Ha nelle mani a coppa una manciatina di semi di prezzemolo. Li guarda, Elena, con affetto. Sono della generazione dell'anno prima. Una buona generazione che aveva dato risultati eccellenti. Tenendoli con delicatezza osserva le zucchine che sprizzano bontà solo alla vista, vestite come sono di un verde chiaro con il cappellino dei fiori arancio. Le Pallide, le chiama Elena o Le mie Predilette per la generosa dolcezza e la morbida grana.
Trasferisce i semi da una mano all'altra, stando attenta a non perderne nemmeno uno, e si volge ai pomodori già così turgidi da far presentire saporose insalate e salse e complementi ghiotti di melanzane e peperoni.
Quando entra nell'orto, avverte un piacevole senso di vertigine e arrivano le voci. Gli ortaggi e i frutti le parlano in fruscii, schiocchi secchi, sospiri, gocce di miele lasciate cadere al suo indaffarato andirivieni. I fichi lo fanno. Le regalano la loro dolcezza appena lei è in giro.
C'è dialogo tra di loro.
Elena ne sa il motivo. Tutte le piante dell'orto le aveva portate lei in una sorta di dote al Convento in cui era entrata poco più che adolescente. Erano patrimonio atavico della sua famiglia di tradizioni contadine, e lei sin dall’infanzia le trattava da congiunte carissime. A cui confidava gioie e dolori, traendo conforto dal loro appesantire bacche quando facevano piegare i racemi in segno compiacente di ascolto, oppure annuivano con le chiome. In questo era specialista il basilico: dimenava le foglie per spargere nell'aria il suo odore speziato e consentire con l'interlocutore.
Con lei, almeno.
E questo allora, e ora che ha oramai un’età davvero adulta.
Sospetta, però, che spesso non siano uniformi nel comportamento. Il basilico si mostra fiero del suo temperamento regale e, se qualcuno non gli va a genio, rende amare le foglie al momento della raccolta e rovina l'intingolo a cui viene aggiunto. Fatto risaputo, peraltro, dalle consorelle. Il pesto, in effetti, può comporlo solo lei, per ordine della Superiora, e risulta essere, a detta di tutti, un capolavoro di avvolgente, squisita, inebriante cremosità.
Che le Suore invasano e vendono.
I semi ancora nel tiepido calore dei suoi palmi irruviditi dalla terra, Elena si accinge a preparare il suolo per porli a dimora. Li depone in un cartoccio di carta da zucchero, appoggia con attenzione il cartoccio a terra e si mette a zappettare rapida, a scavare i rituali ricoveri in file ordinate e infine a sistemare i semi nelle loro stanzette di germinazione. Poi bagna la sezione d'orto appena lavorata, ammira le lattughe vicine dalle forme tanto prosperose da essere degne di un dipinto di Botero, i cetrioli che si arrampicano scomposti e belli da morire per i frutti pendenti e i fiori giallo sole.
Con gli occhi pieni di bellezza Elena si siede sulla panca di legno che è il suo trono personale. Una volta accomodata, si toglie il velo, si ravvia i capelli con le dita e offre il volto al cielo. Da lassù, Maria la Semplice le sorride.
Che meraviglia sentire il calore del Sole sulla pelle!
Oh, mio infinito e buon Signore! esclama spontaneamente con le parole di Sant'Agostino. In un ringraziamento di umiltà profonda, di riconoscimento dell'incommensurabile potenza divina.
Con la sacra formula, ripetuta in dolcissimo mormorio, comincia la parte spirituale del tempo dedicato all'orticoltura.
È il momento della Meditazione cromatica. Ogni volta la tinta o la sfumatura prescelta risultano diverse. Oggi tocca al rosso-rosa dei pomodori Cuore di bue. Ne spicca uno dalla pianta, se lo porta al viso e ne inala l’essenza pungente. Adora il profumo di quelle creature paffute con l’ombelico in evidenza. Se ne sarebbe estratta la base per una colonia, stabilisce ridendo.
E il buonumore le permette di rilassare il corpo, pulendo la mente. Appoggia, quindi, le mani l'una dentro l'altra e si fa scintilla nel vuoto, al seguito di una scia rosso-rosa e di una fragranza verde e matura assieme.
Le piante in silenzio perfetto, armonizzano accordi con Elena che sta veleggiando in una dimensione dischiusa solo alla natura incontaminata.
Lei è ormai un palloncino cui hanno tagliato il filo di ancoraggio. Si libra lieve tra fave novelle e piante aromatiche in fertili, pastosi cespugli che espandono effluvi stordenti.
Vola, vola Elena, finché la scuote brutalmente una sgradevole voce in richiamo dalle cucine della Comunità: Elena ma che cavolo fai? Ti sei persa, anima sciocca che non sei altro? Porta la verdura. È quasi ora di pranzo.
I toni sguaiati della cuoca! bisbiglia Elena, tra sé e sé mentre, faticosamente, si alza, raccoglie il cesto ricolmo di ogni ben di Dio e si affretta verso le cucine imboccando la porticina che dall'orto conduce alla zona dei servizi, e immettendosi nel passaggio cieco che è itinerario obbligato per le cucine.
Si orienta a stento nel corridoio senza luce alcuna. Con un senso d'oppressione.
In quella specie di cunicolo mal areato le succede qualcosa. Questa volta una mano invisibile le si poggia sulla gola e stringe fino a farle male.
Ali ai piedi come rimedio, è una formula magica che può andare bene.
Ma non sempre.
Oggi no.
Le cose stanno diversamente, oggi.
Il respiro viene meno.
Tanto da perdere quasi i sensi.
Si appoggia al muro e scivola a terra mentre dal cesto cadono fave e piselli, zucchine, pomodori e lattughe. Un manipolo vegetale che sembra schierarsi in formazione di difesa attorno al suo corpo. Così lei crede in un barlume di semilucidità.
Poi si lascia andare.
Con i sovrasensi, rafforzati dalla meditazione, trova una dimensione chiara che le ridona l’aria.
E ricorda l'infanzia.
Vede la casa di nascita immersa nel verde rigoglioso della campagna laziale, gli spazi immensi in cui scorazza libera, cavalcando a pelo il suo amato baio di nome Barone. Riprova l’ebbrezza delle esplorazioni scandite dagli zoccoli dell’amico lungo le sponde selvagge del fiume Liri, dove nuotare, tuffarsi e giocare con fratelli e amici era una splendida routine, fragrante come il pane appena sfornato.
Nelle narici il sentore fresco dell’acqua corrente, nei polpastrelli il contatto vitale con il suo cavallo, ricomincia adagio a respirare. Piena di quel senso sconfinato di devozione che l'aveva unita alla natura sin dalla nascita. Tutti l'avevano notato: in giardino sorrideva, al chiuso piangeva. Cani, gatti, creature alate erano compagni abituali e s'intendevano a vicenda. Il piacere dello stare insieme brillava. Lei sapeva amare con trasporto il mondo circostante; cose, animali, uomini le entravano nel cuore e vi si insediavano gioiosi.
Ricambiandola.
Anche il Signore, lo amava allo stesso modo.
Infinito. Totalizzante.
Lui era il Creatore dell'Universo intero.
Con Lui sarebbe stata felice.
Elena si riprende a poco a poco. Si trova a terra, capisce che le è successo di nuovo. Il salto temporale la sfinisce fisicamente ogni volta, ma ora sa. Ricompatta i ranghi delle verdure, le ricolloca nel cesto con cura e le porta in cucina affidandole, a malincuore, alla cuoca, torna sui suoi passi e nell'orto, dove accarezza le piante, sussurrando parole dolci.
Non ne dimentica una, delle sue protette.
Si dirige, poi, verso il muro di cinta in cui c'è un cancelletto di ferro affacciato su una stradina rustica che volge al mare.
Non lontano c'è il mare, si ripete mentre il cuore accelera i battiti e i piedi vanno veloci. Il luccicare delle onde all'orizzonte la chiama.
Risponde correndo.
E arriva.
Si toglie i sandali, si siede sulla sabbia e inizia a decidere della sua vita.
Dei semi non si fa problemi.
La seguiranno sulle ali del vento dovunque voglia andare.
Liberamente.
Il buon sangue vegetale non mente.
Questo ha ricordato alle piante in un saluto soffocato, allontanandosi dal Monastero.
1 - 2 Giugno 2023
Irene Navarra