C'erano una volta i fiordalisi.
Nel grano maturo il vento li muoveva come navicelle blu chiaro in un mare d'oro.
Ghìsela conosceva il loro linguaggio sobrio.
Sapeva che narravano di quando erano farfalle desiderose di provare l'ebbrezza della stabilità nell'illusione che, stando a dimora al suolo, potessero essere meno precarie.
Avevano pregato il Re del Vento e la Regina della Terra di unirsi in nozze celestiali e farli diventare fiori.
Vita da bulbo, sì.
Radici fusto foglie petali, oh, sì.
Non più larve, non più crisalidi e poi stupende ma effimere creature destinate a spegnersi nell'abbraccio solitario delle loro stesse ali.
Vento gagliardo e Terra dolci curve si avvicinarono-discussero-decisero che si poteva fare, e si unirono.
Nacque così il fiordaliso che sa di entrambi.
Nella corolla un colore ineguagliabile per gamme azzurro cielo con tocchi viola. Quelle del vento che trascorre nubi, alberi, cespugli, fiumi e mari incanalandosi in gole profonde dove urla in modo terrificante, oppure blandendo erbe di campo, acini d'uva giallo ambra sugli scoscesi fianchi delle colline ocra.
Nel gambo, che penetra le zolle e si armonizza di sostanza densa per farsi sonda duttile e tenace, il verde deciso della vita svettante alla luce.
La sinfonia migliore del creato non renderebbe bene tanta leggiadria. Tanta commistione di leggerezza e forza.
Così progredirono i fiordalisi, ondeggiando soavi con il grano, con i papaveri nel trionfo dell'estate.
Ci fu in tempo in cui i campi blueggiavano in fitte macchie di fiordalisi mentre si spegneva l'oro del frumento. I fiordalisi avevano vita lunga e prosperosa a dispetto della lenta morte per essicazione del frumento attorno.
Fiorivano.
Abbondantemente.
Dalla stessa pianta nascevano più rampolli colorati dell'azzurro-violetto particolare, tipico della specie. Però anche loro erano destinati a restare delusi nella brama di sopravvivenza.
I più longevi confabulavano spesso; si sfidavano a scoprire quali artifici mettere in atto per ottenere l'immortalità personalfloreale, come la definivano loro con un certo disprezzo sottile per i vicini di corolla, quelli che, certi dell'imminente morte per falce, si preparavano, nascondendo dei semi in più in qualche anfratto profondo del terreno.
Nel campo di fine estate, con i fiordalisi ancora rigogliosi, in quel bellissimo campo, circondato da cespugli di ibisco rosa-arancio entrò Ghìsela. Scivolando lieve sulla seta dei suoi pensieri.
Lei, in quel momento, si sentiva una farfalla.
E non le interessava proprio di vivere la vita in attimi. Voleva provare la soavità di librarsi con ali di velo. Magari azzurre. Azzurro fiordaliso, in verità. e voleva al contempo anche vibrare al vento con petali leggeri del colore del cielo al crepuscolo.
Ma c'è qualcosa in più a proposito
di tali propensioni. C’è da dire, sissignori, che le farfalle le si posavano addosso. Le farfalle e Ghisela erano un'unica entità. Sembravano
riconoscerla e capirla. Spesso, pertanto, lei passeggiava con un corteggio alato
davvero delizioso.
Strano! Pur tuttavia stupendo! commentavano i suoi
famigliari e amici con un'aria incredula che era un programma esplicito delle constatazioni interne.
Da un po' frequentava quell'isola rustica di serenità per lei. Stava sondando il linguaggio composito della natura. Ascoltava, imparava, non partecipava. La scelta sarebbe arrivata, una volta che avesse intuito e compreso le ragioni delle une, le farfalle, e degli altri, i fiordalisi. Il fatto che lei fosse umana era una quisquiliosa attitudine al giudizio di poca importanza. Ghisela era evoluta e aperta alle energie sottili. In lei aveva anche semi, crisalidi future, petali e ali. Sì. Era ibrida, pronta a diventare... che cosa? Beh, rispondeva. Ci penserà il Caso.
E invece ci pensò il Padre Eterno.
Percepito il flusso d'amore che da lei proveniva, decise di aiutarla perché esseri come Ghisela, così completi di tutto, erano una preziosa rarità.
Perciò, mentre se ne stava beatamente seduta a guardare il cielo, le spighe rimaste ormai sbiadite, i pochi fiordalisi che resistevano alla calura e qualche farfallina che li suggeva, Dio le mise una mano in testa e sentenziò.
Lei sentiva la sua voce, forte e chiara.
Senza meraviglia alcuna.
Le risuonava nel cuore, e si amplificava nella mente.
Sapeva, d'altronde, che tutto proviene dalla cellula divina che dà inizio all'Universo. Sapeva che bastava aprirsi all'ascolto per cogliere il miracolo di un'anima unita all'anima prima da cui proveniamo.
La sua nuova vita procedeva già.
Avrebbe potuto volare, fiorire, camminare in perfetta completezza.
Grazie, Signore! sussurrò con le lacrime agli occhi.
Poi agitò leggermente le sue recenti ali di velo dai colori arcobaleno e planò tra i pistilli di un grande fiordaliso che prese ad accarezzarla e a solleticarle il corpo flessuoso.
La sensazione era inspiegabilmente profonda ed eccitante.
Ghisela si immerse nel fiore e si lasciò amare. Amandone l'essenza nettarina.
L'aspettava un'esistenza ricca di emozioni.
Un'esistenza-preghiera di ringraziamento per la varietà generosamente concessa.
Se fosse traslata in altre dimensioni durante uno dei suoi tre stati, avrebbe comunque ringraziato. Colma di gratitudine.
Quella notte si sarebbe rifugiata in una piccola crepa del cipresso grande appena al di là del campo. Da umana l'aveva sempre sfiorata, con una sensazione, come dire..., una sensazione verde, di intelligenza totale. E là avrebbe lasciato un po' della polvere policroma delle sue ali.
Il mondo aveva bisogno di magia.
Da donna aveva sentito le connessioni che legavano indissolubilmente gli elementi tra di loro, da farfalla le vedeva come una rete di polline dorato.
Chissà da fiordaliso quali prodigiosi percorsi sensoriali avrebbe captato, quanto ancora si sarebbe aperta alla conoscenza infinita dell'essere!
Ben presto ne sarebbe stata consapevole.
Abbandonandosi, naturalmente, a quei veri e propri Atti di Fede che avevano il potere di concretizzare i desideri.