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sabato 17 febbraio 2024

Prosa / Racconto breve: Nyxa chioma stellante.



P_Irene Navarra, Nyxa chioma stellante, AIArt e GraphicArt, 17 Febbraio 2024.

 


    Ha i capelli che stellano.  
    Ovvero, come si muove, e specialmente di notte, i suoi capelli emanano brillanti che si disperdono nell'aria blu scurissimo e popolano l'immensa volta, fissandosi in nuovi aggregati astrali.
    Eccola, l'appena nata Circe. Lei balla dentro Il Grande carro, perché è proprio tra le sue strutture che si è insediata per opera della potente Nyxa.
    Come nascono queste meraviglie?
    Prima di rispondere, devo rivolgervi una preghiera: se non avete in dotazione innata calzari con le ali da indossare all'occorrenza fantastica, astenetevi dalla lettura. Potrebbe nuocere gravemente alla vostra salute mentale.
    Per capire Nyxa non serve nessuna, pur eccellente, facoltà razionale, niente 2 + 2 eguale a 4. Qua tutt'al più con la stessa regola matematica si ottiene 5. E qualche volta anche 7.
    Chiaro?
    Adesso posso entrare nel vivo della spiegazione.
    Immaginatevi, quindi, la scena: lei scuote la sua stupenda chioma bionda aureolata attorno al volto, e dai ricci si staccano lucciole. Centinaia di lucciole che si aggregano/disgregano sfaldandosi in altre lucciole sfavillanti per prendere poi le infinite vie del cielo e là, nel cantuccio individualmente più adatto, fissare la propria casa. Le forme sono sempre diverse. L'ultima ha impreziosito Il Grande carro di una figurina che volteggia tra veli di nane bianche. 
    Uno spettacolo.
    Uno spettacolo dal nome Il Grande carro con danzatrice.
    Sì. Gli scienziati se ne facciano una ragione. Guardino il cielo, tenendo il naso all'insù per un tempo congruo, e la vedranno.
    Nyxa ne sarà felice.
    Vi chiedo adesso: come la mettiamo con Orione e la sua Cintura?
    Non lascerete che vi propinino la solita storia della sua origine, vero? Non ascolterete le invenzioni sulle stelle variabili, pulsanti, cataclismiche, a eclisse con escursioni di luminosità.., giovani e meno giovani, accompagnate da nebulose o solitarie? Non date fede ai racconti su Mintaka, Alnilam e Alnitak le tre creature che compongono proprio la Cintura del mitico cacciatore gigante trasformato in complessa costellazione. Mintaka, Alnilam e Alnitak sono un asterismo creato da Nyxa che, molti millenni fa, scosse la chioma e lo plasmò della sua Luce.
    Da allora lo guarda con molto piacere.
    Come guarda Orione.
    Ancora con amore.
    E così è risolto il motivo della genesi della tre stelle.
    E in parte possiamo capire la natura di Nyxa che è umana e non, donna e non, dea e non.
    Lei conosce il suo potere, ma non ne abusa.
    Interviene quando nulla si può d'altro.
    Presente nell'universo prima ancora che si formasse, presiede a un equilibrio tra Cielo e Terra che non ci è dato cogliere fino in fondo.
    Da quello che ho capito, spesso favorisce lo sviluppo di straordinari corpi galattici quando sulla Terra si perde qualcosa, quando la stupidità incosciente cancella oppure deturpa la natura. Insomma ciò che l'uomo distrugge, lei riforgia scuotendo i capelli fulgenti.
    Io lo so bene.
    Con lei passeggio per la volta celeste a ogni calare del Sole. Ne saluto le creature siderali e controllo che Orione possa splendere indisturbato e non si dimentichi di noi. Di Nyxa che lo ha fatto assumere in cielo per amore immenso e pregando Zeus che la esaudisse; e di me che sono Sirius, il suo adorato cane.
    Ululai per giorni alla sua scomparsa.
    Poi, per intervento di Nyxa e volontà del Sommo Dio anch'io fui asterizzato, e mi mutai in stella sulla linea a sud-est della Cintura.
    Da allora lo proteggo e accompagno Nyxa che, nel momento in cui fu trasformato, gli regalò le tre luminosissime stelle della Cintura. Esse, attirando gli occhi degli esploratori spaziali, lo fanno vivere ancora.
    E con lui anch'io, eternamente al suo fianco, posso fendere le sideree lande a falcate grandi e impetuose.
    Perché mi agito parecchio, nonostante voi non ve ne accorgiate. I nostri moti sono inesorabili ma troppo lontani per essere percepiti completamente.
    Ora sono in attesa di una foresta di stelle.
    Nyxa me l'ha promessa visto che sul pianeta Terra stanno sparendo.
    Così mi aspetto da un momento all'altro uno scintillio di fusti, rami  foglie, fiori di materia fulgida.
    Non vedo l'ora.
    Non vedo l'ora di fare una pipì di diamanti cosmici su un tronco di diamanti cosmici.
    Cos'altro potrei desiderare?
    L'ho supplicata, però, di lasciare gli umani alle loro miserie cupe. Gli animali, invece, possono salire tutti lungo la scala chiara che li porterà quassù. Solo loro.
    Lei l'ha giurato toccandomi il naso con affetto, mentre uno sbrilluccichio si liberava intorno.
    Mi fido.
    Mai ha tradito un giuramento.
    E mai lo violerà.
    Ne sono certo.
23 Agosto 2023
Sirio



mercoledì 31 gennaio 2024

Prosa / Racconto breve: Fratelli.


Riconoscersi.


P_Irene Navarra, Pippo e suo fratello Theo, AIArt e GraphicArt, 31 Gennaio 2024.



    La stessa espressione in Pippo e in Theo.
    Che somiglianza! Si nota al volo, considerò Isa che stava guardando dal portico l'andirivieni del suo Setter e aveva assistito al loro incontro casuale.
    Era stata avvertita che sarebbe avvenuto prima o dopo.
    Prima o poi Pippo sarebbe incappato in qualcuno della sua famiglia e l'avrebbe riconosciuto per l'intenso sentore di gelsomino che era loro dato genetico.

    Pippo, sin dal mattino presto, era indaffarato con certi suoi interessi di scavo programmati su quattro zampe e molto utili al paesaggio del giardino. Muso a terra, cercava tracce particolari e residui olfattivi che agli uomini non era dato avvertire.
    Theo, invece, era caduto da una nuvola, scivolando accidentalmente sul suo bordo cedevole mentre la compattava per farci una sorta di nido in cui sognare.
    Era un essere speciale della razza dei Divini. Da pronunciarsi all'inglese con un'intonazione blesa che doveva far pensare all'aristocratico distacco delle loro consuetudini.
    Theo cadde, dunque.
    Planava con eleganza e un evidente qual piacere sul giardino rigoglioso che era il regno di Pippo Magnifico Setter.
    Gli abiti bianchi veleggiavano nell'aria attorno al suo corpo snello: si gonfiavano nelle giravolte da acrobata e sgonfiavano nelle filate piatte che acceleravano l'attimo finale dell'impatto. Sul volto - affilato e bellissimo - aleggiava un sorriso compiaciuto.
    Solo all'ultimo dispiegò le candide ali  e atterrò su un cespuglio di peonie rosa pallido, felice per quell'incontro ravvicinato.
    Pippo sentì il plonf del suo arrivo e si sollevò dalla buca scavata ad arte per osservare.
    Tutto il corpo nello scavo sotterraneo e il muso bianco e nero emerso, le lunghe orecchie vibranti e spettinate, gli occhi d'ambra a rovistare la scena, il naso in allerta.
    Lo vide, infine, e una gioia immediata lo pervase.
    Era suo fratello.
    Lo capì al volo.
    I legami famigliari non si cancellano.
    Le affinità elettive ancora meno.
    L'aspetto fisico è una cosa, può ingannare, ma il cuore... Il cuore batte in ritmo sincrono con quello di chi ami.
    E lui, Pippo, aveva piena coscienza di chi era nel mondo degli umani e di chi sarebbe stato nel mondo altro.
    Nella vita ventura anche lui sarebbe diventato uno dei Divini. Gliel'aveva sussurrato il Creatore mentre lo deponeva tra le mani di Isa e Aron Altomonte il giorno della nascita.
    Cane fortunato, gli aveva detto, questa è l'ultima tappa prima del transito definitivo al cielo dove sarai un essere angelico. Sii buono e sarai premiato.
    Che soffiata! aveva pensato Pippo. Farò davvero il bravo. Lo prometto sul mio tartufo, che intuisco essere importantissimo, data la sinfonia di odori che sta fiutando, tra cui il profumo del latte di mamma.
    Questo nel primo giorno della sua esistenza, il resto è storia: Isa, Aron e Pippo formavano una famiglia molto unita. Si amavano profondamente. Un nastro rosso li teneva legati e loro stringevano i nodi perché non tolleravano il pensiero di perdersi.
    
    Pippo uscì d'un balzo dalla buca e si catapultò addosso a Theo. Immaginatevi fiumi di bava e salti e abbaiate. In stile Setter scatenato naturalmente.
    Pippo e Theo giocarono a lungo insieme mentre Isa dal portico li teneva d'occhio.   
    Conosceva Theo.
    L'aveva visto carambolare nel cielo sopra la sua casa e sapeva che un giorno o l'altro sarebbe accaduto qualcosa che l'avrebbe fatto incontrare con il suo Pippo.
    Così era successo, rifletté. Un po' intimorita perché temeva che Pippo li avrebbe lasciati per seguire Theo.
    Intanto angelo e cane si stavano allenando alla camminata più snob del secolo. Avanzavano per i vialetti sculettando (Theo), e sculettando e scodinzolando (Pippo). Sembravano due modelli leggermente alticci in passerella. Altri giochi come saltare a piè pari / zampe pari le aiole delle azalee o tuffarsi tra il muschio, gli ellebori e le felci sotto il muro di cinta, erano in continua creazione, a rischio e pericolo della salvezza globale del giardino. 
    Ma non importava, decise Isa.
    Pippo si stava divertendo e ciò le era sufficiente.
    D'improvviso Pippo la vide e volle coinvolgerla. Le corse incontro e la strattonò per la veste. Lei si mosse e si unì all'improbabile duo che allora diventò un trio davvero improbabile: un cane, un angelo e un'umana si misero a rincorrersi.
    Con gioia inenarrabile.
    In perfetta letizia.
    Il Creatore assisteva sorridendo. Quello era il futuro.
    
    Quando Theo sentì di dover ritornare alla sua dimensione azzurra sopra le nubi, ci fu un istante di incertezza. Theo accarezzò Pippo sulla testa, Pippo si rivolse a Isa, Isa pianse. Pippo la scrutò piegando un po' il muso a destra nel suo tipico vezzo interlocutorio, si girò verso Theo, abbaiò in sordina e si spostò al fianco di Isa.
    Aveva scelto.
    Il Sole espanse i raggi in segno di assenso e il Creatore si sedette soddisfatto sul suo trono di gemme a contemplare il piccolo angolo di Paradiso in terra che era il giardino di Isa.
   Si stava formando bene un altro angelo.
   Per il momento aveva la coda e lunghe orecchie nere. Poi si sarebbe divertito a renderlo il più luminoso possibile.
    E molto somigliante a Theo.
    Erano davvero fratelli.
    La discendenza era la stessa.
    Tutti bravi Setter destinati a un'evoluzione strabiliante e necessaria per l'equilibrio dell'Universo.
    I loro nobili cuori contenevano le doti di gentilezza adatte al ruolo.
    Sic fiat! sentenziò il Creatore, accingendosi a schiacciare un beato pisolino dopo la visione di tanta Armonia.


P_Irene Navarra, Fratelli, AIArt e GraphicArt, 31 Gennaio 2024.


sabato 4 novembre 2023

Prosa / Racconto breve: Fiordalisi e farfalle.

 

Tecnologia: Stable Diffusion (https://stablediffusionweb.com).
P_Irene Navarra, Fiordalisi e farfalle, AIArt e GraPhicArt, 4 Novembre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion -


    C'erano una volta i fiordalisi.
    Nel grano maturo il vento li muoveva come navicelle blu chiaro in un mare d'oro.
    Ghìsela conosceva il loro linguaggio sobrio.
    Sapeva che narravano di quando erano farfalle desiderose di provare l'ebbrezza della stabilità nell'illusione che, stando a dimora al suolo, potessero essere meno precarie.
    Avevano pregato il Re del Vento e la Regina della Terra di unirsi in nozze celestiali e farli diventare fiori.
    Vita da bulbo, sì.
    Radici fusto foglie petali, oh, sì.
    Non più larve, non più crisalidi e poi stupende ma effimere creature destinate a spegnersi nell'abbraccio solitario delle loro stesse ali.
    Vento gagliardo e Terra dolci curve si avvicinarono-discussero-decisero che si poteva fare, e si unirono.
    Nacque così il fiordaliso che sa di entrambi.
    Nella corolla un colore ineguagliabile per gamme azzurro cielo con tocchi viola. 
Quelle del vento che trascorre nubi, alberi, cespugli, fiumi e mari incanalandosi in gole profonde dove urla in modo terrificante, oppure blandendo erbe di campo, acini d'uva giallo ambra sugli scoscesi fianchi delle colline ocra.
    Nel gambo, che penetra le zolle e si armonizza di sostanza densa per farsi sonda duttile e tenace, il verde deciso della vita svettante alla luce.
    La sinfonia migliore del creato non renderebbe bene tanta leggiadria. Tanta commistione di leggerezza e forza.
    Così progredirono i fiordalisi, ondeggiando soavi con il grano, con i papaveri nel trionfo dell'estate.

    Ci fu in tempo in cui i campi blueggiavano in fitte macchie di fiordalisi mentre si spegneva l'oro del frumento. I fiordalisi avevano vita lunga e prosperosa a dispetto della lenta morte per essicazione del frumento attorno. 
    Fiorivano.
    Abbondantemente.
    Dalla stessa pianta nascevano più rampolli colorati dell'azzurro-violetto particolare, tipico della specie. Però anche loro erano destinati a restare delusi nella brama di sopravvivenza.
    I più longevi confabulavano spesso; si sfidavano a scoprire quali artifici mettere in atto per ottenere l'immortalità personalfloreale, come la definivano loro con un certo disprezzo sottile per i vicini di corolla, quelli che, certi dell'imminente morte per falce, si preparavano, nascondendo dei semi in più in qualche anfratto profondo del terreno.

    Nel campo di fine estate, con i fiordalisi ancora rigogliosi, in quel bellissimo campo, circondato da cespugli di ibisco rosa-arancio entrò Ghìsela. Scivolando lieve sulla seta dei suoi pensieri.
    Lei, in quel momento, si sentiva una farfalla.
    E non le interessava proprio di vivere la vita in attimi. Voleva provare la soavità di librarsi con ali di velo. Magari azzurre. Azzurro fiordaliso, in verità. e voleva al contempo anche vibrare al vento con petali leggeri del colore del cielo al crepuscolo.
    Ma c'è qualcosa in più a proposito di tali propensioni. C’è da dire, sissignori, che le farfalle le si posavano addosso. Le farfalle e Ghisela erano un'unica entità. Sembravano riconoscerla e capirla. Spesso, pertanto, lei passeggiava con un corteggio alato davvero delizioso.
    Strano! Pur tuttavia stupendo! commentavano i suoi famigliari e amici con un'aria incredula che era un programma esplicito delle constatazioni interne.

    Da un po' frequentava quell'isola rustica di serenità per lei. Stava sondando il linguaggio composito della natura. Ascoltava, imparava, non partecipava. La scelta sarebbe arrivata, una volta che avesse intuito e compreso le ragioni delle une, le farfalle, e degli altri, i fiordalisi. Il fatto che lei fosse umana era una quisquiliosa attitudine al giudizio di poca importanza. Ghisela erevoluta e aperta alle energie sottili. In lei aveva anche semi, crisalidi future, petali e ali. Sì. Era ibrida, pronta a diventare... che cosa? Beh, rispondeva. Ci penserà il Caso.

    E invece ci pensò il Padre Eterno.
    Percepito il flusso d'amore che da lei proveniva, decise di aiutarla perché esseri come Ghisela, così completi di tutto, erano una preziosa rarità.
    Perciò, mentre se ne stava beatamente seduta a guardare il cielo, le spighe rimaste ormai sbiadite, i pochi fiordalisi che resistevano alla calura e qualche farfallina che li suggeva, Dio le mise una mano in testa e sentenziò. 
    Lei sentiva la sua voce, forte e chiara.
    Senza meraviglia alcuna.
    Le risuonava nel cuore, e si amplificava nella mente.
    Sapeva, d'altronde, che tutto proviene dalla cellula divina che dà inizio all'Universo. Sapeva che bastava aprirsi all'ascolto per cogliere il miracolo di un'anima unita all'anima prima da cui proveniamo.
    La sua nuova vita procedeva già.
    Avrebbe potuto volare, fiorire, camminare in perfetta completezza.
    Grazie, Signore! sussurrò con le lacrime agli occhi.
    Poi agitò leggermente le sue recenti ali di velo dai colori arcobaleno e planò tra i pistilli di un grande fiordaliso che prese ad accarezzarla e a solleticarle il corpo flessuoso.
    La sensazione era inspiegabilmente profonda ed eccitante.
    Ghisela si immerse nel fiore e si lasciò amare. Amandone l'essenza nettarina.
    L'aspettava un'esistenza ricca di emozioni.
    Un'esistenza-preghiera di ringraziamento per la varietà generosamente concessa.
    Se fosse traslata in altre dimensioni durante uno dei suoi tre stati, avrebbe comunque ringraziato. Colma di gratitudine.
    Quella notte si sarebbe rifugiata in una piccola crepa del cipresso grande appena al di là del campo. Da umana l'aveva sempre sfiorata, con una sensazione, come dire..., una sensazione verde, di intelligenza totale. E là avrebbe lasciato un po' della polvere policroma delle sue ali.
    Il mondo aveva bisogno di magia.
    Da donna aveva sentito le connessioni che legavano indissolubilmente gli elementi tra di loro, da farfalla le vedeva come una rete di polline dorato.
    Chissà da fiordaliso quali prodigiosi percorsi sensoriali avrebbe captato, quanto ancora si sarebbe aperta alla conoscenza infinita dell'essere!
    Ben presto ne sarebbe stata consapevole.
    Abbandonandosi, naturalmente, a quei veri e propri Atti di Fede che avevano il potere di concretizzare i desideri.
    

lunedì 21 agosto 2023

Prosa / Racconto breve: Henrietta e il drago,


Irene Navarra, Henrietta e il Drago, AI olio su tela, 18 Agosto 2023.


    Vestita di un abito color cannella che le lasciava scoperte le spalle, i lunghi capelli tanto biondi da sembrare bianchi raccolti in una crocchia scomposta sulla nuca, la giovane Henrietta camminava spedita. Il crepuscolo settembrino aveva rinfrescato l’aria e lei voleva arrivare a casa in fretta. Sulla via del ritorno, tuttavia, l’attendeva un imprevisto. Proprio in mezzo al tratturo che si snodava tra i campi e arrivava al cancello di servizio del suo giardino, al centro preciso di una modesta curva a gomito, c'era qualcosa di strano.
    Una forma quasi di piccolo dinosauro con una cresta sul dorso, due miniali aperte sui fianchi e una lunga coda, se ne stava in una fessura del sentiero.
    Henrietta si fermò un pochino interdetta, si stropicciò gli occhi e guardò cercando una messa a fuoco migliore.
    Forse era un'allucinazione. Guardò, quindi, aspettandosi il nulla di sempre.
    E tuttavia la forma era là.
    Sussultava a tratti. Come se respirasse a fatica.
    Che fare?
    Decise di avvicinarsi.
    Avanzò piano, fermandosi a circa mezzo metro da quello che ormai si poteva definire un animale.
    Immerso in una specie di catalessi, a tratti bubbolava. Ovvero buttava fuori l'aria dalle narici in scoppiettii ripetuti.
    Sembrava un incantevole, minuscolo drago bianco. Bianco tutto il corpo, la coda, le creste della testa e del dorso. Le ali e le zampe, invece, viravano in vaniglia caldo.
    Un drago. Uscito da un libro di favole. Divenuto realtà per qualche caso astruso.
    Uno spettacolo incredibile, però.
    Nessuna paura la agitò. Anzi un'intensa ridda di emozioni le si scatenò nell'intimo. Per qualche oscura ragione riusciva a cogliere la fragilità di quella creatura singolare.
    Si inginocchiò, pertanto, accanto alla buca, posò lo zainetto a terra togliendoselo dalle spalle, lo aprì con calma e ne estrasse una sciarpa azzurro cielo di morbidissimo chiffon.
    Sarebbe stata la culla di fortuna per depositarvi il piccolo drago.
    Lui si lasciò prendere senza reagire. Aprì gli occhi, scrutò per un attimo Henrietta con pupille verdissime - due perle smeraldine velate di tristezza - e si rincantucciò tra le sue mani amorevoli, accomodandosi nella sciarpa azzurro cielo che lei rimboccò attorno al buffo muso.
    Poi si addormentò. Profondamente al punto da sembrare esanime.
    Henrietta, però, sapeva con chiarezza che lui viveva, dato che il corpicino iniziava a scaldarsi e il petto andava su e giù, con ritmo regolare.
    Che incontro! realizzò allora Henrietta.
    E corse verso casa.

    Percy intanto sognava quanto gli stava accadendo. Come in un film. A un certo punto si accorse di trovarsi in una cuccia grande e confortevole, accanto a un letto dove riposava la sua salvatrice, emettendo ogni tanto dei lievi sospiri. Di soddisfazione, pensò. Per averlo trovato. Felice dell'ipotesi, si girò sull'altro fianco e continuò a nannare.
    Non stava così bene da molto.
    Aveva vagato e vagato. Una meta c'era, di sicuro. Ma non sapeva in quale luogo.
    Finché non era arrivato alla rustica stradina di terra rossa serpeggiante tra i campi. Là avrebbe avuto inizio la sua vera avventura. In qualche modo sarebbe successo. Lo aveva capito nel suo cuore di drago buono.
    E avveniva per davvero.
    Protetto dai teneri sentimenti di Henrietta, Percy si avviava al termine prefissato per ogni essere della stirpe dei draghi bianchi. Quelli cioè che avevano compiti segreti e delicati da svolgere, e non si trasformavano mai in sputafiamme, pur se impauriti o attaccati.

    Dopo un tempo che Percy non poteva valutare (ore, giorni?), Henrietta gli sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre lui ancora planava tra nuvole e fiori, ornandosi le creste di gelsomini nel lungo dormiveglia ristoratore. Aguzzò i suoi ipersensi e udì che gli comunicava una notizia fantastica: Ti chiamerò Percy, bisbigliava accarezzandogli la punta del naso, il diminutivo di Percival. Come lui anche tu hai percorso strade infinite, lo sento. Qui c'è il tuo Graal. Quando ti sveglierai, brinderemo insieme, con latte e succo di lamponi.
    Percy sognò che lei lo battezzava solennemente con quello che era il suo nome sin dalla nascita. Gli faceva cadere alcune gocce di latte sulla testa, scandendo le parole: Tu sei Percy.
    Henrietta lo aveva intuito.
    E ciò significava una cosa sola: lei era la sua meta.
    Dopo questo pensiero, il sonno ritornò pesante e beato.
    E lui fu solo una minuscola anima fluttuante.

    Colma di gioia per l’incontro inaspettato Henrietta parlava di Percy a tutti, ma nessuno le dava credito perché nessuno lo percepiva o vedeva. Non si accorgevano della sua esistenza.
    Credevano che la ragazza fosse lievemente disturbata e non la contrastavano.
    Henrietta chiacchierava con Percy e gli raccontava il suo disagio. Lui ribatteva-spiegava-rintuzzava-assentiva-dissentiva, cercava di consolarla, rappresentandole la poca importanza del fatto che nessun famigliare o amico volesse darle fiducia e partecipare ai loro dialoghi. 
Lei se ne lamentava, mentre banchettavano a pane e miele e bevevano latte con succo di lamponi.
    Chiedeva che distorsione fosse quella.
    Percy viveva in una dimensione parallela visibile solo a lei?
    Lui rispondeva paziente e la invitava alla gentilezza e allo stare di animo sereno.
    Li aspettava un futuro ricco di vicende fascinose. Non doveva crucciarsi. Lei era Sole, Luna, Stelle. Brillava di una Luce abbagliante. Lui era nel suo destino. Questo bastava.

    Destino che, intanto si andava preparando, nonostante le saltuarie ubbie, comunque solo momentanee. Duravano i dieci secondi della preghiera recitata ritualmente in coro quando dovevano esorcizzare qualcosa di brutto, tipo ingiurie e atteggiamenti maligni.
    Per il resto Henrietta e Percy gravitavano in una dimensione perfetta.
    Lei imparava da lui il linguaggio dei draghi: una serie di gorgheggi modulati che erano la chiave per comunicare con i fiori.
    Lui acquisiva da lei le tecniche migliori per arrampicarsi sulle querce e da quelle postazioni privilegiate guardare l'orizzonte, immaginando di arrivarci in volo.
    Percy ascoltava con espressione compunta, nascondendo l'innata dote magica del teletrasporto per sé e per gli amici. Non ne abusava mai. La formazione severa, che gli era stata impartita, si basava sul principio della riservatezza. Che non aveva mai, proprio mai, travalicato.
    Ora era arrivato il momento.
    A voce ferma scandì a Henrietta l'ordine di chudere gli occhi e di contare per tre volte tre.
    Dopo avrebbe potuto riaprirli.
    Lei obbedì d'istinto e seguì le indicazioni.
    Dunque: nel preciso istante in cui le palpebre le si dischiusero, immediatamente comprese quanto era successo e atteggiò la bocca in un oh di stupore. Sedeva, con Percy allato, tra i rami del gigantesco cedro cresciuto sulla collina blu-viola che prima era stata il loro orizzonte.
    Il ritorno sulla quercia fu altrettanto veloce e prodigioso.
    Da quell'esperienza Henrietta non stressò più Percy con lagne inutili. Accettò il suo miracolo e si godette lo scorrere delle stagioni.
    L'Autunno, l'Inverno, La Primavera e l'Estate successivi al loro incontro divennero gli stupendi scenari in cui ambientare la quotidianità, balzando di esplorazione in esplorazione.

    Una notte, prima di addormentarsi nella sua cuccia (si era agli inizi di Settembre), Percy disse a Henrietta che la mattina, al risveglio, sarebbe iniziato quell'itinerario favoloso che il Tempo tesseva per loro.
    Henrietta non capì del tutto, ma si fidava.
    Biascicò e scivolò nelle visioni di ogni notte, con cani, gatti, merli... e Percy. Sapere di un domani con lui, il suo Percy bianco-vaniglia, era già un motivo valido per dormire saporitamente.

    Henrietta e Percy si alzarono all'unisono portati da uno stesso desiderio: uscire alla chetichella per scorrazzare nelle campagne selvagge attorno a casa, scendendo fino al fiume, magari. Fecero la solita colazione di pane con miele, latte con succo di lamponi e presero il viottolo che li avrebbe portati alla calma libertà di quei luoghi deliziosi, dove si erano imbattuti a vicenda.
    Saltellavano, si spingevano, cantavano motivetti d'invenzione. Percy aveva una voce da tenore bella e melodiosa. Chi mai l'avrebbe sospettato in un draghetto bianco e vaniglia! Henrietta intonava il tema di fondo e suonava un immaginario violino, la cui musica si generava magicamente.
    Ah, l'intelligenza dell'universo! Quanto era potente! Nessun software ultratecnologico sarebbe riuscito a eguagliarla. Neanche un briciolo di meraviglia in loro per la sinergia che sembrava scaturire dagli alberi, dal cielo, dal Creato tutto. Erano parte di un prodigio dalla consistenza talmente reale da non dubitarne.
    Scherzando e ridendo, quindi, arrivarono al fiume, alle sue acque turchesi, alle robinie, ai rovi, ai cespugli di vitalba e caprifoglio, ai pioppi e ai salici rigogliosi tra i cui fusti inscenarono lieti giochi innocenti.
    Armonie di una gita in piena letizia.
    Grazia pura.
    Finché non avvertirono un guaire flebile.
    Si precipitarono, Henrietta e Percy, verso il luogo da cui sembrava arrivare il richiamo e giunsero con il fiato corto a una piccola ansa riparata da degli imponenti massi disposti in semicerchio attorno all'acqua a formare un primitivo tempio naturale. E là, in un'erosione profonda della pietra di centro videro un cane riverso nel fango. Sembrava un Setter. Uno dei numerosi spesso abbandonati dai cacciatori. Lo raggiunsero e, mentre Henrietta lo esaminava per vedere se avesse qualche frattura, scoprendolo maschio, Percy le posò il muso sulla schiena e le disse: Te l'avevo preannunciato che questa sarebbe stata una giornata speciale. Ecco, lui sarà il tuo compagno per molti anni e io vi scorterò con il cuore. Ho svolto il mio compito. Entro breve non mi vedrai più. Ma non per questo non sarò accanto a voi. Sono un'infinitesima parte dell'anima che fa vivere l'universo. Io sono voi e voi siete me. Addio, amica cara. Adesso posso tornare in pace al mondo mio d'origine.
    E sparì.
    Con le guance inondate di lacrime e una sofferenza atroce che la lacerava, Henrietta raccolse l'infelice vittima della crudeltà umana e filò rapida verso casa. Percy era al suo fianco, lo sapeva, e la confortava la convinzione che non fosse scomparso completamente.
    La sua dolcezza restava e la aiutava a concentrarsi sul necessario da compiere.
    Quando arrivò nella cucina, rifocillò il cane con del latte e del pane spalmato di miele, poi lo ripulì alla bell'e meglio e lo depose nella cuccia che era stata di Percy. Solo allora lui, il suo strappato a una morte certa, le volse lo sguardo.
    Aveva occhi tondi e verdissimi.
    Due perle smeraldine velate di tristezza.
    Tondi e verdissimi.
    Henrietta gli appoggiò una mano sulla pancia e continuò a piangere.
    Ma non di dolore.
    Di gratitudine.

20 Agosto 2023
Irene Navarra


sabato 12 agosto 2023

Prosa e Poesia / 145474: Vita della mia vita. Racconto di Irene Navarra.

  

Questo Racconto breve è nato da una suggestione musicale.
L'amica Michela Cuschie, pianista e interprete eccellente, mi ha fatto ascoltare "Sapere di esistere"
di Licio Venizio Bregant, un compositore locale di grande sensibilità.
L'emozione è stata travolgente.
La necessità di esprimerla in parole e immagini, immediata.


Irene Navarra, Le rose rosa, AI Olio su tela, 12 Agosto 2023.


Piccolo Poema in prosa alla maniera di Charles Baudelaire.

    Vita mi viene incontro.
    A passo di danza lenta.
    Ha tra le braccia un fascio di rose rosa tenue.
    Non me le porge.

    Spero lo faccia, ma no.
    Se le porta al seno, come per proteggerle, e si ferma, discosta alquanto, guardandomi indecisa.
    Vita è indecisa su di me.
    Deve capire.
    Mi merito la luce delle rose?
    E le coreografie perfette del suo venirmi incontro?
    Non so se cedere all'impulso di correre a trattenerla, oppure ritirarmi come ho sempre fatto.
    Là però ci sono le rose.
    Di quel rosa cenere sfumato del mio rosaio antico nel giardino ormai quasi selvaggio.
    Sul fusto c'è la V di Vida, mia madre, "accuditora" di piante ed esistenze.
    La V di Vida.
    Vita della mia vita.
    Una stupenda V che aleggia tra i rami intricati, tocca le foglie, i fiori e poi dilegua in pulviscolo leggero.
    Vita della mia vita.
    Nel solco accanto al tuo sta la mia lettera iniziale in una crepa che non è più abisso da quando ho visto Vita danzarmi incontro.
    Così mi volgo a Lei, accenno un movimento un po' sbilenco, poi spicco un salto astrale e sono a respirare tenui sentori di rose rosa cenere.
    Le sfioro, le accarezzo, me le trovo in mano, le spine confitte nella carne, il sangue che scorre tumultuoso su di loro, in me.
    Le rose strette al petto, guardo il cielo e dico piano:
    "Sono qui".


lunedì 24 luglio 2023

Prosa / Racconto breve: Urania, la ladra di cielo.

 


Irene Navarra, La ladra di cielo, AI matite colorate su carta ruvida, 24 Luglio 2023.


    Scherzi lungo la strada che da casa ti porta a San Mauro, e giù lungo l'impervia discesa fino all'Isonzo.
    Fingi di strappare con le dita un po' di cielo. 
E ti picchietti la faccia, avvertendo un immediato pizzicore. Poi ti pennelli con i polpastrelli come se ti truccassi, per fissare i colori attinti in alto. Incontaminati perché sopra il mondo.
    Questa la sensazione.
    Ora che ti sei toccata con dita di cielo, non sei più la stessa.
    Stai mutando.
    Di sicuro tu non sei più la tu di prima.
    Cammini senza poggiare i piedi a terra, ondivaga come una foglia portata dal vento. Voli danzando verso il fiume verde-turchese di linfa sulle cui rive sei cresciuta selvaggiamente unica.
    È lo specchio della tua anima.
    In lui ti ritrovi sempre.
    Arrivi al fiume, scivoli tra ciottoli tondi e muscosi, distendendoti poi sulla grossa ghiaia - quasi morbida, come dici sempre - che lo contiene, ti affacci dalla sponda e ti rifletti nella corrente limpida.
    Non serve che ti guardi.
    Se ti guardi, temi di perdere l'anima.
    Non vuoi che se ne vada, disciolta in rivoli e spume trasparenti.
    I tuoi contorni intimi li conosci bene.
    Così vedi l'immagine di te a occhi chiusi, in tremolio lieve di fluidi cangianti, mentre la natura attorno esulta, sfolgorando complice.
    Come a sorridere della tua purissima ingenuità.

    È l'acqua che ti viene incontro.
    Ti accarezza piano salendo dal suo letto.
    Tu la raccogli con le mani e la porti alle labbra.
    Le palpebre sono serrate, la bocca dischiusa.
    Il bacio è dolce.
    L'assapori con intenso piacere, poi la lasci filtrare tra le dita e, finalmente, guardi il cielo.
    Come in un rito sacro. 
    Lassù, negli angoli estremi della tua visione, ci sono segni.
    Cancellature.
    Graffi.
    Smagliature del tessuto astrale.
    Lo sai: sei stata tu.
    Ma dove sono andati a finire i pezzi di cielo mancanti?
    D'istinto porti le mani alle guance, al naso, esiti sospesa, scorri tutto il viso, e capisci.
    Là, dove ti sfiori, la pelle è fresca come se fosse azzurra dell'ora azzurra prima della notte.
    Sei riuscita a strappare con le dita un po' di volta celeste, dunque, mentre giocavi a grattarne la stupenda tinta con le unghie. Perle traslucide che raccolgono sfumature.
    Ecco. Ti sei fatta di cielo.
    Con il cuore reso nuvola leggera ti volgi alla strada del ritorno.
    Tu, ladra di cielo.


domenica 16 luglio 2023

Prosa / Racconto breve: Di verde mi in-vesto.

 
Vi accompagno nel mio mondo di trasformazioni.
Buon viaggio.

Irene Navarra, Di verde mi in-vesto, AI e Grafica, 15  Luglio 2023.
    


    Mi guardo le mani.
    Sono strane.
    Sembrano sfarinarsi in polverina luminosa
    Ne ho minimamente paura.
    Cerco di nasconderle, mettendole conserte.
    Mi sta succedendo qualcosa.
    Qualcosa di bello.
    Sento un fluido potente che mi scorre nelle vene.
    E mi amplifica i sensi.
    Sorprendo suoni mai sentiti: fruscii come sospiri di velluto, schiocchi come frustate, vibrazioni che iniziano lontano in boschi vergini, e diventano parole, e vengono sin qui, in questo luogo sacro dove varcherò ogni soglia umana per farmi sostanza sinuosa.
    Ogni forma in me cambia a poco a poco.
    La pelle, adesso, si copre di un pigmento argenteo.
    Salvia selvatica e menta piperita assieme.
    Foglia di vite e fiore di sambuco legati in simbiosi unica.
    Interazioni straordinarie creano creature singolari, rimescolandole in modelli di nuova generazione.
    Così i miei contorni mutano tra chiaroscuri di sottobosco boreale.

    Non so se sono quercia o muschio o felce.
    Non so se sarò spora che naviga nell'aria e poi si quieta nella culla della terra.
    Oppure seme che precipita dal frutto o dal baccello secco, e si propaga.
    Comprendo piano piano una natura in dialogo attraverso correnti sotterranee consolidate in reti di gamme verdi e perlacee consistenze.
    Le vene vegetali proteggono.
    E se le lasci fare, trasmigrano in noi, aprendoci la mente.
    La metamorfosi induce adattamento emozionale.
    Allora il me di recente acquisizione riscopre i ritmi universali.
    Mentre il presente si fa di "sovrumani silenzi e profondissima quiete", mentre il vento mi stormisce in carezze mute.
    Sono libera.
    Immensamente libera.
    E danzo.
    Al suono di una musica sottile che non è mia. 
    È del Tutto. 

Nel giorno della Metamorfosi, addì 16 Luglio 2023.
Irene Navarra


martedì 4 luglio 2023

Prosa / 145474: Storie d'ortica (L'incontro). Racconto di Irene Navarra.

 


Irene Navarra, L'incontro, AI e Grafica, 4 Luglio 2023.

 

    Lei camminava davanti a me quasi danzando.
    Si volse all'improvviso.
    Come a un richiamo.
    D'ortica furono gli occhi suoi dentro il mio sguardo.
    Bruciava la ferita mentre nasceva impavido il fiore del nostro incontro.
    A Miramare, dove Massimiliano passeggiava con Carlotta, sotto una pergola di gelsomini e rose fui abbagliato dal suo essere ortica.
    Così mi dissi, mentre la osservavo nel verde sontuoso di quel parco.
    Le mani avevano un flettere discreto come di foglie al vento.
    E gli occhi erano lilla.
    Iridi d'ametista nel nido della ciglia punteggiate d'oro.
    Un attimo durò l'esame distaccato.
    Poi si girò e riprese la sua strada d'erbe nobili e trepide corolle.
    Io la seguii.
    Riccioli bruni cadevano sul collo.
    La pelle aveva un velo di rugiada, piccole perle argento alla luce del mattino.
    Era un'ortica affascinante.
    Muoveva i fianchi come una cavalla smaniosa di correre nel vento.
    Quel suo scalpitare m'incantò.
    La superai a passi lunghi 
per vedere meglio il viso appena appena colto nel lampeggiare d'occhi, al suo voltarsi e scrutarmi facendosi d'ortica.
    La superai e la guardai.

    E fu la dannazione, per me senza difese.
    Di selvaggi campi fervide di menta e timo, di prati con aiole un po' altezzose, di lei che li invadeva col rapido attecchire, l'espandersi avvitando cespi inermi, di tutto questo ebbi una visione.
    E la adorai.
    Oh, se mi piacque.
    Così tornai indietro.
    E la raggiunsi, fermandomi davanti a lei.
    D'ortica e fiele furono le pupille sue dentro il mio sguardo.
    Ma mi fissò.
    E non distolse gli occhi.
    L'eternità, allora lo imparai, ha sfumature viola.
    Severità e morbidezza assieme: storie d'ortica e del suo regno.
    A poco a poco sciolse l'ametista dura.
    E mi sorrise.

Irene Navarra
 Luglio 2023

 

venerdì 30 giugno 2023

Prosa / Gertrud e il Tempo.

 

Irene Navarra, Il ventitreesimo orologio, AI e Grafica, 30 Giugno 2023.



    Ci provava Gertrud.
    Da molto.
    Voleva fermare il Tempo.
    Se Lui avesse smesso di correre, anche lei avrebbe smesso di crescere.

    Gertrud era una ragazzina soddisfatta di essere tale.
    Vedeva tutti i limiti opposti agli adulti, i carichi, le responsabilità che li privavano del vero senso della vita: la fantasia.
    Pertanto aveva deciso di non fiorire in nulla.
    Rifiutava l’idea di diventare una giovane prosperosa, obbligata a curarsi, truccarsi, fidanzarsi.
    Da maschiaccio qual era, vestita con calzoni in pelle, camicette, maglioni spesso sdruciti e sandali bassi o scarponcini a seconda della stagione, si sentiva a suo agio.
    Fermare il Tempo? Cosa ridicola, dicevano i suoi genitori, i parenti, gli amici d'infanzia affezionati.
    Lei ribadiva che ci sarebbe riuscita. La fede e la perseveranza possono i miracoli, aggiungeva un po’ piccata.
    Ci credeva, dunque.
    E tentava.
    Con ogni mezzo.
    Anche con la Mindfulness.
    Il suo guru spirituale, Ananda Gothama, indiano trapiantato 
sin dall'infanzia in Svezia - a Göteborg, la loro città - , la esortava a perseguire il suo obiettivo.
    Tutto si può, diceva ispirato. In questo mondo le cose tra la Terra e il Cielo sono di gran lunga più numerose di quanto immaginiamo, le comunicava con voce suadente.
    E così lei si applicava ostinata.
    A tale scopo aveva raccolto tanti orologi da tenere sott'occhio.
    Nessuno, però, le fu d'aiuto perché tutti dichiaravano la stessa ora.
    Quindi pensò a un escamotage: ne pose uno come orologio primo (il Dux degli orologi: quello del Tempo reale) e aggiustò gli altri, rigorosamente identici nella marca e nel formato al capostipite, spostando le lancette di secondi, minuti, mezze ore, ore, avanti o indietro.
Poi li rimescolò in modo da non sapere i dati effettivi: quelli del Tempo lineare, ovvero dei momenti che si susseguono come siamo abituati a contarli. Anche il Dux ne fece le spese.
    Combinò una gran confusione, si potrebbe dire.
    I canoni tradizionali di lettura temporale erano stati sovvertiti.
    Sì.
    Ma Gertrud ci stava bene in quel suo Tempo-NonTempo. Con gli amati autori tra cui Seneca di cui apprezzava particolarmente il De brevitate vitae, scovato nella fornitissima biblioteca del padre.
    Si sentiva davvero sapiente come il prototipo filosofico di Lucio Anneo.
    Aveva cristallizzato il Tempo in una dimensione dove tutti i ticchettii, discordanti o meno, si annullavano a vicenda, generando il silenzio del non ascolto nel raccoglimento dell'attimo non più fuggente perché dilatato, fisso in un presente magnifico e, di conseguenza, senza Tempo.
    Bene.
    Un passo avanti.
    Tuttavia il Caso ci mise il suo becco adunco e anche gli artigli, in quella sospensione astratta.
    Volle il Caso che Fiona, la madre di Gertrud, trovasse gli orologi di sua figlia e li regolasse.
    Volle anche il Caso che tutti, circa 22, meno uno - il ventitreesimo per l'appunto - avessero totalmente esaurito la loro carica e fossero andati in tilt all'unisono tra le dita improvvide di Fiona.
    Volle il Caso che il ventitreesimo, invece, continuasse a lavorare alacremente su ore, minuti e secondi. Lineari, naturalmente.
    Forse era il Dux, forse no. Poco importava.
    Gertrud si trovò spiazzata.
    C'era al momento un solo Tempo che, imperterrito, batteva il suo infernale ritmo rapido dal contenitore inerme.
    Uno solo.
    Che fare?

    Gertrud salì nel suo Pensatoio aereo inerpicandosi sulla scaletta d'accesso.
    Il Pensatoio era una sorta di comodo nido da Martin Pescatore, di vimini intrecciati con un morbido cuscino in piume all'interno. Saldamente appeso al soffitto, pendente circa a metà della stanza e ancorato al pavimento con dei tiranti d'acciaio, rappresentava per lei il cosiddetto Mondo al Mezzo in cui tutti i canoni normali potevano essere ribaltati.
    Vi si chiuse, dunque, e si mise a speculare.
    Procedura Mindfulness avviata nella posizione del loto, respiro rallentato, mani abbandonate in grembo l'una sull'altra, prese coscienza del problema fissandoci l'attenzione con l'uncino tenace del suo obiettivo.
    Allora, solo allora, volò, Gertrud, come faceva sempre, verso regioni astrali che l'avrebbero aiutata, senza che lei giudicasse alcunché le si fosse presentato. 
    Sperimentò la pienezza del vivere al presente.
    E seppe, come un'illuminazione intima, che la sua scelta era giusta ma contro natura.
    Il ticchettare fastidioso in sottofondo si amplificò ossessivo, quasi a sfidarla. riportandola a quel Tempo che lei non desiderava.
    Nemmeno la Mindfulness sembrava dalla sua parte.
    Ananda Gothama fu costretto ad ammettere che la sua brama di non crescita, probabilmente, era autodistruttiva. Le annunciò persino il pericolo di convinzioni lesive del sé e la esortò a lasciarsi andare tra le braccia di Maya, che una saggezza millenaria intrinseca ce l'aveva di certo.
    Gertrud ascoltò tacita.
    E capì il suo errore.
    Non è che si cancella il Tempo, confondendone le convenzioni.
    Sta in noi la chiave per addomesticarlo, non potendolo annullare.
    Il pensiero costante lo alimenta, perché Lui si nutre di noi.
    Ci divora.
    E noi non dobbiamo permetterlo.
    La strada è lasciare segni del nostro passaggio. Testimonianze tali da sgomentarlo.
    Gertrud decise.
    Avrebbe riempito il mondo con la musica del suo violino, strumento che studiava con profitto e successo sin da piccolissima.
    Avrebbe suonato per il mare, per gli alberi, per i fiori, per le strade, persino per gli edifici, per chi la volesse ascoltare. Li avrebbe incantati, facendo perdere la nozione del Tempo.
    Il Creato avrebbe gioito di tanta Grazia.    
    E gli uomini pure.
    Nella Bellezza innocente si sarebbero spuntate le fauci aguzze del Tempo.

Irene Navarra


mercoledì 28 giugno 2023

Prosa / 145474: Nuvole. Racconto di Silvia Valenti.

 

Irene Navarra, Guardando le nuvole, AI e Grafica, 28 Giugno 2023


     Se vuoi vedere le valli, sali in vetta ad una montagna; se vuoi vedere la vetta di una montagna, sali su una nuvola; se invece aspiri a comprendere la nuvola, chiudi gli occhi e pensa. (Kahlil Gibran)
    Avere la testa tra le nuvole e non capire di che materia preziosa esse siano fatte.
    Certo, bisogna chiudere gli occhi, ma si perde l’equilibrio. E senza equilibrio si barcolla e si sbatte la testa ovunque come chi ha appena perso la vista e deve abituarsi, potenziare gli altri sensi.
    Eppure, una volta caduti, inermi di fronte alla vita che ci strappa in brandelli, è catartico riaprire questi occhi (ciechi), guardare su e osservare il carosello impalpabile che si srotola e si annoda, bianco e soffice, delicatamente cangiante o scuro e minaccioso, quasi puntuto.
    Alla fine chi siamo noi di fronte alla grandezza delle NUVOLE?
    Infinitesimi granelli di polvere che si protendono mulinellando verso l’ineffabile.
    Bambini vecchi e vecchi bambini che immaginano creature mutaforme.
    Cercatori di tesori (dell’anima).
    Eterni sognatori.
    Et
erni disillusi.

Per leggere gli altri scritti di Silvia Valenti, si seguano i seguenti link:

martedì 27 giugno 2023

Prosa / 145474: Nubi e fiori di Magnolia. Racconto di Irene Navarra.

 

Irene Navarra, Matilda e Maya, AI e Grafica, 27 Giugno 2023.


    Matilda era scomparsa.
    I genitori se ne accorsero verso l'ora di pranzo, quando alla chiamata usuale non rispose.
    Andando dopo un po' a controllare, videro che non occupava la solita postazione sul ramo più basso dell'imponente Magnolia di nome Maya, dominatrice assoluta del loro giardino.
    In genere se ne stava lì, seduta o sdraiata in una curva dolce dell'amico ramo, e meditava contemplando il cielo.
    E ciò, in particolare durante l'Estate, quando la pianta si copriva di infinite corolle, splendenti tra le foglie di un lucido verde da un lato e marrone velluto chiaro dall'altro.
    Le nubi erano i suoi soggetti preferiti di osservazione profonda. Le scrutava, attraverso il filtro degli enormi, profumatissimi fiori di Maya, e naufragava in uno stato di leggerezza ineguagliabile.
    L'arte della meditazione, gliel'aveva insegnata una delle suore che erano state sue insegnanti: Nun Maria Pia. Nun perché insieme parlavano in inglese. G
razie a lei, sin da  bimba aveva coltivato le due discipline con applicazione straordinaria.
    Meditare e Contemplare erano per Matilda fatti esistenziali.
    Da sola, poi, si era appassionata alla meditazione cromatica. Le riusciva bene. Le sedute avvenivano in modo spontaneo con una graduale immersione nel colore, e il bianco delle Magnolie stagliato contro l'azzurro del cielo e le tinte cangianti delle nuvole, le era davvero congeniale. Lei diceva che dipendeva dai cromosomi ereditati dalla nonna, che era una riconosciuta Sciamana, amata e venerata in paese come una Santa per la sua capacità di guaritrice.
    Genetica pertanto, la sua propensione. Una dote di famiglia.
    Nei bianchi petali a formare corolle dal cuore appena crema-rosato, o sfumate di viola in alcuni giorni privi di Sole, ci si infilava, Matilda, con il suo pensiero sottile e partiva per magnifici viaggi di benessere spirituale.
    Il sorriso di Nun Maria Pia la seguiva sempre, bonario e attento.
    Avventure, le sue, che le davano purezza e serenità.

    Il giorno della scomparsa l'avevano vista in molti. Tutto sembrava normale. Della normalità di Matilda, naturalmente. Ma ci erano abituati. Guardavano e passavano oltre con un senso di incanto ineguagliabile. Nella posizione del loto, le mani abbandonate in grembo, ispirava tenerezza.
    Ormai Matilda in meditazione era un elemento essenziale di quel mondo perfetto.
    Sapevano che aveva altri luoghi propizi in cui rifugiarsi.
    Non si preoccuparono di non vederla sul solito sedile arboreo.
    Se non era sul suo ramo preferito, potevano trovarla nel fosso delle rane, o sotto gli ulivi a chiacchierare con le cicale.
    Cose così. Cose da Matilda.
    Quel giorno però, la ragazzina sembrava proprio sparita. Strano parve che i due Golden, Emma e Pablo, che lei adorava e la seguivano sempre, fossero tranquillamente accucciati all'ombra della Magnolia.
    Nannavano sereni.

    Incominciò a serpeggiare la preoccupazione.
    La madre radunò i lavoranti della loro Azienda agricola e li organizzò in squadre di ricerca, il padre si mise a correre a cavallo le campagne seguendo eventuali tracce del suo passaggio.
    Nulla.
    Nulla.
    Nulla.
    Una patina opaca si diffuse sul paesaggio.
    Pareva che il Sole se ne stesse andando, soffocato dall'ansia cupa che esalava dai cuori stretti in una morsa.

    Quando Rosa, la sua tata, alzò gli occhi al cielo, la paura che l'attanagliava svanì.
    Rosa aveva rivolto lo sguardo al cielo per implorare l'aiuto della Vergine.
    Allora aveva visto uno spettacolo incredibile: le nubi si erano condensate in petali bianchi dalla sfumatura rosata e avevano formato una sorta di chioma d'albero in cielo.
    Là dormiva Matilda.
    Bellissima.
    Sorridente nel sonno.

    Decisero così di lasciarla riposare, senza disturbarla.
    In fondo era proprio grazie a lei che quel luogo continuava a essere benedetto da Dio e in pace.
    Le sussurrarono Sogni belli, Matilda, e si accinsero a ritornare felici alle quotidiane faccende.
    Erano sicuri che le nuvole avrebbero formato una scala per farla scendere.
    La Terra poteva aspettarla con pazienza.
    E tutti loro anche.
    I genitori strinsero mani, regalarono focacce dolci e bottiglie di vino rosato e, abbracciati, ritornarono a casa.
    I due golden rimasero quieti all'ombra di Maya.
    Sapevano che, proprio sotto il suo ramo più basso, Matilda avrebbe ritoccato il suolo.

Irene Navarra

 
Irene Navarra, Tra i fiori di Maya, AI e Grafica, 27 Giugno 2023.