![]() |
Irene Navarra, Di verde mi in-vesto, AI e Grafica, 15 Luglio 2023. |
mercoledì 19 febbraio 2025
Prosa / Racconto breve: Di verde mi in-vesto.
sabato 17 febbraio 2024
Prosa / Racconto breve: Nyxa chioma stellante.
![]() |
P_Irene Navarra, Nyxa chioma stellante, AIArt e GraphicArt, 17 Febbraio 2024. |
Ovvero, come si muove, e specialmente di notte, i suoi capelli emanano brillanti che si disperdono nell'aria blu scurissimo e popolano l'immensa volta, fissandosi in nuovi aggregati astrali.
Eccola, l'appena nata Circe. Lei balla dentro Il Grande carro, perché è proprio tra le sue strutture che si è insediata per opera della potente Nyxa.
Come nascono queste meraviglie?
Immaginatevi, quindi, la scena: lei scuote la sua stupenda chioma bionda aureolata attorno al volto, e dai ricci si staccano lucciole. Centinaia di lucciole che si aggregano/disgregano sfaldandosi in altre lucciole sfavillanti per prendere poi le infinite vie del cielo e là, nel cantuccio individualmente più adatto, fissare la propria casa. Le forme sono sempre diverse. L'ultima ha impreziosito Il Grande carro di una figurina che volteggia tra veli di nane bianche.
Uno spettacolo.
Uno spettacolo dal nome Il Grande carro con danzatrice.
Sì. Gli scienziati se ne facciano una ragione. Guardino il cielo, tenendo il naso all'insù per un tempo congruo, e la vedranno.
Nyxa ne sarà felice.
Da allora lo guarda con molto piacere.
Come guarda Orione.
Ancora con amore.
E così è risolto il motivo della genesi della tre stelle.
E in parte possiamo capire la natura di Nyxa che è umana e non, donna e non, dea e non.
Interviene quando nulla si può d'altro.
Presente nell'universo prima ancora che si formasse, presiede a un equilibrio tra Cielo e Terra che non ci è dato cogliere fino in fondo.
Io lo so bene.
Ululai per giorni alla sua scomparsa.
Poi, per intervento di Nyxa e volontà del Sommo Dio anch'io fui asterizzato, e mi mutai in stella sulla linea a sud-est della Cintura.
Da allora lo proteggo e accompagno Nyxa che, nel momento in cui fu trasformato, gli regalò le tre luminosissime stelle della Cintura. Esse, attirando gli occhi degli esploratori spaziali, lo fanno vivere ancora.
E con lui anch'io, eternamente al suo fianco, posso fendere le sideree lande a falcate grandi e impetuose.
mercoledì 31 gennaio 2024
Prosa / Racconto breve: Fratelli.
Pippo uscì d'un balzo dalla buca e si catapultò addosso a Theo. Immaginatevi fiumi di bava e salti e abbaiate. In stile Setter scatenato naturalmente.
sabato 4 novembre 2023
Prosa / Racconto breve: Fiordalisi e farfalle.
![]() |
P_Irene Navarra, Fiordalisi e farfalle, AIArt e GraPhicArt, 4 Novembre 2023. - Tecnologia: Stable Diffusion - |
Ghìsela conosceva il loro linguaggio sobrio.
Sapeva che narravano di quando erano farfalle desiderose di provare l'ebbrezza della stabilità nell'illusione che, stando a dimora al suolo, potessero essere meno precarie.
Vita da bulbo, sì.
Radici fusto foglie petali, oh, sì.
Non più larve, non più crisalidi e poi stupende ma effimere creature destinate a spegnersi nell'abbraccio solitario delle loro stesse ali.
Vento gagliardo e Terra dolci curve si avvicinarono-discussero-decisero che si poteva fare, e si unirono.
Nacque così il fiordaliso che sa di entrambi.
Nella corolla un colore ineguagliabile per gamme azzurro cielo con tocchi viola. Quelle del vento che trascorre nubi, alberi, cespugli, fiumi e mari incanalandosi in gole profonde dove urla in modo terrificante, oppure blandendo erbe di campo, acini d'uva giallo ambra sugli scoscesi fianchi delle colline ocra.
La sinfonia migliore del creato non renderebbe bene tanta leggiadria. Tanta commistione di leggerezza e forza.
Così progredirono i fiordalisi, ondeggiando soavi con il grano, con i papaveri nel trionfo dell'estate.
lunedì 21 agosto 2023
Prosa / Racconto breve: Henrietta e il drago,
![]() |
Irene Navarra, Henrietta e il Drago, AI olio su tela, 18 Agosto 2023. |
Una forma quasi di piccolo dinosauro con una cresta sul dorso, due miniali aperte sui fianchi e una lunga coda, se ne stava in una fessura del sentiero.
Henrietta si fermò un pochino interdetta, si stropicciò gli occhi e guardò cercando una messa a fuoco migliore.
Forse era un'allucinazione. Guardò, quindi, aspettandosi il nulla di sempre.
E tuttavia la forma era là.
Sussultava a tratti. Come se respirasse a fatica.
Che fare?
Decise di avvicinarsi.
Avanzò piano, fermandosi a circa mezzo metro da quello che ormai si poteva definire un animale.
Immerso in una specie di catalessi, a tratti bubbolava. Ovvero buttava fuori l'aria dalle narici in scoppiettii ripetuti.
Sembrava un incantevole, minuscolo drago bianco. Bianco tutto il corpo, la coda, le creste della testa e del dorso. Le ali e le zampe, invece, viravano in vaniglia caldo.
Un drago. Uscito da un libro di favole. Divenuto realtà per qualche caso astruso.
Uno spettacolo incredibile, però.
Nessuna paura la agitò. Anzi un'intensa ridda di emozioni le si scatenò nell'intimo. Per qualche oscura ragione riusciva a cogliere la fragilità di quella creatura singolare.
Si inginocchiò, pertanto, accanto alla buca, posò lo zainetto a terra togliendoselo dalle spalle, lo aprì con calma e ne estrasse una sciarpa azzurro cielo di morbidissimo chiffon.
Lui si lasciò prendere senza reagire. Aprì gli occhi, scrutò per un attimo Henrietta con pupille verdissime - due perle smeraldine velate di tristezza - e si rincantucciò tra le sue mani amorevoli, accomodandosi nella sciarpa azzurro cielo che lei rimboccò attorno al buffo muso.
Poi si addormentò. Profondamente al punto da sembrare esanime.
Henrietta, però, sapeva con chiarezza che lui viveva, dato che il corpicino iniziava a scaldarsi e il petto andava su e giù, con ritmo regolare.
Che incontro! realizzò allora Henrietta.
E corse verso casa.
Percy intanto sognava quanto gli stava accadendo. Come in un film. A un certo punto si accorse di trovarsi in una cuccia grande e confortevole, accanto a un letto dove riposava la sua salvatrice, emettendo ogni tanto dei lievi sospiri. Di soddisfazione, pensò. Per averlo trovato. Felice dell'ipotesi, si girò sull'altro fianco e continuò a nannare.
Non stava così bene da molto.
Aveva vagato e vagato. Una meta c'era, di sicuro. Ma non sapeva in quale luogo.
Finché non era arrivato alla rustica stradina di terra rossa serpeggiante tra i campi. Là avrebbe avuto inizio la sua vera avventura. In qualche modo sarebbe successo. Lo aveva capito nel suo cuore di drago buono.
E avveniva per davvero.
Protetto dai teneri sentimenti di Henrietta, Percy si avviava al termine prefissato per ogni essere della stirpe dei draghi bianchi. Quelli cioè che avevano compiti segreti e delicati da svolgere, e non si trasformavano mai in sputafiamme, pur se impauriti o attaccati.
Dopo un tempo che Percy non poteva valutare (ore, giorni?), Henrietta gli sussurrò qualcosa all'orecchio, mentre lui ancora planava tra nuvole e fiori, ornandosi le creste di gelsomini nel lungo dormiveglia ristoratore. Aguzzò i suoi ipersensi e udì che gli comunicava una notizia fantastica: Ti chiamerò Percy, bisbigliava accarezzandogli la punta del naso, il diminutivo di Percival. Come lui anche tu hai percorso strade infinite, lo sento. Qui c'è il tuo Graal. Quando ti sveglierai, brinderemo insieme, con latte e succo di lamponi.
Percy sognò che lei lo battezzava solennemente con quello che era il suo nome sin dalla nascita. Gli faceva cadere alcune gocce di latte sulla testa, scandendo le parole: Tu sei Percy.
Henrietta lo aveva intuito.
E ciò significava una cosa sola: lei era la sua meta.
Dopo questo pensiero, il sonno ritornò pesante e beato.
E lui fu solo una minuscola anima fluttuante.
Colma di gioia per l’incontro inaspettato Henrietta parlava di Percy a tutti, ma nessuno le dava credito perché nessuno lo percepiva o vedeva. Non si accorgevano della sua esistenza.
Credevano che la ragazza fosse lievemente disturbata e non la contrastavano.
Henrietta chiacchierava con Percy e gli raccontava il suo disagio. Lui ribatteva-spiegava-rintuzzava-assentiva-dissentiva, cercava di consolarla, rappresentandole la poca importanza del fatto che nessun famigliare o amico volesse darle fiducia e partecipare ai loro dialoghi. Lei se ne lamentava, mentre banchettavano a pane e miele e bevevano latte con succo di lamponi.
Percy viveva in una dimensione parallela visibile solo a lei?
Lui rispondeva paziente e la invitava alla gentilezza e allo stare di animo sereno.
Li aspettava un futuro ricco di vicende fascinose. Non doveva crucciarsi. Lei era Sole, Luna, Stelle. Brillava di una Luce abbagliante. Lui era nel suo destino. Questo bastava.
Destino che, intanto si andava preparando, nonostante le saltuarie ubbie, comunque solo momentanee. Duravano i dieci secondi della preghiera recitata ritualmente in coro quando dovevano esorcizzare qualcosa di brutto, tipo ingiurie e atteggiamenti maligni.
Per il resto Henrietta e Percy gravitavano in una dimensione perfetta.
Lei imparava da lui il linguaggio dei draghi: una serie di gorgheggi modulati che erano la chiave per comunicare con i fiori.
Lui acquisiva da lei le tecniche migliori per arrampicarsi sulle querce e da quelle postazioni privilegiate guardare l'orizzonte, immaginando di arrivarci in volo.
Percy ascoltava con espressione compunta, nascondendo l'innata dote magica del teletrasporto per sé e per gli amici. Non ne abusava mai. La formazione severa, che gli era stata impartita, si basava sul principio della riservatezza. Che non aveva mai, proprio mai, travalicato.
Ora era arrivato il momento.
A voce ferma scandì a Henrietta l'ordine di chudere gli occhi e di contare per tre volte tre.
Lei obbedì d'istinto e seguì le indicazioni.
Dunque: nel preciso istante in cui le palpebre le si dischiusero, immediatamente comprese quanto era successo e atteggiò la bocca in un oh di stupore. Sedeva, con Percy allato, tra i rami del gigantesco cedro cresciuto sulla collina blu-viola che prima era stata il loro orizzonte.
Il ritorno sulla quercia fu altrettanto veloce e prodigioso.
Da quell'esperienza Henrietta non stressò più Percy con lagne inutili. Accettò il suo miracolo e si godette lo scorrere delle stagioni.
L'Autunno, l'Inverno, La Primavera e l'Estate successivi al loro incontro divennero gli stupendi scenari in cui ambientare la quotidianità, balzando di esplorazione in esplorazione.
Una notte, prima di addormentarsi nella sua cuccia (si era agli inizi di Settembre), Percy disse a Henrietta che la mattina, al risveglio, sarebbe iniziato quell'itinerario favoloso che il Tempo tesseva per loro.
Henrietta non capì del tutto, ma si fidava.
Biascicò Sì e scivolò nelle visioni di ogni notte, con cani, gatti, merli... e Percy. Sapere di un domani con lui, il suo Percy bianco-vaniglia, era già un motivo valido per dormire saporitamente.
Henrietta e Percy si alzarono all'unisono portati da uno stesso desiderio: uscire alla chetichella per scorrazzare nelle campagne selvagge attorno a casa, scendendo fino al fiume, magari. Fecero la solita colazione di pane con miele, latte con succo di lamponi e presero il viottolo che li avrebbe portati alla calma libertà di quei luoghi deliziosi, dove si erano imbattuti a vicenda.
Saltellavano, si spingevano, cantavano motivetti d'invenzione. Percy aveva una voce da tenore bella e melodiosa. Chi mai l'avrebbe sospettato in un draghetto bianco e vaniglia! Henrietta intonava il tema di fondo e suonava un immaginario violino, la cui musica si generava magicamente.
Ah, l'intelligenza dell'universo! Quanto era potente! Nessun software ultratecnologico sarebbe riuscito a eguagliarla. Neanche un briciolo di meraviglia in loro per la sinergia che sembrava scaturire dagli alberi, dal cielo, dal Creato tutto. Erano parte di un prodigio dalla consistenza talmente reale da non dubitarne.
Scherzando e ridendo, quindi, arrivarono al fiume, alle sue acque turchesi, alle robinie, ai rovi, ai cespugli di vitalba e caprifoglio, ai pioppi e ai salici rigogliosi tra i cui fusti inscenarono lieti giochi innocenti.
Armonie di una gita in piena letizia.
Grazia pura.
Finché non avvertirono un guaire flebile.
Si precipitarono, Henrietta e Percy, verso il luogo da cui sembrava arrivare il richiamo e giunsero con il fiato corto a una piccola ansa riparata da degli imponenti massi disposti in semicerchio attorno all'acqua a formare un primitivo tempio naturale. E là, in un'erosione profonda della pietra di centro videro un cane riverso nel fango. Sembrava un Setter. Uno dei numerosi spesso abbandonati dai cacciatori. Lo raggiunsero e, mentre Henrietta lo esaminava per vedere se avesse qualche frattura, scoprendolo maschio, Percy le posò il muso sulla schiena e le disse: Te l'avevo preannunciato che questa sarebbe stata una giornata speciale. Ecco, lui sarà il tuo compagno per molti anni e io vi scorterò con il cuore. Ho svolto il mio compito. Entro breve non mi vedrai più. Ma non per questo non sarò accanto a voi. Sono un'infinitesima parte dell'anima che fa vivere l'universo. Io sono voi e voi siete me. Addio, amica cara. Adesso posso tornare in pace al mondo mio d'origine.
E sparì.
Con le guance inondate di lacrime e una sofferenza atroce che la lacerava, Henrietta raccolse l'infelice vittima della crudeltà umana e filò rapida verso casa. Percy era al suo fianco, lo sapeva, e la confortava la convinzione che non fosse scomparso completamente.
Ma non di dolore.
Di gratitudine.
sabato 12 agosto 2023
Prosa e Poesia / 145474: Vita della mia vita. Racconto di Irene Navarra.
Questo Racconto breve è nato da una suggestione musicale.
L'amica Michela Cuschie, pianista e interprete eccellente, mi ha fatto ascoltare "Sapere di esistere"
di Licio Venizio Bregant, un compositore locale di grande sensibilità.
L'emozione è stata travolgente.
La necessità di esprimerla in parole e immagini, immediata.
![]() |
Irene Navarra, Le rose rosa, AI Olio su tela, 12 Agosto 2023. |
Vita mi viene incontro.
A passo di danza lenta.
Ha tra le braccia un fascio di rose rosa tenue.
Non me le porge.
Spero lo faccia, ma no.
Se le porta al seno, come per proteggerle, e si ferma, discosta alquanto, guardandomi indecisa.
Vita è indecisa su di me.
Deve capire.
Mi merito la luce delle rose?
E le coreografie perfette del suo venirmi incontro?
Non so se cedere all'impulso di correre a trattenerla, oppure ritirarmi come ho sempre fatto.
Là però ci sono le rose.
Di quel rosa cenere sfumato del mio rosaio antico nel giardino ormai quasi selvaggio.
Sul fusto c'è la V di Vida, mia madre, "accuditora" di piante ed esistenze.
La V di Vida.
Vita della mia vita.
Una stupenda V che aleggia tra i rami intricati, tocca le foglie, i fiori e poi dilegua in pulviscolo leggero.
Vita della mia vita.
Nel solco accanto al tuo sta la mia lettera iniziale in una crepa che non è più abisso da quando ho visto Vita danzarmi incontro.
Così mi volgo a Lei, accenno un movimento un po' sbilenco, poi spicco un salto astrale e sono a respirare tenui sentori di rose rosa cenere.
Le sfioro, le accarezzo, me le trovo in mano, le spine confitte nella carne, il sangue che scorre tumultuoso su di loro, in me.
Le rose strette al petto, guardo il cielo e dico piano:
"Sono qui".
lunedì 24 luglio 2023
Prosa / Racconto breve: Urania, la ladra di cielo.
![]() |
Irene Navarra, La ladra di cielo, AI matite colorate su carta ruvida, 24 Luglio 2023. |
Fingi di strappare con le dita un po' di cielo. E ti picchietti la faccia, avvertendo un immediato pizzicore. Poi ti pennelli con i polpastrelli come se ti truccassi, per fissare i colori attinti in alto. Incontaminati perché sopra il mondo.
Questa la sensazione.
Ora che ti sei toccata con dita di cielo, non sei più la stessa.
Stai mutando.
Di sicuro tu non sei più la tu di prima.
Cammini senza poggiare i piedi a terra, ondivaga come una foglia portata dal vento. Voli danzando verso il fiume verde-turchese di linfa sulle cui rive sei cresciuta selvaggiamente unica.
È lo specchio della tua anima.
Arrivi al fiume, scivoli tra ciottoli tondi e muscosi, distendendoti poi sulla grossa ghiaia - quasi morbida, come dici sempre - che lo contiene, ti affacci dalla sponda e ti rifletti nella corrente limpida.
Non serve che ti guardi.
Se ti guardi, temi di perdere l'anima.
Non vuoi che se ne vada, disciolta in rivoli e spume trasparenti.
I tuoi contorni intimi li conosci bene.
Così vedi l'immagine di te a occhi chiusi, in tremolio lieve di fluidi cangianti, mentre la natura attorno esulta, sfolgorando complice.
Come a sorridere della tua purissima ingenuità.
Ti accarezza piano salendo dal suo letto.
Tu la raccogli con le mani e la porti alle labbra.
Le palpebre sono serrate, la bocca dischiusa.
Il bacio è dolce.
Lassù, negli angoli estremi della tua visione, ci sono segni.
Cancellature.
Lo sai: sei stata tu.
Ma dove sono andati a finire i pezzi di cielo mancanti?
D'istinto porti le mani alle guance, al naso, esiti sospesa, scorri tutto il viso, e capisci.
Là, dove ti sfiori, la pelle è fresca come se fosse azzurra dell'ora azzurra prima della notte.
Ecco. Ti sei fatta di cielo.
Con il cuore reso nuvola leggera ti volgi alla strada del ritorno.
Tu, ladra di cielo.
martedì 4 luglio 2023
Prosa / 145474: Storie d'ortica (L'incontro). Racconto di Irene Navarra.
![]() |
Irene Navarra, L'incontro, AI e Grafica, 4 Luglio 2023. |
Si volse all'improvviso.
Come a un richiamo.
D'ortica furono gli occhi suoi dentro il mio sguardo.
A Miramare, dove Massimiliano passeggiava con Carlotta, sotto una pergola di gelsomini e rose fui abbagliato dal suo essere ortica.
Così mi dissi, mentre la osservavo nel verde sontuoso di quel parco.
Le mani avevano un flettere discreto come di foglie al vento.
E gli occhi erano lilla.
Iridi d'ametista nel nido della ciglia punteggiate d'oro.
Un attimo durò l'esame distaccato.
Poi si girò e riprese la sua strada d'erbe nobili e trepide corolle.
Io la seguii.
Riccioli bruni cadevano sul collo.
La pelle aveva un velo di rugiada, piccole perle argento alla luce del mattino.
Era un'ortica affascinante.
Muoveva i fianchi come una cavalla smaniosa di correre nel vento.
Quel suo scalpitare m'incantò.
La superai a passi lunghi per vedere meglio il viso appena appena colto nel lampeggiare d'occhi, al suo voltarsi e scrutarmi facendosi d'ortica.
La superai e la guardai.
Di selvaggi campi fervide di menta e timo, di prati con aiole un po' altezzose, di lei che li invadeva col rapido attecchire, l'espandersi avvitando cespi inermi, di tutto questo ebbi una visione.
Oh, se mi piacque.
Così tornai indietro.
E la raggiunsi, fermandomi davanti a lei.
D'ortica e fiele furono le pupille sue dentro il mio sguardo.
Ma mi fissò.
E non distolse gli occhi.
L'eternità, allora lo imparai, ha sfumature viola.
A poco a poco sciolse l'ametista dura.
E mi sorrise.
venerdì 30 giugno 2023
Prosa / Gertrud e il Tempo.
![]() |
Irene Navarra, Il ventitreesimo orologio, AI e Grafica, 30 Giugno 2023. |
Ci provava Gertrud.
Da molto.
Voleva fermare il Tempo.
Se Lui avesse smesso di correre, anche lei avrebbe smesso di crescere.
Gertrud era una ragazzina soddisfatta di essere tale.
Vedeva tutti i limiti opposti agli adulti, i carichi, le responsabilità che li privavano del vero senso della vita: la fantasia.
Pertanto aveva deciso di non fiorire in nulla.
Rifiutava l’idea di diventare una giovane prosperosa, obbligata a curarsi, truccarsi, fidanzarsi.
Da maschiaccio qual era, vestita con calzoni in pelle, camicette, maglioni spesso sdruciti e sandali bassi o scarponcini a seconda della stagione, si sentiva a suo agio.
Fermare il Tempo? Cosa ridicola, dicevano i suoi genitori, i parenti, gli amici d'infanzia affezionati.
Lei ribadiva che ci sarebbe riuscita. La fede e la perseveranza possono i miracoli, aggiungeva un po’ piccata.
Ci credeva, dunque.
E tentava.
Con ogni mezzo.
Anche con la Mindfulness.
Il suo guru spirituale, Ananda Gothama, indiano trapiantato sin dall'infanzia in Svezia - a Göteborg, la loro città - , la esortava a perseguire il suo obiettivo.
Tutto si può, diceva ispirato. In questo mondo le cose tra la Terra e il Cielo sono di gran lunga più numerose di quanto immaginiamo, le comunicava con voce suadente.
E così lei si applicava ostinata.
A tale scopo aveva raccolto tanti orologi da tenere sott'occhio.
Nessuno, però, le fu d'aiuto perché tutti dichiaravano la stessa ora.
Quindi pensò a un escamotage: ne pose uno come orologio primo (il Dux degli orologi: quello del Tempo reale) e aggiustò gli altri, rigorosamente identici nella marca e nel formato al capostipite, spostando le lancette di secondi, minuti, mezze ore, ore, avanti o indietro.
Poi li rimescolò in modo da non sapere i dati effettivi: quelli del Tempo lineare, ovvero dei momenti che si susseguono come siamo abituati a contarli. Anche il Dux ne fece le spese.
Combinò una gran confusione, si potrebbe dire.
I canoni tradizionali di lettura temporale erano stati sovvertiti.
Sì.
Ma Gertrud ci stava bene in quel suo Tempo-NonTempo. Con gli amati autori tra cui Seneca di cui apprezzava particolarmente il De brevitate vitae, scovato nella fornitissima biblioteca del padre.
Si sentiva davvero sapiente come il prototipo filosofico di Lucio Anneo.
Aveva cristallizzato il Tempo in una dimensione dove tutti i ticchettii, discordanti o meno, si annullavano a vicenda, generando il silenzio del non ascolto nel raccoglimento dell'attimo non più fuggente perché dilatato, fisso in un presente magnifico e, di conseguenza, senza Tempo.
Bene.
Un passo avanti.
Tuttavia il Caso ci mise il suo becco adunco e anche gli artigli, in quella sospensione astratta.
Volle il Caso che Fiona, la madre di Gertrud, trovasse gli orologi di sua figlia e li regolasse.
Volle anche il Caso che tutti, circa 22, meno uno - il ventitreesimo per l'appunto - avessero totalmente esaurito la loro carica e fossero andati in tilt all'unisono tra le dita improvvide di Fiona.
Volle il Caso che il ventitreesimo, invece, continuasse a lavorare alacremente su ore, minuti e secondi. Lineari, naturalmente.
Forse era il Dux, forse no. Poco importava.
Gertrud si trovò spiazzata.
C'era al momento un solo Tempo che, imperterrito, batteva il suo infernale ritmo rapido dal contenitore inerme.
Uno solo.
Che fare?
Gertrud salì nel suo Pensatoio aereo inerpicandosi sulla scaletta d'accesso.
Il Pensatoio era una sorta di comodo nido da Martin Pescatore, di vimini intrecciati con un morbido cuscino in piume all'interno. Saldamente appeso al soffitto, pendente circa a metà della stanza e ancorato al pavimento con dei tiranti d'acciaio, rappresentava per lei il cosiddetto Mondo al Mezzo in cui tutti i canoni normali potevano essere ribaltati.
Vi si chiuse, dunque, e si mise a speculare.
Procedura Mindfulness avviata nella posizione del loto, respiro rallentato, mani abbandonate in grembo l'una sull'altra, prese coscienza del problema fissandoci l'attenzione con l'uncino tenace del suo obiettivo.
Allora, solo allora, volò, Gertrud, come faceva sempre, verso regioni astrali che l'avrebbero aiutata, senza che lei giudicasse alcunché le si fosse presentato.
E seppe, come un'illuminazione intima, che la sua scelta era giusta ma contro natura.
Il ticchettare fastidioso in sottofondo si amplificò ossessivo, quasi a sfidarla. riportandola a quel Tempo che lei non desiderava.
Gertrud ascoltò tacita.
Ci divora.
La strada è lasciare segni del nostro passaggio. Testimonianze tali da sgomentarlo.
Avrebbe riempito il mondo con la musica del suo violino, strumento che studiava con profitto e successo sin da piccolissima.
Avrebbe suonato per il mare, per gli alberi, per i fiori, per le strade, persino per gli edifici, per chi la volesse ascoltare. Li avrebbe incantati, facendo perdere la nozione del Tempo.
mercoledì 28 giugno 2023
Prosa / 145474: Nuvole. Racconto di Silvia Valenti.
![]() |
Irene Navarra, Guardando le nuvole, AI e Grafica, 28 Giugno 2023 |
Avere la testa tra le nuvole e non capire di che materia preziosa esse siano fatte.
Certo, bisogna chiudere gli occhi, ma si perde l’equilibrio. E senza equilibrio si barcolla e si sbatte la testa ovunque come chi ha appena perso la vista e deve abituarsi, potenziare gli altri sensi.
Eppure, una volta caduti, inermi di fronte alla vita che ci strappa in brandelli, è catartico riaprire questi occhi (ciechi), guardare su e osservare il carosello impalpabile che si srotola e si annoda, bianco e soffice, delicatamente cangiante o scuro e minaccioso, quasi puntuto.
Alla fine chi siamo noi di fronte alla grandezza delle NUVOLE?
Infinitesimi granelli di polvere che si protendono mulinellando verso l’ineffabile.
Bambini vecchi e vecchi bambini che immaginano creature mutaforme.
Cercatori di tesori (dell’anima).
Eterni sognatori.
Eterni disillusi.
martedì 27 giugno 2023
Prosa / 145474: Nubi e fiori di Magnolia. Racconto di Irene Navarra.
![]() |
Irene Navarra, Matilda e Maya, AI e Grafica, 27 Giugno 2023. |
I genitori se ne accorsero verso l'ora di pranzo, quando alla chiamata usuale non rispose.
Andando dopo un po' a controllare, videro che non occupava la solita postazione sul ramo più basso dell'imponente Magnolia di nome Maya, dominatrice assoluta del loro giardino.
In genere se ne stava lì, seduta o sdraiata in una curva dolce dell'amico ramo, e meditava contemplando il cielo.
L'arte della meditazione, gliel'aveva insegnata una delle suore che erano state sue insegnanti: Nun Maria Pia. Nun perché insieme parlavano in inglese. Grazie a lei, sin da bimba aveva coltivato le due discipline con applicazione straordinaria.
Nei bianchi petali a formare corolle dal cuore appena crema-rosato, o sfumate di viola in alcuni giorni privi di Sole, ci si infilava, Matilda, con il suo pensiero sottile e partiva per magnifici viaggi di benessere spirituale.
Avventure, le sue, che le davano purezza e serenità.
Il giorno della scomparsa l'avevano vista in molti. Tutto sembrava normale. Della normalità di Matilda, naturalmente. Ma ci erano abituati. Guardavano e passavano oltre con un senso di incanto ineguagliabile. Nella posizione del loto, le mani abbandonate in grembo, ispirava tenerezza.
Ormai Matilda in meditazione era un elemento essenziale di quel mondo perfetto.
Non si preoccuparono di non vederla sul solito sedile arboreo.
Se non era sul suo ramo preferito, potevano trovarla nel fosso delle rane, o sotto gli ulivi a chiacchierare con le cicale.
Cose così. Cose da Matilda.
Quel giorno però, la ragazzina sembrava proprio sparita. Strano parve che i due Golden, Emma e Pablo, che lei adorava e la seguivano sempre, fossero tranquillamente accucciati all'ombra della Magnolia.
Incominciò a serpeggiare la preoccupazione.
La madre radunò i lavoranti della loro Azienda agricola e li organizzò in squadre di ricerca, il padre si mise a correre a cavallo le campagne seguendo eventuali tracce del suo passaggio.
Nulla.
Nulla.
Nulla.
Una patina opaca si diffuse sul paesaggio.
Pareva che il Sole se ne stesse andando, soffocato dall'ansia cupa che esalava dai cuori stretti in una morsa.
Quando Rosa, la sua tata, alzò gli occhi al cielo, la paura che l'attanagliava svanì.
Rosa aveva rivolto lo sguardo al cielo per implorare l'aiuto della Vergine.
Sorridente nel sonno.
E tutti loro anche.