gli occhi verso l'alto e ritrovo il gioco di chiaro e scuro che mi sono negata per tanto tempo.
La tristezza si allenta a poco a poco.
Dietro le nubi c'è una vastità incommensurabile.
Mi ammanto di indaco.
Mi ammanto di indaco e mi preparo alla notte che verrà.
Torno così a ricercare stelle.
Lassù brilla la mia compiutezza.



Io
voglio
solo il cielo.
Adesso Ásgeir bisbiglia Going home.
Ho nelle orecchie la sua voce calma
che ripete il tema del ritorno.
Sopra di me aleggia piombo cupo.
Sprazzi respinti.
Occasionali interferenze.
Fra poco il Blu profondo della Notte.
Avanza dagli angoli degli occhi 
e invade ogni respiro.
Andare oltre, dunque.
A ricercare stelle.

 



giovedì 15 ottobre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Spontaneamente.


Irene Navarra, La bellezza delle margherite, Fotografia, 12 ottobre 2020.


Mi è successo dopo molto tempo: ho sentito il cuore palpitare mentre ammiravo delle semplici margherite vibranti al vento di ottobre. Così mi sono lasciata incantare dalla loro umile bellezza, dimenticando per un po' la sofferenza del distacco ultimo da chi ho amato più di me stessa. Se sono, dunque, capace di cogliere l'armonia di queste creature floreali, allora l'arrancare stancamente, invischiata in pensieri di estinzione rituale, non è più sostanza dei miei giorni.
Posso ri-sentirmi vivere.
E gioire per la pioggia che mi bagna il volto confusa alle lacrime, per le foglie carezzevoli del grande gelso che sembrano scostarsi quando mi ci rifugio dentro. Là dove ho sostato innumerevoli volte con Pablo Golden retriever che non c'è più (qui il post dedicato). 
Nel Nono tempo de l'Opera incompiuta racconto proprio questo.
Esploro un mio flebile ritorno.
Tra riso e pianto.




Poi, d’improvviso
ritorno a palpitare
per rispondere alla mente
menestrella di richiami minimi. 
Come un sussulto doloroso
il mio respiro. S’inarca
in uno scroscio di cascata. 
C’è di nuovo.

mercoledì 7 ottobre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Confessione.


Siamo al Settimo Tempo della silloge L'opera incompiuta. Quello del pianto. Nel silenzio. E di nascosto. Con Ásgeir Trausti e la sua Andann dregur che mi risuona discreta nella mente. Ma non mi consola. Anche il sogno non serve. Non c'è luce o Visitazione che possa alleggerire il senso di Vuoto e di Assenza che provo. Così, di me resta un involucro. / Il cuore batte fuori.

 
Irene Navarra, La notte dentro, Fotografia e Grafica, 7 ottobre 2020.

 

Io
piango
in silenzio.
Di nascosto.
Nessuno può vedere le mie lacrime.
Quelle che contano davvero
che fanno solchi fondi sulle guance
e non danno requie.

Sono volata qui
in questa chiesa disadorna
di una landa astrusa
senza sapere come.
Tetto di travi nere
una sedia sbilenca
un altare di legno come sfondo
gelo azzurrino alle finestre.
Ásgeir mi canta Andann dregur
negli angoli riposti della mente.
Con il respiro lascio cerchi
foschi sopra i vetri.
Nella cornice delle labbra
avanza un sogno
ritmato da una pulsazione
che si gonfia e mi travolge.
Mentre si schiantano pareti
e implodono gli arredi
in turbinio selvaggio
di me resta un involucro.
Il cuore batte fuori.

Anche questa volta Ásgeir Trausti mi aiuta con un'altra magnifica ballata: Andann dregur- Il respiro si ferma. Myndir mi aveva invece accompagnata mentre scrivevo C'è una cerniera che si chiude (Qui il post e il video). La sua musica è magico motivo conduttore di molte mie emozioni.


domenica 4 ottobre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: C'è una cerniera che si chiude.


Siamo al SestoTempo de L'opera incompiuta (qui il Quinto). L'immagine è relativa a una lirica del mio Dentro dal titolo Di notte si vive (qui il link del post dedicato) in cui ripercorro "le mie notti nella mia campagna. Là dove tutto è cominciato in un sobbalzo di percezione. Là dove tutto si crea e annulla mentre i fantasmi della mente sfumano amalgamandosi al blu del cielo e al nero della terra sprofondata in abissi imperscrutabili". Anche adesso la notte mi soccorre, in una dimensione però da favola nordica. Devo evocare, quindi, le prodigiose stelle di cui parla il cantante islandese Ásgeir Trausti nella sua Myndir.

Irene Navarra, Nuovi Indizi / D notte si vive, Disegno grafico, 2014.


C’è una cerniera che si chiude
lenta
sulla mia storia.
E già boccheggio
al tocco immaginario di quei denti
pronti a mordere.

In sottofondo canta Ásgeir
i suoi ricordi buoni dell’infanzia
dentro una chiesa buon rifugio
dove l’isolamento incide
sulla pelle il suo cartiglio
schiudendoci alla notte
che dilaga fuori
con lucciole
e su, più in alto,
con le stelle.

Di favole islandesi
si nutre allora il mio respiro
che si fa dolce nella gola
e poi si effonde
come un volo d'anima.
Cantando quasi
la sua liberazione.


Di seguito la magnifica musica di Ásgeir Trausti Myndir / Immagini (Vikurkirkja). MI ha ispirata nella scrittura di questa lirica. E confortata nella mia ricerca. Adoro la sua voce, i suoi testi, la sua lingua armoniosa. Lui mi stupisce e affascina sempre.




venerdì 2 ottobre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Un gusto strano nella bocca.


Eccoci al Quinto Tempo de L'opera incompiuta (qui il quarto). Attraverso la memoria, il valore del corpo tutto, sorprendentemente, ritorna. Rifiuti quindi quanto volevi essere. Non più linfa vegetale, smania di mutazione pur di non provare ancora quella pena che ti squarta come un affilatissimo coltello. Lo stupore invece di ogni più infinitesima percezione sensibile. Riscoprire il sangue. Qualcosa in te richiede attenzione, richiama odori sapori colori. Il cuore è chiuso alle emozioni ma i sensi sono in allerta. La pioggia sferza.
Le ferite inferte tingono d'orrore forse necessario la tua sostanza.
Cerchi il cielo.
Eppure la terra ti trattiene.
Sembra un inizio.
È il Ritorno.
Questo chiede chi non c'è più.
Ma dilaga ancora il nulla al di qua dal corpo, che esige la sua parte e ti spinge a tentare di esistere senza.

Irene Navarra, La sostanza del sangue, Fotografia, 2 ottobre 2020.


Un gusto strano nella bocca.
Sale. Zucchero. Ferro.
Una strisciata di saliva tinta
sul dorso della mano.
Sangue.

Un modo per sentirmi viva
mordermi la guancia
assaporare il mio sapore
vedere il mio colore?

Come accadeva allora. Quando
succhiavo con cautela incerta
il ginocchio sbucciato sull’asfalto
cadendo dalla bicicletta rossa.

L’infanzia che ritorna.
Memoria dentro il corpo.
E il nulla di qua da
segnato da una pioggia
indifferente. 
 

mercoledì 30 settembre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Un'ubriacatura folle (Mentre mi adeguo al cambiamento).


Eccoci alla quarta lirica della mia raccolta L'opera incompiuta (qui la prima, qui la seconda, qui la terza).
Nell'immagine uno scorcio dell'amata campagna in cui ho passato giorni indimenticabili con Pablo golden retriever. Anche Lui adorava quest'angolo di Paradiso che è la benedetta Terra assegnataci per destino.
L'abbiamo percorsa  senza stancarci, appagati dalla sua bellezza frugale. Festanti di gioia pura per tanta grazia raffinata e semplice. Un dono del cielo.
L'abbiamo percorsa uniti dallo stesso desiderio. Spesso scivolando sui suoi pendii e rotolando tra infinite sfumature di verde e umili fiori di radicchi selvatici. Il riposo poi, protetti dai rami di qualche albero florido, era quanto di più esaltante si potesse provare. Ricordo un giorno di pioggia a scroscio, il rifugiarci di corsa sotto le impenetrabili foglie di un gelso secolare, il mio scrivere frettoloso un frammento di pochi versi sul quadernino che mi fa sempre da viatico (un inno al Signore nell'intenzione), lo sguardo estasiato di Pablo accucciato accanto a me.
Momenti straordinari, quelli (qui l'haiku e la foto di riferimento), recuperabili solo frugando nella mente graffiata dalla sua assenza. Momenti che chiudo in una  teca di nuvola dove solo io posso penetrare per incontrarmi con Lui. In un Tempo che sia compiuto e uguale a se stesso.

Irene Navarra, Il grappolo dimenticato, Fotografia e Grafica, 30 settembre 2020.

Un’ubriacatura folle
questo trasmutarmi quasi fisico
in foglia, ramo e umido terriccio
denso di sentori.

Non so davvero quale sia la differenza
tra la mia carne, il sangue che zampilla dallo squarcio
appena inciso nell’incavo del braccio e l’erba,
il fiore della malva ancora viola,
l’uva lasciata tra racemi secchi
in negligenza compiacente.

 

Vedere tutto questo
dietro lo schermo delle palpebre,
sentire sulla pelle che non è più pelle
brividi caldi di presagi come doni.
Niente figure di parole.
La Vera Essenza mi si mostra nel Silenzio.
Togliendo scorza a scorza
sedimenti antichi.
E dolori nuovi
da distacchi inevitabili.
Strazianti.
 

mercoledì 16 settembre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Nel verde.


Siamo al Terzo Tempo de L'opera incompiuta. Nel verde. Qui tento la trasformazione panica. Divento foglia. Ma non una foglia qualsiasi. Sono la foglia, ovvero un essere immaginario diverso dal me precedente. Mi faccio Altro. Tuttavia solo nella mente. La chiave del cambiamento è data da un assioma ora come ora inconfutabile:

IMMAGINO QUINDI SONO.

Così sia.

Irene Navarra, Metamorfizzando, Fotografia e Grafica, 2020.


Nel verde
(solo qualche inusitata volta)
riconosco l’assetto delle cose.

Anche di me
che sono un ibrido
di indipendenze brusche
dal conformismo unanime
e ammiccamenti occasionali.
Inconsapevoli dapprima.
Poi rei di adattamenti eccentrici.
Anomali in materia e forma. Impersonali.

(Ora m’inerpico sui bordi di una foglia. 
Con polpastrelli di smeraldo attingo
l’umore naturale come fosse vino.
Drenando sangue e linfa
so la bellezza duratura
delle vene della Terra.)

 

lunedì 14 settembre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: E adesso che si forma/sforma.


Secondo Tempo.

E adesso che si forma/sforma
sopra il palmo una materia rara,
un fibrillante tossico d’arsenico,
come frenare la trasformazione
sapendo il mio destino da esiliata
senza riferimenti e tradizioni?

(Lasciarsi andare nel mutato aspetto.
Sperando un decantarsi favoloso
da miracolo immediato.)


Irene Navarra, Screenshot da Dentro / L'anima avvolta - video, 17 novembre 2016.


La lirica E adesso che si forma/sforma costituisce il secondo momento della raccolta L'opera incompiuta. Strettamente collegata a Il nocciolo della questione, ne è lo svolgimento naturale. E lo dichiaro, affermando decisa: Sono qui, non lo voglio ma sono qui, diversa perché privata di gran parte della mia energia vitale, sono qui orfana, ferita, sminuita. Sono qui in trasformazione da perdita. Sono qui perdio! E se anche tento di adeguarmi alla nuova condizione, se anche mi plasmo e riplasmo, rimango incompiuta per necessità ineluttabile. Quindi imperfetta.
La sostanza che si enuclea da questo sciupio di vigore è un fibrillante tossico d'arsenico.
Veleno puro che mi tiene con la sua minaccia al di qua di ogni salvezza?
Sì, forse. Ma non mi resta altro che nutrirmi di questo impensabile cibo mentre il presente va in scena con il suo estremo paradosso: gli esseri incompiuti hanno futuro, i compiuti, no.
Scelgo, dunque, la dimensione del sogno in cui tutto può avvenire ed essere limpidamente  come "infinita ombra del Vero" (cit. da Giovanni Pascoli, Poemi convivialiAlexandros, v. 20).
Seguendo la legge dei visionari, posso esistere.

martedì 8 settembre 2020

Poesia / L'opera incompiuta: Il nocciolo della questione (Con Paul Verlaine).


Riccardo Bortolami, Variazioni, Acquerello e Grafica, 2013.

Primo Tempo.

Che la Vita fosse anche Morte io lo sapevo. L'avevo già provato il sentimento del Distacco, della Perdita, dell'Assenza. Pensavo di essermi vaccinata contro le ferite provocate dalla sparizione di una creatura amata. In fondo le esperienze servono! mi dicevo. Ti abituano, mi ripetevo. Ti piegano sì, ma nel contempo ti rendono incredibilmente forte. Li hai sentiti sulla tua pelle quegli attimi tremendi che separano il tuo respiro dal respiro di chi si sta involando. Ricicli quell'angoscia troppo intensa della prima volta, la smorzi, sminuisci, sopporti quindi, crescendo in consapevolezza, chiarendo alla coscienza ciò che non siamo e non saremo e non vorremmo mai. Te lo  racconti, convinta di riuscirci.
E invece no, no, no.
Il dolore dilaga impetuoso, travolge, scardina cuore e mente. È ormai allenato a invaderti - ha il fiato lungo dei fondisti - e lo fa con scienza imbevendoti di certezza negativa, cellula dopo cellula. Tenti di urlarlo, il tuo dissenso. Poi lo sussurri, lo manipoli, ne fai storie di resilienza feroce e saggia.
Fai, fai, fai.
Ma non serve a nulla. Che cosa rimane, pertanto, di tutto il tuo nuovo soffrire? Rimane attorno a te il maledetto vivere senza. Un insulto, un'imperfezione, una frattura violenta tra l'Essere e il Non-Essere. Un'illusione. Alla fine un tedio sottile che ti logora l'anima.
E finalmente ci arrivi: l'esistere, per la sua stessa materialità in sgretolio continuo, è sempre un'opera incompiuta.
Per compierla te ne saresti dovuto andare anche tu.
Ma sei ancora al mondo a macerarti.

Ecco, ho capito. Sono tuttora qui. La mia opera è di fatto incompiuta. Patisco una pena da mancanza. Da dimezzamento. Chi mi completava ha esaurito il suo tempo.
Aspetterò che si compia il mio.
Stornando qualsiasi ricatto sul tema del dovere etico, della ripresa socialmente esemplare.
Voglio la solitudine. E il silenzio.
Non ho interesse per quanti non sanno del mio vino già bevuto e del mio pane già mangiato.

Questa sostanza da alterare 
io l’ho premuta,
ripremuta
anche spillata
quando scivolava
in subdolo fluire tra le dita.
Ne ho tratto un frutto minimo
che sa di decadenza.
Una molesta opera incompiuta.


Ah! Tutto è bevuto! Non ridi più, Batillo?
Tutto è bevuto, tutto è mangiato! Niente più da dire!
Solo, un poema un po’ fatuo che si getta alle fiamme,
solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi dimentica,
solo, un tedio d’un non so che attaccato all'anima!

(Ah! tout est bu! Bathylle, as-tu fi ni de rire?
Ah! tout est bu, tout est mangé! Plus rien à dire!
Seul, un poème un peu niais qu’on jette au feu,
seul, un esclave un peu coureur qui vous néglige,
seul, un ennui d’on ne sait quoi qui vous afflige!)

Da: Paul Verlaine, Languore (Langueur), in Allora e Ora (Alors et maintenant), vv. 10 - 14.