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sabato 4 novembre 2023

Prosa / Racconto breve: Fiordalisi e farfalle.

 

Tecnologia: Stable Diffusion (https://stablediffusionweb.com).
P_Irene Navarra, Fiordalisi e farfalle, AIArt e GraPhicArt, 4 Novembre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion -


    C'erano una volta i fiordalisi.
    Nel grano maturo il vento li muoveva come navicelle blu chiaro in un mare d'oro.
    Ghìsela conosceva il loro linguaggio sobrio.
    Sapeva che narravano di quando erano farfalle desiderose di provare l'ebbrezza della stabilità nell'illusione che, stando a dimora al suolo, potessero essere meno precarie.
    Avevano pregato il Re del Vento e la Regina della Terra di unirsi in nozze celestiali e farli diventare fiori.
    Vita da bulbo, sì.
    Radici fusto foglie petali, oh, sì.
    Non più larve, non più crisalidi e poi stupende ma effimere creature destinate a spegnersi nell'abbraccio solitario delle loro stesse ali.
    Vento gagliardo e Terra dolci curve si avvicinarono-discussero-decisero che si poteva fare, e si unirono.
    Nacque così il fiordaliso che sa di entrambi.
    Nella corolla un colore ineguagliabile per gamme azzurro cielo con tocchi viola. 
Quelle del vento che trascorre nubi, alberi, cespugli, fiumi e mari incanalandosi in gole profonde dove urla in modo terrificante, oppure blandendo erbe di campo, acini d'uva giallo ambra sugli scoscesi fianchi delle colline ocra.
    Nel gambo, che penetra le zolle e si armonizza di sostanza densa per farsi sonda duttile e tenace, il verde deciso della vita svettante alla luce.
    La sinfonia migliore del creato non renderebbe bene tanta leggiadria. Tanta commistione di leggerezza e forza.
    Così progredirono i fiordalisi, ondeggiando soavi con il grano, con i papaveri nel trionfo dell'estate.

    Ci fu in tempo in cui i campi blueggiavano in fitte macchie di fiordalisi mentre si spegneva l'oro del frumento. I fiordalisi avevano vita lunga e prosperosa a dispetto della lenta morte per essicazione del frumento attorno. 
    Fiorivano.
    Abbondantemente.
    Dalla stessa pianta nascevano più rampolli colorati dell'azzurro-violetto particolare, tipico della specie. Però anche loro erano destinati a restare delusi nella brama di sopravvivenza.
    I più longevi confabulavano spesso; si sfidavano a scoprire quali artifici mettere in atto per ottenere l'immortalità personalfloreale, come la definivano loro con un certo disprezzo sottile per i vicini di corolla, quelli che, certi dell'imminente morte per falce, si preparavano, nascondendo dei semi in più in qualche anfratto profondo del terreno.

    Nel campo di fine estate, con i fiordalisi ancora rigogliosi, in quel bellissimo campo, circondato da cespugli di ibisco rosa-arancio entrò Ghìsela. Scivolando lieve sulla seta dei suoi pensieri.
    Lei, in quel momento, si sentiva una farfalla.
    E non le interessava proprio di vivere la vita in attimi. Voleva provare la soavità di librarsi con ali di velo. Magari azzurre. Azzurro fiordaliso, in verità. e voleva al contempo anche vibrare al vento con petali leggeri del colore del cielo al crepuscolo.
    Ma c'è qualcosa in più a proposito di tali propensioni. C’è da dire, sissignori, che le farfalle le si posavano addosso. Le farfalle e Ghisela erano un'unica entità. Sembravano riconoscerla e capirla. Spesso, pertanto, lei passeggiava con un corteggio alato davvero delizioso.
    Strano! Pur tuttavia stupendo! commentavano i suoi famigliari e amici con un'aria incredula che era un programma esplicito delle constatazioni interne.

    Da un po' frequentava quell'isola rustica di serenità per lei. Stava sondando il linguaggio composito della natura. Ascoltava, imparava, non partecipava. La scelta sarebbe arrivata, una volta che avesse intuito e compreso le ragioni delle une, le farfalle, e degli altri, i fiordalisi. Il fatto che lei fosse umana era una quisquiliosa attitudine al giudizio di poca importanza. Ghisela erevoluta e aperta alle energie sottili. In lei aveva anche semi, crisalidi future, petali e ali. Sì. Era ibrida, pronta a diventare... che cosa? Beh, rispondeva. Ci penserà il Caso.

    E invece ci pensò il Padre Eterno.
    Percepito il flusso d'amore che da lei proveniva, decise di aiutarla perché esseri come Ghisela, così completi di tutto, erano una preziosa rarità.
    Perciò, mentre se ne stava beatamente seduta a guardare il cielo, le spighe rimaste ormai sbiadite, i pochi fiordalisi che resistevano alla calura e qualche farfallina che li suggeva, Dio le mise una mano in testa e sentenziò. 
    Lei sentiva la sua voce, forte e chiara.
    Senza meraviglia alcuna.
    Le risuonava nel cuore, e si amplificava nella mente.
    Sapeva, d'altronde, che tutto proviene dalla cellula divina che dà inizio all'Universo. Sapeva che bastava aprirsi all'ascolto per cogliere il miracolo di un'anima unita all'anima prima da cui proveniamo.
    La sua nuova vita procedeva già.
    Avrebbe potuto volare, fiorire, camminare in perfetta completezza.
    Grazie, Signore! sussurrò con le lacrime agli occhi.
    Poi agitò leggermente le sue recenti ali di velo dai colori arcobaleno e planò tra i pistilli di un grande fiordaliso che prese ad accarezzarla e a solleticarle il corpo flessuoso.
    La sensazione era inspiegabilmente profonda ed eccitante.
    Ghisela si immerse nel fiore e si lasciò amare. Amandone l'essenza nettarina.
    L'aspettava un'esistenza ricca di emozioni.
    Un'esistenza-preghiera di ringraziamento per la varietà generosamente concessa.
    Se fosse traslata in altre dimensioni durante uno dei suoi tre stati, avrebbe comunque ringraziato. Colma di gratitudine.
    Quella notte si sarebbe rifugiata in una piccola crepa del cipresso grande appena al di là del campo. Da umana l'aveva sempre sfiorata, con una sensazione, come dire..., una sensazione verde, di intelligenza totale. E là avrebbe lasciato un po' della polvere policroma delle sue ali.
    Il mondo aveva bisogno di magia.
    Da donna aveva sentito le connessioni che legavano indissolubilmente gli elementi tra di loro, da farfalla le vedeva come una rete di polline dorato.
    Chissà da fiordaliso quali prodigiosi percorsi sensoriali avrebbe captato, quanto ancora si sarebbe aperta alla conoscenza infinita dell'essere!
    Ben presto ne sarebbe stata consapevole.
    Abbandonandosi, naturalmente, a quei veri e propri Atti di Fede che avevano il potere di concretizzare i desideri.
    

lunedì 30 ottobre 2023

Prosa / Di draghi e altro: Racconti.

 
Questo libro mi perseguita.
Ce l'ha amichevolmente con me perché gli resisto.
Vedremo come andrà a finire.


Irene Navarra, La scrittrice e il suo libro, AIArt e GraphicArt, 25 Ottobre 2023.


    Sta nascendo il mio libro di racconti.
    Nell'immagine il titolo.
    Non sono ancora convinta che sia una buona cosa. Il pubblicarlo, intendo.
    Ci penso e intanto lavoro.
    Annoiata, perché mi pesa l'impegno del correggere che scatena in me una forma di compulsione insopportabile.
    Sono un'ossessiva nelle revisioni.
    Maniacalmente immersa in quanto già scritto.
    Detesto le ripetizioni di vocaboli che, qualche volta e purtroppo, mi sfuggono. Le scopro sempre, vista la mia formazione da filologa esasperata, ma le criminali evase mi fanno stare male al punto da sognarle la notte come aguzzine pronte a perforarmi il cervello. 
    Così mi sveglio e corro a controllare.
    Ancora e ancora.
    Insomma: le parole sbagliate o superflue affiorano a livello di coscienza e si rivelano nel sonno.
    Uno stress indicibile.
    Perciò non amo pubblicare.
    Cerco di evitarlo.
    Non so, però, se ci riuscirò.
    Questo libro mi minaccia in modo bonario.
    È un libro positivo.
    Probabilmente non sarò in grado di resistere.
    E penso: finché resta nel limbo delle cose sospese, mi salvo.
    Poi saranno dolori.
    Povera me!


lunedì 21 agosto 2023

Prosa / Racconto breve: Henrietta e il drago,


Irene Navarra, Henrietta e il Drago, AI olio su tela, 18 Agosto 2023.


    Vestita di un abito color cannella che le lasciava scoperte le spalle, i lunghi capelli tanto biondi da sembrare bianchi raccolti in una crocchia scomposta sulla nuca, la giovane Henrietta camminava spedita. Il crepuscolo settembrino aveva rinfrescato l’aria e lei voleva arrivare a casa in fretta. Sulla via del ritorno, tuttavia, l’attendeva un imprevisto. Proprio in mezzo al tratturo che si snodava tra i campi e arrivava al cancello di servizio del suo giardino, al centro preciso di una modesta curva a gomito, c'era qualcosa di strano.
    Una forma quasi di piccolo dinosauro con una cresta sul dorso, due miniali aperte sui fianchi e una lunga coda, se ne stava in una fessura del sentiero.
    Henrietta si fermò un pochino interdetta, si stropicciò gli occhi e guardò cercando una messa a fuoco migliore.
    Forse era un'allucinazione. Guardò, quindi, aspettandosi il nulla di sempre.
    E tuttavia la forma era là.
    Sussultava a tratti. Come se respirasse a fatica.
    Che fare?
    Decise di avvicinarsi.
    Avanzò piano, fermandosi a circa mezzo metro da quello che ormai si poteva definire un animale.
    Immerso in una specie di catalessi, a tratti bubbolava. Ovvero buttava fuori l'aria dalle narici in scoppiettii ripetuti.
    Sembrava un incantevole, minuscolo drago bianco. Bianco tutto il corpo, la coda, le creste della testa e del dorso. Le ali e le zampe, invece, viravano in vaniglia caldo.
    Un drago. Uscito da un libro di favole. Divenuto realtà per qualche caso astruso.
    Uno spettacolo incredibile, però.
    Nessuna paura la agitò. Anzi un'intensa ridda di emozioni le si scatenò nell'intimo. Per qualche oscura ragione riusciva a cogliere la fragilità di quella creatura singolare.
    Si inginocchiò, pertanto, accanto alla buca, posò lo zainetto a terra togliendoselo dalle spalle, lo aprì con calma e ne estrasse una sciarpa azzurro cielo di morbidissimo chiffon.
    Sarebbe stata la culla di fortuna per depositarvi il piccolo drago.
    Lui si lasciò prendere senza reagire. Aprì gli occhi, scrutò per un attimo Henrietta con pupille verdissime - due perle smeraldine velate di tristezza - e si rincantucciò tra le sue mani amorevoli, accomodandosi nella sciarpa azzurro cielo che lei rimboccò attorno al buffo muso.
    Poi si addormentò. Profondamente al punto da sembrare esanime.
    Henrietta, però, sapeva con chiarezza che lui viveva, dato che il corpicino iniziava a scaldarsi e il petto andava su e giù, con ritmo regolare.
    Che incontro! realizzò allora Henrietta.
    E corse verso casa.

    Percy intanto sognava quanto gli stava accadendo. Come in un film. A un certo punto si accorse di trovarsi in una cuccia grande e confortevole, accanto a un letto dove riposava la sua salvatrice, emettendo ogni tanto dei lievi sospiri. Di soddisfazione, pensò. Per averlo trovato. Felice dell'ipotesi, si girò sull'altro fianco e continuò a nannare.
    Non stava così bene da molto.
    Aveva vagato e vagato. Una meta c'era, di sicuro. Ma non sapeva in quale luogo.
    Finché non era arrivato alla rustica stradina di terra rossa serpeggiante tra i campi. Là avrebbe avuto inizio la sua vera avventura. In qualche modo sarebbe successo. Lo aveva capito nel suo cuore di drago buono.
    E avveniva per davvero.
    Protetto dai teneri sentimenti di Henrietta, Percy si avviava al termine prefissato per ogni essere della stirpe dei draghi bianchi. Quelli cioè che avevano compiti segreti e delicati da svolgere, e non si trasformavano mai in sputafiamme, pur se impauriti o attaccati.

    Dopo un tempo che Percy non poteva valutare (ore, giorni?), Henrietta gli sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre lui ancora planava tra nuvole e fiori, ornandosi le creste di gelsomini nel lungo dormiveglia ristoratore. Aguzzò i suoi ipersensi e udì che gli comunicava una notizia fantastica: Ti chiamerò Percy, bisbigliava accarezzandogli la punta del naso, il diminutivo di Percival. Come lui anche tu hai percorso strade infinite, lo sento. Qui c'è il tuo Graal. Quando ti sveglierai, brinderemo insieme, con latte e succo di lamponi.
    Percy sognò che lei lo battezzava solennemente con quello che era il suo nome sin dalla nascita. Gli faceva cadere alcune gocce di latte sulla testa, scandendo le parole: Tu sei Percy.
    Henrietta lo aveva intuito.
    E ciò significava una cosa sola: lei era la sua meta.
    Dopo questo pensiero, il sonno ritornò pesante e beato.
    E lui fu solo una minuscola anima fluttuante.

    Colma di gioia per l’incontro inaspettato Henrietta parlava di Percy a tutti, ma nessuno le dava credito perché nessuno lo percepiva o vedeva. Non si accorgevano della sua esistenza.
    Credevano che la ragazza fosse lievemente disturbata e non la contrastavano.
    Henrietta chiacchierava con Percy e gli raccontava il suo disagio. Lui ribatteva-spiegava-rintuzzava-assentiva-dissentiva, cercava di consolarla, rappresentandole la poca importanza del fatto che nessun famigliare o amico volesse darle fiducia e partecipare ai loro dialoghi. 
Lei se ne lamentava, mentre banchettavano a pane e miele e bevevano latte con succo di lamponi.
    Chiedeva che distorsione fosse quella.
    Percy viveva in una dimensione parallela visibile solo a lei?
    Lui rispondeva paziente e la invitava alla gentilezza e allo stare di animo sereno.
    Li aspettava un futuro ricco di vicende fascinose. Non doveva crucciarsi. Lei era Sole, Luna, Stelle. Brillava di una Luce abbagliante. Lui era nel suo destino. Questo bastava.

    Destino che, intanto si andava preparando, nonostante le saltuarie ubbie, comunque solo momentanee. Duravano i dieci secondi della preghiera recitata ritualmente in coro quando dovevano esorcizzare qualcosa di brutto, tipo ingiurie e atteggiamenti maligni.
    Per il resto Henrietta e Percy gravitavano in una dimensione perfetta.
    Lei imparava da lui il linguaggio dei draghi: una serie di gorgheggi modulati che erano la chiave per comunicare con i fiori.
    Lui acquisiva da lei le tecniche migliori per arrampicarsi sulle querce e da quelle postazioni privilegiate guardare l'orizzonte, immaginando di arrivarci in volo.
    Percy ascoltava con espressione compunta, nascondendo l'innata dote magica del teletrasporto per sé e per gli amici. Non ne abusava mai. La formazione severa, che gli era stata impartita, si basava sul principio della riservatezza. Che non aveva mai, proprio mai, travalicato.
    Ora era arrivato il momento.
    A voce ferma scandì a Henrietta l'ordine di chudere gli occhi e di contare per tre volte tre.
    Dopo avrebbe potuto riaprirli.
    Lei obbedì d'istinto e seguì le indicazioni.
    Dunque: nel preciso istante in cui le palpebre le si dischiusero, immediatamente comprese quanto era successo e atteggiò la bocca in un oh di stupore. Sedeva, con Percy allato, tra i rami del gigantesco cedro cresciuto sulla collina blu-viola che prima era stata il loro orizzonte.
    Il ritorno sulla quercia fu altrettanto veloce e prodigioso.
    Da quell'esperienza Henrietta non stressò più Percy con lagne inutili. Accettò il suo miracolo e si godette lo scorrere delle stagioni.
    L'Autunno, l'Inverno, La Primavera e l'Estate successivi al loro incontro divennero gli stupendi scenari in cui ambientare la quotidianità, balzando di esplorazione in esplorazione.

    Una notte, prima di addormentarsi nella sua cuccia (si era agli inizi di Settembre), Percy disse a Henrietta che la mattina, al risveglio, sarebbe iniziato quell'itinerario favoloso che il Tempo tesseva per loro.
    Henrietta non capì del tutto, ma si fidava.
    Biascicò e scivolò nelle visioni di ogni notte, con cani, gatti, merli... e Percy. Sapere di un domani con lui, il suo Percy bianco-vaniglia, era già un motivo valido per dormire saporitamente.

    Henrietta e Percy si alzarono all'unisono portati da uno stesso desiderio: uscire alla chetichella per scorrazzare nelle campagne selvagge attorno a casa, scendendo fino al fiume, magari. Fecero la solita colazione di pane con miele, latte con succo di lamponi e presero il viottolo che li avrebbe portati alla calma libertà di quei luoghi deliziosi, dove si erano imbattuti a vicenda.
    Saltellavano, si spingevano, cantavano motivetti d'invenzione. Percy aveva una voce da tenore bella e melodiosa. Chi mai l'avrebbe sospettato in un draghetto bianco e vaniglia! Henrietta intonava il tema di fondo e suonava un immaginario violino, la cui musica si generava magicamente.
    Ah, l'intelligenza dell'universo! Quanto era potente! Nessun software ultratecnologico sarebbe riuscito a eguagliarla. Neanche un briciolo di meraviglia in loro per la sinergia che sembrava scaturire dagli alberi, dal cielo, dal Creato tutto. Erano parte di un prodigio dalla consistenza talmente reale da non dubitarne.
    Scherzando e ridendo, quindi, arrivarono al fiume, alle sue acque turchesi, alle robinie, ai rovi, ai cespugli di vitalba e caprifoglio, ai pioppi e ai salici rigogliosi tra i cui fusti inscenarono lieti giochi innocenti.
    Armonie di una gita in piena letizia.
    Grazia pura.
    Finché non avvertirono un guaire flebile.
    Si precipitarono, Henrietta e Percy, verso il luogo da cui sembrava arrivare il richiamo e giunsero con il fiato corto a una piccola ansa riparata da degli imponenti massi disposti in semicerchio attorno all'acqua a formare un primitivo tempio naturale. E là, in un'erosione profonda della pietra di centro videro un cane riverso nel fango. Sembrava un Setter. Uno dei numerosi spesso abbandonati dai cacciatori. Lo raggiunsero e, mentre Henrietta lo esaminava per vedere se avesse qualche frattura, scoprendolo maschio, Percy le posò il muso sulla schiena e le disse: Te l'avevo preannunciato che questa sarebbe stata una giornata speciale. Ecco, lui sarà il tuo compagno per molti anni e io vi scorterò con il cuore. Ho svolto il mio compito. Entro breve non mi vedrai più. Ma non per questo non sarò accanto a voi. Sono un'infinitesima parte dell'anima che fa vivere l'universo. Io sono voi e voi siete me. Addio, amica cara. Adesso posso tornare in pace al mondo mio d'origine.
    E sparì.
    Con le guance inondate di lacrime e una sofferenza atroce che la lacerava, Henrietta raccolse l'infelice vittima della crudeltà umana e filò rapida verso casa. Percy era al suo fianco, lo sapeva, e la confortava la convinzione che non fosse scomparso completamente.
    La sua dolcezza restava e la aiutava a concentrarsi sul necessario da compiere.
    Quando arrivò nella cucina, rifocillò il cane con del latte e del pane spalmato di miele, poi lo ripulì alla bell'e meglio e lo depose nella cuccia che era stata di Percy. Solo allora lui, il suo strappato a una morte certa, le volse lo sguardo.
    Aveva occhi tondi e verdissimi.
    Due perle smeraldine velate di tristezza.
    Tondi e verdissimi.
    Henrietta gli appoggiò una mano sulla pancia e continuò a piangere.
    Ma non di dolore.
    Di gratitudine.

20 Agosto 2023
Irene Navarra