Visualizzazione post con etichetta #morte. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta #morte. Mostra tutti i post

domenica 31 marzo 2024

Poesia / Cronaca: Lo sguardo di Cristo.




P_Irene Navarra, Lo sguardo di Cristo, AIArt e GraphicArt, 30 Marzo 2024



E nel Silenzio fondo
dopo la Crocifissione
si scioglie un canto d'anima.
Cristo mi guarda ormai oltre il supplizio
con occhi di nubi e cielo.
Il cuore adesso sa.
La Morte non è il nulla.
La Morte è rigoglio di fiori,
farfalle in volo,
api che ronzano sollecite.
Miele, Manna, Nettare vitale.
Ecco.
La Morte è Vita nello Spirito.
Immagini di velo,
Musiche inaudite,
Profumi azzurri.
Io sono qui,
tocco la mia carne,
bevo il vino della festa,
riesco a ritrovarmi nel pensiero
mentre il Paradiso s'apre
e m'inghirlanda.


P_Irene Navarra, Cristo incoronato di fiori, AIArt e GraphicArt, 30 Marzo 2024

martedì 5 marzo 2024

Poesia / Margini: Per Virginia, Sopra il lago.

 
Lei, Virginia, non c'è più.


P_Irene Navarra, Sopra il lago, AIArt e GraphicArt, 5 Marzo 2024.


Lacrime rocciose
inanellate
a chiome nere.
(L'unico ornamento
che ti rimane
ancora intatto.)
Le mani – tese - come
pali che svaniscono
nel lago senza fondo.
(In apparenza belli
nel loro ondoso
riflettersi discreto.)
Oppure pale
preparate per scavare
sotto il fango, pronte a
Dislimare
Dischiudere
Sperare.
Domani
Fuori dal Diluvio
Sopra il lago.


Virginia


Per leggere altre liriche di Margini (B & V Edizioni) segui i link:
QuiQui; e Qui.

mercoledì 1 novembre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo, Le tracce di mio padre (4 - Napoli).

 

Immagine creata con AI su prompt dettagliato e preciso (https://stablediffusionweb.com).
P_Irene Navarra, Le tracce di mio padre, AIArt e GraPhicArt, 1 Novembre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion -


    Sono a Napoli, nell'appartamento di nonna in via Chiaia.
    La pendola appesa alla parete dietro la scrivania, che era di nonno Luigi, rintocca le 11.00.
    L'amica per la pelle - e compagna di classe - Thea, riposa stesa a terra vicino a me.
    Abbiamo trascorso la notte sulle sudate carte di latino e greco che porteremo agli esami di Quinta Ginnasio. Siamo davvero stravolte.
    Papà viene a trovarci. Entrando getta uno sguardo alla parete di destra su cui campeggia il quadro a olio di suo padre, morto di febbre spagnola quando lui aveva appena pochi mesi.
    Lo fa sempre quando entra in questa stanza.
    Poi si gira verso di noi,
    La giacca in lino un poco spiegazzata, bianco grezzo, i pantaloni beige, sempre in lino, la camicia azzurra, il cache-col dai toni freddi, il Borsalino spinto sulla nuca, ride, papà, come un invasato ai nostri segni di stanchezza dopo ore e ore di applicazione ai sacri testi e un vaso di melanzane sott'olio casalinghe svuotato completamente. Vuole sollevarci il morale, come suo solito. Non abbiamo la forza di rispondergli con leggerezza.
    Allora sparisce in camera da letto, vi si ferma un paio di minuti, e ricompare.
    Pigiama blu, sulle spalle un asciugamano grande color arancio come mantello. La sciarpa di seta a disegni cachemire di nonna Maria a mo' di turbante in testa, vola nella stanza e lungo il corridoio, cantando il tema di Lawrence d'Arabia. Le sabbie del deserto si alzano in mulinelli attorno a lui.
    Tu sei Lawrence. Io lo so. Convinto di stare cavalcando un cammello in corsa.
    Thea e io, il pubblico di un film spettacolare.
    Così scoppiamo a ridere e lui, finalmente soddisfatto, torna al Borsalino, al suo cache-col e ai lini dell'abito da passeggio.
    Occhiali scuri e di buon passo nel sole fino alle rive di via Caracciolo, alla Villa, al mare.

    Un attimo da quei rituali di felicità, e ci fu Autunno, il cadere della foglie, l'assenza. 
    Resta l'eco della sua voce allegra che canta con ironia La pansé di Renato Carosone.


Pansé viola, 'a mij,
~ surriso - ammore - priezza ~
pansé gialla, 'a toia



martedì 31 ottobre 2023

Poesia / Gendai Haiku: La luna, noi (con Giacomo Leopardi).


Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?

Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, vv. 1 - 2.

P_Irene Navarra, La notte -  noi, AIArt, 31 Ottobre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion XL -



Dentro la notte
maturano i pensieri ~
Dissolto il corpo

Sincero il gatto
si struscia sul polpaccio ~
Trattengo il passo

La Luna ride ~
Scrosciano mari e monti ~
Frana il mantello

E intanto Morte
impazza in Medio Oriente ~
Luna sa niente


Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (3 - Gorizia).


Siamo a Gorizia.
Correva l'anno 2015.

L'immagine è stata generata Con Stable Diffusion XL (https://stablediffusionweb.com).)
P_Irene Navarra, Pablo tra i fiori, AIArt e GraphicArt, 31 Ottobre 2023.


    Ho per meta un luogo speciale.
    Mi precede il mio esploratore preferito: l'unico di cui mi fidi. È un cane. Un Golden    Retriever di nome Pablo. Il mio cane.
    Dalla nostra casa in Gorizia - nella parte alta della città delimitata da colline morbide e dalla cintura turchese dell'Isonzo -  punta dritto al Monastero delle Orsoline che sorge a poca distanza.
    Io gli corro dietro.
    Si gira a guardarmi davanti al portone d'accesso ed entra sicuro con il suo passo dinoccolato ed elegante. Da Lord inglese. Una gioia per gli occhi.
    Lo trovo nell'atrio che mi aspetta.
    Ci sono.
    Scampanello.
    Suor Elena, amica e compagna da sempre di avventure spirituali, mi apre.
    Siamo dentro. Nel cuore del Convento.
    Un minuto di attesa, ché sistemi il suo tombolo e affidi a una consorella la portineria, e ci infiliamo nel corridoio dal pavimento tirato a lucido che ci porta al Parco.
    Il Parco è un altro mondo.
    Una dimensione secolare fatta di alberi antichi, rigogliosi e non, con ferite di un vissuto importante nei tronchi. Pablo è felice. Corre libero saltando di aiola in aiola. Annusa i fiori, le erbe. Si tuffa nei cespugli. Rincorre scoiattoli che si beffano di lui dall'alto delle loro tane aeree. Poi si accuccia sereno davanti a un ricco ciuffo di margherite.
    Lui ama le margherite.
    Noi ci avviamo verso il tavolino di pietra tonda (la nostra Tavola Rotonda della nostra Camelot segreta) che pare attenderci all'ombra dell'immensa sughera, signora del luogo.
    Adesso il profumo della sua corteccia è intenso.
    Sparge sentori prodigiosi quando siamo sotto i suoi rami contorti. Abbiamo capito da un po' che è il suo modo di assentire - aromaticamente - al nostro presentarci al suo cospetto.
    Di fronte: due tassi ormai quasi decrepiti ci sorvegliano.
    Nascondono di sicuro i druidi che qui danzavano al chiaro di Luna.

    Mi tolgo lo zaino dalle spalle, lo appoggio su una panchetta sempre di pietra, lo apro con religione e ne estraggo: formaggio montasio, pane, mandorle, un bottiglietta di Pinot bianco fresco e due bicchieri. Sistemo il tutto sulla Tavola Rotonda.
    Verso il vino.
    Alziamo i bicchieri.
    Brindiamo.
    A noi e alla vita.
    Pablo, immobile davanti alla grotta della Madonnina di Lourdes qua ricreata, coglie il sacro del luogo e scodinzola.
    So che sorride.
    Lui vede cose che noi non vediamo.


E rientrando
l'ombrello di Elena
appeso al portone.


Irene Navarra, L'ombrello di Elena, FotoInstagram, 29 Giugno 2015
.


domenica 29 ottobre 2023

Poesia / Ritratti in ChiaroScuro: Hadith #6.

 

P_Irene Navarra, Hadith #6, AIArt e GraphicArt, 29 Ottobre 2023


Il vento tra i capelli.
Polvere azzurra mulinella attorno.
Il cielo si è disciolto nel pigmento
adatto alla sua pelle d’oro.
Sogna Hadith
giardini immensi
con piante rigogliose
e donne dalle chiome senza veli.
Gemmare come un mandorlo
sarebbe succulento dono.
Mangiarne i frutti a volontà.
Cantando.
Dei gusci farne cavigliere,
sonanti nacchere proibite.

Oh, sì danzare e volteggiare 
battendo i piedi scalzi
sul suolo caldo del meriggio.
Topazio il corpo,
le labbra schiuse nel sorriso,
inizia l'avventura della vita
pur nell'abisso inenarrabile.

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (2 - Trieste).


Partiva per l'ennesima volta.
E con lui il mio pensiero.
Il cuore no.
Restava qui a rimirare il mare con la luce dei nostri occhi dentro. Blu mare in noi, mescolato sempre all'argento del distacco. Ogni onda un ricordo. Travolgente e profumato di pini. I nostri corpi sapevano di resina. Nei capelli aghi pungenti. Scaglie di pigne sulla pelle.
A Miramare, nel Parco del Castello di Massimiliano e Carlotta, l'aria stessa ci faceva mito. Le rive, poi, di Trieste bella ci accoglievano sorridenti verso casa e il Pelinkovac versato a goccia nei bicchieri colmi di ghiaccio.


P_Irene Navarra, Lungo i binari nel giorno del distacco, AIArt e GraphicArt, 28 Ottobre 2023.


In ogni punto
del viaggio verso Vienna
tra le tue mani.

Sono un giornale
che racconta amore
privo d'inchiostro.


venerdì 27 ottobre 2023

Poesia / Ritratti in ChiaroScuro: Armita #5.


Sto soffocando
in questa vita scialba -
Mi tolgo il velo.

Irene Navarra, Noia, AIArt e GrapicArt, 26 Ottobre 2023.


La ribellione è una scelta.
Di Vita o di Morte.
Per lei, Armita, è stata di Morte.
Zazzera corta libera e passo energico.
Vita, Vita, Vita.
E poi...

giovedì 26 ottobre 2023

Poesia / Ritratti in ChiaroScuro: Angela #4.


Le morti dei migranti nel Mediterraneo sono un fatto di per sé orribile.
Quelle dei bambini mi addolorano immensamente.
Allora invento miti.
Creo leggende.
Nella mia mente offro loro una rinascita.

P_Irene Navarra, La Messaggera / Angela #4, AiArt e GraphicArt, 25 Ottobre 2023.



Bianco degli occhi,
bianco panna delle labbra,
minime ali di spuma candida.
Spuma di mare nata su coste coralline
onda per onda risucchiando gemme.
Luminose come la sua anima innocente
spuntano dalla schiena di bambina
in transito veloce tra di noi.
Un'Angela caduta dentro il mare,
e trasformata nei solchi delle linfe liquide
con ornamenti da Afrodite umile.
E poi di bocca in bocca sottovoce
fino a plasmarne la leggenda
di figlia pura dalle ali lievi chiesta dal Creatore.
Così Lei, la Messaggera nata dalla morte,
si staglia eterna contro il cielo
- di sole d'oro circonfusa
o sfolgorante nella notte nera -
e indica la via.


domenica 27 agosto 2023

Poesia / Cronaca: La Morte viene vestita di Bianco.

 
Ricordando Pavese, nell'anniversario della Morte.
Con il pensiero volto alla sua eredità morale e letteraria, scrivo.
Di quanto lui affrontò ben conscio di una evidenza: all'uomo è data la sola Libertà per la Morte.
Scrivo e disegno.
La sua Morte la vedo come una bellissima, giovane donna dagli insondabili occhi oscuri.

A Cesare Pavese, con Amore.


Irene Navarra, La Morte viene vestita di bianco, AI Olio su tela, 27 agosto 2023.



La Morte viene vestita di Bianco.
Sembra cortese ma,
se ti sogguarda un poco,
ti accorgi della sua natura vaga.
Ha occhi come abissi in cui è facile cadere.
Il suo sorriso ha un fascino che abbaglia
mentre la sai l'Oscurità più fonda a ogni passo
e con un brivido ti accorgi
che Lei te l'offre come un dono.
Ti senti menomato, irriso,
anche ingannato,
eppure vai.
Sublime il Buio in cui cammini.
E dietro - non serve volgersi e scrutare -
dietro nessuna strada.
Quelle percorse e ripercorse
nel vano tentativo di accasarti
con gli dei del mondo chiaro.
Non c'è più strada.
Però c'è Lei davanti a te.
Lei così bella con i suoi occhi grandi,
vasti come una Notte senza stelle.
Dunque la scelta.
L'unica scelta è seguitare.
Così respiri ormai con la sua bocca,
t'insinui in Lei per farti corpo suo.
Perché - lo sai perfettamente -
Lei così bella non puoi lasciarla andare.



venerdì 23 giugno 2023

Poesia / Cronaca: Pietre sul cuore.

 

Un dolore grande può portare a riflessioni cupe.
Allora, quando il cuore si appesantisce tanto da sembrare di pietra,
il pensiero della Morte sembra una liberazione.


Irene Navarra, Pietre sul cuore, AI e Grafica, 23 Giugno 2023.


L'hanno sepolto, questo mio cuore,
con pietre tutte spigoli
che premono e perforano
solo al posare i palmi.
Ho un tumulo nel petto.
Senza corredi e offerte.
Mi sento morta.
In modo strano.
Partecipo al respiro,
ma mi sembra d'altri.
Viene da lontano
E il battito intona un ritmo cupo.
Barbarici strumenti a percussione
lo spezzeranno a forza di colpire.
Lo strappo dal costato,
questo cuore inutile,
e lo regalo al fiume
che mi chiama
con flebile sussurro.
Le pietre del dolore non mi tradiranno.
Nel fiume ha la sua storia ineluttabile:
quieto riposo in trasparenza d'ambra.
Io con lui.

lunedì 19 giugno 2023

Prosa / 145474: Incantamento fatale. Racconto di Riccardo Bortolami.

 

Irene Navarra, Il Violinista  / Storia di una malia collettiva, AI e Grafica, 19 Giugno 2023.




    La sua musica attirava tutti.
    Li faceva sentire galanti.
    Ognuno, dal contadino più umile al più ricco dei re, si ingentiliva al solo ascolto.
    Le corde melodiose del suo violino portavano la gente in un mondo diverso, dove non c’erano ostacoli, imposizioni, vincoli.
    Questo perché le note liberate dallo strumento agivano come una droga.
    I cuori battevano più velocemente, le emozioni diventavano intense e prendevano il volo alla ricerca dell’origine di quel prodigio. Ed esse, le emozioni, una volta trovata la fonte del concerto che le aveva generate, si lasciavano catturare ed entravano nel nucleo del violino stesso, aumentandone il potere.
    Si intuisce, quindi, che quel violino incatenava le suggestioni per nutrirsene.
    Anche gli animali, sia domestici sia selvaggi, erano affascinati dai suoi suoni, così come un bimbo lo è dai giocattoli colorati.
    Tra le creature a quattro zampe gravitanti attorno a quello strumento, che pareva avere vita propria, c’era un gatto. Dapprima timido, poi sempre più temerario, si era avvicinato imprudente alla fonte dell'armonia meravigliosa, seguendone la traccia nell’aria.
    E fu la sua condanna perché, quando arrivò al musicista che la produceva, si attaccò alla sua gamba e rimase lì giorno e notte, senza alcuna cura di sé.
    Dimentico della sua famiglia, del nutrimento adeguato, dei sonnellini tra l’erba, delle cacce diurne e notturne, incominciò a deperire, nel silenzio assoluto di una sorta di luttuoso incantamento.
    Anche il quartiere, un tempo vivace, ora giaceva muto e immobile.
    Gli abitanti avevano ceduto al brivido inquieto del violinista, che continuava a suonare, e a suonare, e a suonare.

    Morirono uno a uno.
    Morirono di musica.
    L’unico piacere che bramavano.
    Niente cibo né acqua, solo il loro amore per la musica reso schiavo.
    Mentre il violinista pazzo, ignaro della distruzione che aveva causato, muoveva l’archetto sullo strumento perso nelle sue note, 
la città si fermò e prese a coprirsi di uno strato di polverina grigia.
    Così, non percependo nessuna vibrazione vitale attorno a lui, il Violinista si avviò verso altri luoghi ancora pieni di energia.
    Si avviò con il suo talento, la sua passione, il suo violino ipnotico.

venerdì 9 giugno 2023

Poesia / Orme ( da "Dettagli").

 

Per quanto si parli di entrare nella Luce dopo la morte,
la perdita di chi ami porta pensieri cupi.
Il pessimismo incalza, dunque.

Irene Navarra, Orme, AI e Grafica, 9 Giugno 2023.


Segno dopo segno,
una pesante lente da navigatore
sopra il cuore, c'impossessiamo
dello spazio esteso che l'onda
anomala ha lasciato sulla riva.
 
Anfratto dopo anfratto
sedimentiamo tante storie.
Costruiamo torri e campanili
in una calma satura di lutto
sotto un Sole indifferente
che non vede orme.

E tantomeno l'ombra
dei nostri deliranti passi.


Se vuoi saperne di più su Dettagli, segui il link Qui.
E poi Qui.
E Qui alla Sezione Vetro.


mercoledì 7 giugno 2023

Prosa / Racconto breve: Paco in dialogo con la Signora dal sorriso radioso.

 

Salutando Paco.


Irene Navarra, Paco, AI e Grafica, 7 Giugno 2023.


Paco - Senti, Signora dal sorriso radioso, devo farti una domanda. Non ti ho mai vista a casa mia. Che ci fai qui? E come sei entrata? Le mie acutissime orecchie di cane non hanno sentito aprirsi nessuna porta.
Signora - Cane, cane tontolone, ma non vedi che sono pura Luce? Non ho bisogno di aprire porte per entrare. La materia non è affare mio. Non mi interessa. Io amo la vera bellezza di voi creature della Terra. E la vera bellezza sta nascosta. Il mio compito è di farla brillare, come il sole che scintilla sui ghiaccioli pendenti dagli alberi nelle giornate di gelo.
Tu, poi, sei pieno di bellezza. È arrivato il momento, caro Paco, fra breve splenderai. Sarai un fulgore abbagliante.
Paco - Non vedo l'ora. Anche perché questo corpo mi dà parecchi problemi ultimamente. Respiro male. Il cuore è stanco. E sanguina. Vorrei che smettesse. Di sanguinare, intendo.
Signora - E se smettesse di battere? Staresti meglio, no?
Paco - Non so. Può darsi. Basta che io continui a vedere i miei cari umani. Sai, Signora bella, sono i miei Amori. Sì, Silvia, Federico e Riccardo sono i miei Amori speciali. I Custodi del mio Universo. Sono quelli che mi hanno ridato la dignità dopo anni di gabbia da riproduzione in un allevamento, e dopo la mia esperienza distruttiva in una casa dove non potevo fare niente. Nemmeno in giardino. Rodevo chiavistelli, saltavo reti e scappavo. Ma quando sono arrivato qui perché i miei padroni, ehm... schiavisti, dovevano andare in vacanza e non sapevano cosa fare di me visto che non accettavo la prigionia da innocente qual ero, quando sono arrivato qui, ho capito.
Era il mio Paradiso.
Dappertutto colava il miele più dolce: la pappa era buonissima, le carezze intense e morbide, c'erano i baci, la poltrona vicino al camino, il tappeto che s'intonava con i miei colori di splendido Golden biondo. Ovvero il tappeto Blu e Oro su cui medito ogni giorno. C'era anche una canina Bianco-Nera 
di nome Asia. Una Border Collie. Davvero unica. Sai che le facevo la pipì nella ciotola all'inizio? Volevo che fosse tutto mio. E sai la cosa più più, nessuno mi ha mai sgridato. Che meraviglia! mi sono detto. E ho iniziato a vivere davvero.
Signora - Li conosco. Anzi, te lo devo proprio dire per tranquillizzarti, li ho tenuti d'occhio prima che tu arrivassi. Così ho dato il mio placet allo spostamento. Ero certa che qui saresti stato alla grande e saresti maturato, crescendo nella scala della Luce.
Paco - La scala della Luce? Ma cos'è, Signora placet? Conosco il significato di placet, me l'ha insegnato Silvia. È latino. Se uno te lo dice, ti dà il consenso. Io qui ho ricevuto solo placet. Ho dalla mia un sacco di placet.
Signora - Vedi? Ti hanno amato. È brava gente, gente che... placet. Ah! Mi viene anche da scherzare con te. Sei proprio carino e a modo.
Paco - Adesso però, Signora dal sorriso radioso, dimmi parole che siano semplici. La mia Silvia ha tentato di spiegarmi che occorre andare nel profondo per capire quanto vali. E per espormi bene il concetto, sapendo che amavo la musica in generale e la lingua inglese in particolare (sono bislacco, eh?), mi faceva delle domande sulla base di alcuni versi di Shallow, la famosa canzone di Lady Gaga e Bradley Cooper, con il cambio nel testo di boy in dog, naturalmente. Mi precisava che non è giusto essere Shallow, cioè superficiali. Per decenza te la propongo nella versione originale:

(e qui Paco canta)
    Tell me something, boy:
    Aren’t you tired tryin’ to fill that void?
    Or do you need more?
    Ain’t it hard keeping it so hardcore

 

Dimmi qualcosa, ragazzo:

Non sei stanco di cercare di riempire quel vuoto?

O hai bisogno di più?
Non è difficile resistere così tenacemente?

E mi raccontava, poi, che non bisogna accontentarsi, che bisogna andare a fondo in tutto. E io così ho fatto con loro, ho approfondito tanto la mia relazione che ci ero tutto dentro. E non vedevo la superficie. Che avventura stupenda! Ogni giorno era migliore del precedente. Forse troppo? Non si deve mai esagerare, perché quando arriva la fine sei di sicuro troppo triste.
Signora - Ti senti molto triste, adesso?
Paco - No. In verità. Mi sento luminoso. E questo mi piace. Guarda le mie zampe: sembrano simili alle tue mani in un certo senso. Sprizzano Oro. Un'evoluzione del mio magnifico pelo?
Anche la coda pare un ventaglio di pagliuzze dorate. Che roba! Mi sto impreziosendo.
Signora - E ti pare poco? Stai approfondendo. Oggi comprenderai del tutto il messaggio della tua Silvia, Che resterà tua per sempre. Tu sarai legato con una cordicella di Luce a Silvia, Federico e Riccardo. È una cordicella che non trattiene e non strappa, ti avvisa solo con uno scampanellio dolcissimo che è il momento di correre da loro.
Paco - Questo mi rallegra. Allora, facciamoci Luce! Si sta alla grande senza corpo. Però, Signora, cancellami  un po' di ricordi. Quelli brutti. Potrebbero rovinarmi lo splendore. Quelli belli fa' che restino. Rendono la mia Luce calda calda. Piena di Grazia.

La Signora dal sorriso radioso annuì e gli grattolò la testa, spargendo porporina attorno.
Così Paco prese la via del cielo in un brillare accecante.
E, mentre approfondiva la relazione nuova, intonava versi suoi sul ritmo di Shallow. I v
ersi, in effetti, furono percepiti all'unisono dai suoi tre adorati umani. Senza, peraltro, che paresse loro strano. Alla fine si colse un abbaiare soffiato e lontanante: Sto creando meraviglie sulla musica di Shallow. Arrangio anche qualcosina.
Provate a cantarle se non ci credete.
Ma solo se la vostra voce è buona.

Avete mai visto brillare la Luce?
Ecco, così respiro io,
Paco, in corsa con il frisbee
di luccichio in luccichio.

7 Giugno 2023



Da Shallow, canzone interpretata da Lady Gaga e Bradley Cooper per il film “A Star Is Born”, presentato in anteprima mondiale fuori concorso durante la Mostra del Cinema di Venezia 2018.
“Shallow” ha vinto l’Oscar 2019 come Miglior Canzone.





martedì 6 giugno 2023

Prosa / La morte della farfalla (da "Davvero così).

 

Irene Navarra, La morte della farfalla, AI e Grafica, 5 Giugno 2023.


    Tienimi la mano, papà.
    Te la sto tenendo.
    Non ti sento.
    Non voglio farti male.
    Stringi, papà. Stringimi come da piccola. Proteggimi. E fammi volare. Mi ricordo, sai, me lo ricordo: tu allacciavi le mani a seggiolino e io mi ci sedevo. Mi appoggiavo sul tuo petto, mi aggrappavo alle tue braccia forti e tu, la mia altalena viva, mi dondolavi canterellando filastrocche o fischiettando. Stringimi, papà. Non mi fai male. Stringimi forte. Tra poco me ne andrò. E non potrai più toccarmi.


    Martina si separava a strappi dal suo corpo così diverso e fermentante. Gli occhi appannati cercavano le persone. La madre, i parenti, il padre si muovevano sulle punte. Fantasmi in transito. Per non disturbarla mentre si liberava dal dolore.
    Ci siamo, pensavano tutti.
    È il momento, pensava Martina.
    Stava bene.
    Dopo un tempo interminabile costellato da aghi, congegni, flebo, nausee, vomito e trafitture atroci nei suoi poveri polmoni. Stava bene per la prima volta in quel mese di maggio sfibrato da un sole già estivo. Non sentiva più il caldo che l’aveva tormentata incollandole i pigiami zuppi di sudore alla pelle bruciante.
    I capelli le erano caduti da una settimana.
    Quei suoi bei capelli neri.
    Li aveva persi a ciocche, e con loro era svanito anche l’interesse per sé. Riusciva a mettersi la bandana senza guardarsi allo specchio e, se non c’erano specchi in giro, poteva fingersi com’era una volta. Forse si trovava in ospedale per caso. Viaggiatrice stralunata in un mondo bianco. Cavia volontaria entrata là nella danza dei suoi diciannove spumeggianti anni, desiderosi di vacanze e di Luca. Luca dagli occhi di mare.
    Inezie ormai.
    Che si sfaldavano stemperandosi in velature brumose.
    La nebbia invadeva la stanza. E nella nebbia fluttuava il volto del padre. Il fermo volto di suo padre.
    Lasciami ora, papà. Devo andare, disse d’un tratto Martina con una voce che non era più la sua.
    E furono le ultime parole.


    Lui scrutava pallido il trascorrere della fine sui lineamenti cianotici della figlia, indugiava sulle guance gonfie, sulle forme goffe sotto il lenzuolo, sulle mani con le unghie dalle lunette blu, sui piedi come ghiaccio rosato a chiazze viola. 
    Un mese fa splendeva di briosa energia, la sua moretta dal carattere scanzonato. E solo un mese fa non c’era un’ombra nella loro esistenza.
    Il successo della carriera politica lo inorgogliva (era il governatore della regione!), il potere lo eccitava e perciò ripeteva spesso che si era fatto da sé, assaporando e riassaporando soddisfatto il gusto di quel suo uscire dai timori, dubbi, fragilità di una sbiadita giovinezza.
    Aveva preso il volo e gli piaceva, con altezzoso umorismo, definirsi una farfalla.
    Una farfalla tenace e battagliera.
    Quella scaturita dal bozzolo più misero, la meno appariscente, ma la più vitale.
    Batto tutti sulla distanza! gridava e mimava con gesti esagerati la scena che aveva in testa preparandosi a sfornare un’altra metafora in aggiunta alla favoletta della farfalla. Tutti mi staccano alla partenza, mangio la loro polvere ma non cedo. Il calcagno dell’avversario è il mio obiettivo e io corro, corro finché non lo azzanno. E non lo mollo. Poi mi concentro sugli altri ancora davanti, fiuto il loro odore e il fiato si raddoppia. Li acchiappo, li acchiappo e me li pappo, gorgheggiava alla fine del suo sketch autocelebrativo.
    Martina si divertiva un sacco ad ascoltare quel ritornello sfrontato. Una burla, secondo lei. Lo baciava sulla fronte, gli tirava il naso scuotendogli con gentilezza la testa e gli spiegava che le farfalle si nutrono di nettare, che sono i lupi mannari a divorare gli uomini, che lui allora era una farfalla-lupo mannaro. Un mostro! Amabile però! Oh, molto amabile. Il suo carissimo mostro. E lo ribaciava, con una serie di schiocchi sonori. Per fargli dimenticare le battaglie giornaliere, le notti insonni, i parassiti che lo assillavano. Gli attenuava l’incomodo delle fughe ipocrite di fronte alle legittime rimostranze, la seccatura dei compromessi diplomatici. Quanti fardelli non confessati, quante ansie da cui lei sola sapeva sollevarlo!
    Lei sola stornava i crucci. I rituali cruenti della selva giornaliera lei li dissolveva con le sue buffe coccole.
    Lei sola.
    E adesso, chi l’avrebbe consolato? si chiedeva considerando l’eventualità della morte di Martina, mai vagliata in precedenza.
    Il problema di mia figlia si risolverà! esclamava sicuro fino a qualche giorno prima. E aggiungeva: Lei guarirà e tornerà a splendere. L’ho affidata ai migliori medici sul mercato. Il professor Bini la salverà, non può sbagliare. Non si scherza con me! Si impegnerà, me lo assicurano i miei colleghi e amici. Personaggi di rilievo. Hanno telefonato…, me l’ha detto il professore…, gli stanno alle costole..., è il giusto modo…, respirargli sul collo…, sfiancarlo…, rodergli la vita serena. Quando l’acchiappo, pure lui mi pappo, berciava oliato dal grasso del potere rivolgendosi alla sua claque fidata.
    E ora il grasso colava sul letto d’ospedale in cui Martina si disfaceva. Colava malgrado gli si riformasse dentro un accenno d’angoscia. Decise di interpellare il professor Bini e di lasciarlo parlare, non crogiolandosi soltanto nella propria sicumera, sforzandosi insomma di evitare l’imposizione senza alternative come unico modo per ottenere.
    Ottenere la guarigione di Martina.
    E il professore avvertì una prostrata intelligenza nell’insolito stile di porsi e ne fu sollevato perché lo incoraggiava a ragguagliarlo sulla situazione di Martina senza doversi nascondere dietro i virtuosismi astuti che la politica esigeva da lui (ché non tagliassero i finanziamenti al reparto!). Colse, insomma, nel padre un interesse alla comunicazione scambievole. Lo colse con un residuo di imbarazzo al pensiero del proprio dissimulare passato – un po’ per pietà, un po’ per codardia, un po’ per inettitudine di fronte alla logorrea convinta del politico –. Turbato, inoltre, dalla tracotanza ancora eccessiva, aveva abbassato gli occhi sui suoi mocassini Tod’s di camoscio beige, allargato le braccia in un gesto impotente e gli aveva detto che loro, i medici, non potevano contrastare il male di Martina.
    Queste parole gli aveva detto: Non possiamo fare nient’altro. Nel corso della malattia, molte volte ho cercato di avvisarla, con le dovute precauzioni, di un probabile, infausto decorso. Lei ne è al corrente, ma non l’ha mai accettata, quest’ipotesi. Mi dispiace, mi dispiace moltissimo. Martina se l’è mangiata un batterio vorace. L’abbiamo trattata con diversi antibiotici, ma è debole, è troppo debole…, la chemio l’ha distrutta, non reagisce…, il sangue non circola…, il tempo è poco. Le stia vicino.
    Il tempo è poco! aveva urlato il padre, le vene della gola tumide. Cosa vuol dire? Lei doveva guarirla. Guarirla!!! Me l’avevano assicurato. Lei sa di chi parlo, vero?
    Il professor Bini aveva indicato con la mano destra il cielo e si era ritirato di fretta nell’ambulatorio annesso allo studio, esterrefatto dal grasso che continuava a trasudare da quell’uomo refrattario a qualsiasi logica non sua.
    Rimase dunque, il padre, in una sensazione di nudità rovinosa. A combattere contro il disagio per la malcelata riprovazione e lo svilimento indotto dal non poter più dominare.
    Si protese nell’avvenire, riaffacciandosi all’orrido da cui si era reputato salvo. Per lui, in bilico sulla lama affilata della verità, restava solo il ritorno al bruco ignobile del passato?
    La fine di Martina o la fine di tutto?
    La fine di tutto.

    Conscio dell’imminente distacco ritornò alla cameretta dove si consumava la veglia inevitabile, tra un biascicare di preghiere che lo infastidirono. L’epilogo felice, lui, l’aveva dettato, apponendovi la sua prestigiosa etichetta. Qualcun Altro invece, ben più potente, Dio o forza naturale che fosse, l’aveva esautorato per impossessarsi del principio d’autorità che presumeva inalienabile. Né ricatti, né bustarelle, né minacce, nessun ti do per avere in cambio gli avrebbero restituito Martina. Posò gli occhi su sua moglie: esangue, come rimpicciolita, pareva lì lì per dissolversi nelle pareti slavate della stanza.
    Da quanto tempo non la guardava veramente? 
    Ora era bianca di capelli.
    Bianca e distante.
    Scosso da un tremito irrefrenabile, si volse alla finestra da cui si riversava la luce. Filtrando tra le tapparelle abbassate, accendeva di lame d’oro le cose della figlia: la letteratura italiana, l’antologia di autori latini, il libro di matematica impilati sul comodino; Sei tu di Federico Moccia sopra la trousse da trucco; le Crocs blu sotto il letto, la vestaglietta rosa shocking appesa dietro la porta con la bandana a fiorellini provenzali sbucante da una tasca.
    Toccò quegli oggetti, attardandosi su ognuno di essi, e tentò di focalizzarsi sul dilemma del suo futuro nel mondo fuori da lì.
    Il nulla, senza Martina.
    O meglio: una patetica subdimensione visitata da larve passeggere.
    Una stilettata gli trapassò il petto.
    Lui, farfalla spillata viva alla teca che gli avversari avrebbero esposto come un loro trofeo, veniva privato dell’ebbrezza del volo nel dispiegarsi pieno della grazia. Seta la materia di supporto della nuova condizione, costosa la cornice, ma paglia nel costato e spaghi in stimmate di mani e piedi.
    La mente nel bitume della sofferenza di Martina.
    Gli occhi tappati dalla cera della fine di Martina.
    La gola ostruita dall’osso dell’assenza di Martina.
    Dallo strappo con lei i giorni sarebbero divenuti pause vuote e intralcio.
    Si piegò sulla figlia, tese una mano a coglierne il rantolare faticoso, se la portò alle labbra e pianse.
    Di un breve pianto scabro, a singhiozzi aspri.
    Poi, acquietatosi, le si sdraiò al fianco palpitando con le braccia nell’aria piena di morte.
    Sempre più blando.
    Finché, posate le ali sul petto di Martina, agonizzò con lei verso il mistero.

Irene Navarra


domenica 4 giugno 2023

Poesia / La terra, la visione: Mi sollevò il tramestare duro della bora.

  
Omaggio alla mia amata Terra.
(Con Emma Golden Retriever)

Irene Navarra, La Bora, le erbe della mia campagna, AI e Grafica, 4 Giugno 2023.


Mi sollevò il tramestare duro della bora
che mi guidava al perimetro sfocato
della mia campagna. Verso le argille
che fossilizzano le peste,
agli orli sgombri delle greppie,
ai massi erratici in linfe acquamarina
o sporti dalle altane falbe di sommacchi. 

(Come arruffio di spore
mi voltolai tra i sassi,
ne colsi le lamelle,
le loricai sul cuore
fibrillando ancora.)

Mentre viaggiavo, le radure glauche,
le loro tempie di ginepri,
i tigli
mi suggerivano
la fine
in dispersione di festuche
e reste vorticanti al margine.
 
(Affardellate
nell’assolo rutilante
dei fiati oltremontani.)