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lunedì 25 marzo 2024

Poesia / Cronaca: Continuando il Viaggio (Meditazione in Giallo Mimosa).

 
Continuando  il Viaggio, orfana di te,
mio dolcissimo Amore.
Un po' alla volta ce la farò.


P_Irene Navarra, Mimose di riflessione, AIArt e GraphicArt, 25 Marzo 2024



che mi ha donato sonni inconsapevoli,
nel quieto recupero di me, orfana di te,
mio dolcissimo Amore,
mi trovo a contemplare un vaso di cristallo
con dentro rami di Mimosa.
Il viatico per continuare il Viaggio
è palesato come Natura
(in Anima sottile).
Lei mi parla con parole chiare.
Immersa nel suo Sole,
 imparo meditando:
a lasciar andare,
ad accettare l'inevitabile Distacco,
(che è veleno e vino esistenziale
se ne cogli il fine),
il vuoto dell'Assenza.
Alzo - allora - il calice rubino a te,
mio Pippo Setter straordinario.
che mi mandi
e che mi fai scoprire
togliendo veli dai miei occhi.
Vedo così,
purificata dal mio stesso pianto,
la tua scintilla in ogni cosa.


giovedì 21 marzo 2024

Poesia / Cronaca: La forza della Poesia.

 

Nella Ricorrenza della Giornata Mondiale della Poesia
lascio questo mio contributo,
riconoscendo che Lei mi ha ridato la vita infinite volte.

P_Irene Navarra, Nascere in Poesia, AIArt e GraphicArt, 21 Marzo 2024.


Nascere nella Poesia?
Una consacrazione che ti fa scoprire
sempre il cuore delle cose.
E ti fa amare piangere pregare.
Mai maledire.
La senti forte in te la sua sorgente pura
in cui puoi ricrearti
se tocchi il fondo del dolore
e pensi Non ce la farò.
Oh, l’hai dipinto molte volte
il Buio della fine
e poi ti sei sorpresa della Luce
fibrillante fuori dall’abisso.


P_Irene Navarra, Primavera-Poesia, AIArt e GraphicArt, 21 Marzo 2024.


La tua incontaminata Nuda Verità
ti scolla dalla contingenza
anche strappandoti la pelle.
Dolore su dolore
fino allo sfinimento.
Allora, nel prodigio che solo Lei regala,
ti sboccia tra le mani un nuovo fiore.

P_Irene Navarra, Nuda Veritas, AIArt e GraphicArt, 21 Marzo 2024.



martedì 5 marzo 2024

Poesia / Margini: Per Virginia, Sopra il lago.

 
Lei, Virginia, non c'è più.


P_Irene Navarra, Sopra il lago, AIArt e GraphicArt, 5 Marzo 2024.


Lacrime rocciose
inanellate
a chiome nere.
(L'unico ornamento
che ti rimane
ancora intatto.)
Le mani – tese - come
pali che svaniscono
nel lago senza fondo.
(In apparenza belli
nel loro ondoso
riflettersi discreto.)
Oppure pale
preparate per scavare
sotto il fango, pronte a
Dislimare
Dischiudere
Sperare.
Domani
Fuori dal Diluvio
Sopra il lago.


Virginia


Per leggere altre liriche di Margini (B & V Edizioni) segui i link:
QuiQui; e Qui.

mercoledì 1 novembre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo, Le tracce di mio padre (4 - Napoli).

 

Immagine creata con AI su prompt dettagliato e preciso (https://stablediffusionweb.com).
P_Irene Navarra, Le tracce di mio padre, AIArt e GraPhicArt, 1 Novembre 2023.
- Tecnologia: Stable Diffusion -


    Sono a Napoli, nell'appartamento di nonna in via Chiaia.
    La pendola appesa alla parete dietro la scrivania, che era di nonno Luigi, rintocca le 11.00.
    L'amica per la pelle - e compagna di classe - Thea, riposa stesa a terra vicino a me.
    Abbiamo trascorso la notte sulle sudate carte di latino e greco che porteremo agli esami di Quinta Ginnasio. Siamo davvero stravolte.
    Papà viene a trovarci. Entrando getta uno sguardo alla parete di destra su cui campeggia il quadro a olio di suo padre, morto di febbre spagnola quando lui aveva appena pochi mesi.
    Lo fa sempre quando entra in questa stanza.
    Poi si gira verso di noi,
    La giacca in lino un poco spiegazzata, bianco grezzo, i pantaloni beige, sempre in lino, la camicia azzurra, il cache-col dai toni freddi, il Borsalino spinto sulla nuca, ride, papà, come un invasato ai nostri segni di stanchezza dopo ore e ore di applicazione ai sacri testi e un vaso di melanzane sott'olio casalinghe svuotato completamente. Vuole sollevarci il morale, come suo solito. Non abbiamo la forza di rispondergli con leggerezza.
    Allora sparisce in camera da letto, vi si ferma un paio di minuti, e ricompare.
    Pigiama blu, sulle spalle un asciugamano grande color arancio come mantello. La sciarpa di seta a disegni cachemire di nonna Maria a mo' di turbante in testa, vola nella stanza e lungo il corridoio, cantando il tema di Lawrence d'Arabia. Le sabbie del deserto si alzano in mulinelli attorno a lui.
    Tu sei Lawrence. Io lo so. Convinto di stare cavalcando un cammello in corsa.
    Thea e io, il pubblico di un film spettacolare.
    Così scoppiamo a ridere e lui, finalmente soddisfatto, torna al Borsalino, al suo cache-col e ai lini dell'abito da passeggio.
    Occhiali scuri e di buon passo nel sole fino alle rive di via Caracciolo, alla Villa, al mare.

    Un attimo da quei rituali di felicità, e ci fu Autunno, il cadere della foglie, l'assenza. 
    Resta l'eco della sua voce allegra che canta con ironia La pansé di Renato Carosone.


Pansé viola, 'a mij,
~ surriso - ammore - priezza ~
pansé gialla, 'a toia



martedì 31 ottobre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (3 - Gorizia).


Siamo a Gorizia.
Correva l'anno 2015.

L'immagine è stata generata Con Stable Diffusion XL (https://stablediffusionweb.com).)
P_Irene Navarra, Pablo tra i fiori, AIArt e GraphicArt, 31 Ottobre 2023.


    Ho per meta un luogo speciale.
    Mi precede il mio esploratore preferito: l'unico di cui mi fidi. È un cane. Un Golden    Retriever di nome Pablo. Il mio cane.
    Dalla nostra casa in Gorizia - nella parte alta della città delimitata da colline morbide e dalla cintura turchese dell'Isonzo -  punta dritto al Monastero delle Orsoline che sorge a poca distanza.
    Io gli corro dietro.
    Si gira a guardarmi davanti al portone d'accesso ed entra sicuro con il suo passo dinoccolato ed elegante. Da Lord inglese. Una gioia per gli occhi.
    Lo trovo nell'atrio che mi aspetta.
    Ci sono.
    Scampanello.
    Suor Elena, amica e compagna da sempre di avventure spirituali, mi apre.
    Siamo dentro. Nel cuore del Convento.
    Un minuto di attesa, ché sistemi il suo tombolo e affidi a una consorella la portineria, e ci infiliamo nel corridoio dal pavimento tirato a lucido che ci porta al Parco.
    Il Parco è un altro mondo.
    Una dimensione secolare fatta di alberi antichi, rigogliosi e non, con ferite di un vissuto importante nei tronchi. Pablo è felice. Corre libero saltando di aiola in aiola. Annusa i fiori, le erbe. Si tuffa nei cespugli. Rincorre scoiattoli che si beffano di lui dall'alto delle loro tane aeree. Poi si accuccia sereno davanti a un ricco ciuffo di margherite.
    Lui ama le margherite.
    Noi ci avviamo verso il tavolino di pietra tonda (la nostra Tavola Rotonda della nostra Camelot segreta) che pare attenderci all'ombra dell'immensa sughera, signora del luogo.
    Adesso il profumo della sua corteccia è intenso.
    Sparge sentori prodigiosi quando siamo sotto i suoi rami contorti. Abbiamo capito da un po' che è il suo modo di assentire - aromaticamente - al nostro presentarci al suo cospetto.
    Di fronte: due tassi ormai quasi decrepiti ci sorvegliano.
    Nascondono di sicuro i druidi che qui danzavano al chiaro di Luna.

    Mi tolgo lo zaino dalle spalle, lo appoggio su una panchetta sempre di pietra, lo apro con religione e ne estraggo: formaggio montasio, pane, mandorle, un bottiglietta di Pinot bianco fresco e due bicchieri. Sistemo il tutto sulla Tavola Rotonda.
    Verso il vino.
    Alziamo i bicchieri.
    Brindiamo.
    A noi e alla vita.
    Pablo, immobile davanti alla grotta della Madonnina di Lourdes qua ricreata, coglie il sacro del luogo e scodinzola.
    So che sorride.
    Lui vede cose che noi non vediamo.


E rientrando
l'ombrello di Elena
appeso al portone.


Irene Navarra, L'ombrello di Elena, FotoInstagram, 29 Giugno 2015
.


domenica 29 ottobre 2023

Prosa e Poesia / Haibun: Viaggio intimo (2 - Trieste).


Partiva per l'ennesima volta.
E con lui il mio pensiero.
Il cuore no.
Restava qui a rimirare il mare con la luce dei nostri occhi dentro. Blu mare in noi, mescolato sempre all'argento del distacco. Ogni onda un ricordo. Travolgente e profumato di pini. I nostri corpi sapevano di resina. Nei capelli aghi pungenti. Scaglie di pigne sulla pelle.
A Miramare, nel Parco del Castello di Massimiliano e Carlotta, l'aria stessa ci faceva mito. Le rive, poi, di Trieste bella ci accoglievano sorridenti verso casa e il Pelinkovac versato a goccia nei bicchieri colmi di ghiaccio.


P_Irene Navarra, Lungo i binari nel giorno del distacco, AIArt e GraphicArt, 28 Ottobre 2023.


In ogni punto
del viaggio verso Vienna
tra le tue mani.

Sono un giornale
che racconta amore
privo d'inchiostro.


mercoledì 28 giugno 2023

Prosa / 145474: Nuvole. Racconto di Silvia Valenti.

 

Irene Navarra, Guardando le nuvole, AI e Grafica, 28 Giugno 2023


     Se vuoi vedere le valli, sali in vetta ad una montagna; se vuoi vedere la vetta di una montagna, sali su una nuvola; se invece aspiri a comprendere la nuvola, chiudi gli occhi e pensa. (Kahlil Gibran)
    Avere la testa tra le nuvole e non capire di che materia preziosa esse siano fatte.
    Certo, bisogna chiudere gli occhi, ma si perde l’equilibrio. E senza equilibrio si barcolla e si sbatte la testa ovunque come chi ha appena perso la vista e deve abituarsi, potenziare gli altri sensi.
    Eppure, una volta caduti, inermi di fronte alla vita che ci strappa in brandelli, è catartico riaprire questi occhi (ciechi), guardare su e osservare il carosello impalpabile che si srotola e si annoda, bianco e soffice, delicatamente cangiante o scuro e minaccioso, quasi puntuto.
    Alla fine chi siamo noi di fronte alla grandezza delle NUVOLE?
    Infinitesimi granelli di polvere che si protendono mulinellando verso l’ineffabile.
    Bambini vecchi e vecchi bambini che immaginano creature mutaforme.
    Cercatori di tesori (dell’anima).
    Eterni sognatori.
    Et
erni disillusi.

Per leggere gli altri scritti di Silvia Valenti, si seguano i seguenti link:

venerdì 23 giugno 2023

Poesia / Cronaca: Pietre sul cuore.

 

Un dolore grande può portare a riflessioni cupe.
Allora, quando il cuore si appesantisce tanto da sembrare di pietra,
il pensiero della Morte sembra una liberazione.


Irene Navarra, Pietre sul cuore, AI e Grafica, 23 Giugno 2023.


L'hanno sepolto, questo mio cuore,
con pietre tutte spigoli
che premono e perforano
solo al posare i palmi.
Ho un tumulo nel petto.
Senza corredi e offerte.
Mi sento morta.
In modo strano.
Partecipo al respiro,
ma mi sembra d'altri.
Viene da lontano
E il battito intona un ritmo cupo.
Barbarici strumenti a percussione
lo spezzeranno a forza di colpire.
Lo strappo dal costato,
questo cuore inutile,
e lo regalo al fiume
che mi chiama
con flebile sussurro.
Le pietre del dolore non mi tradiranno.
Nel fiume ha la sua storia ineluttabile:
quieto riposo in trasparenza d'ambra.
Io con lui.

sabato 17 giugno 2023

Prosa / 145474: Musica, solo Musica. Racconto di Silvia Valenti.

   

Irene Navarra, Il Violinista verde, AI e Grafica, 17 Giugno 2023.

    Scorre vibrando la nota.
    Ha radici profonde di dolore.
    Livida e tagliente sulla pelle, verde.
    La musica. La musica è tutto il mio universo. Fatto di colori abbaglianti, di pause che assordano, di onde cariche di messaggi.    
    Io sono questo, suoni armoniosi declinati in note stonate, attonite spettatrici di un naufragio emozionale.
    Le dita sulle corde come su lame affilate si consumano lacerandosi fino alle ossa. Cadono note di sangue su uno spartito consunto dal pianto.
    Eppure la ballata non ha una fine, danza dentro di me vorticando, travalica i confini del corpo per respirare la luce, esplode in ricordi e visioni.
    Non distinguo più ciò che mi appartiene da ciò cui io appartengo.
    Nondimeno continuo a suonare. Attraggo creature, respingo gli uomini. Forse vivo ancora, ma non ne sono certo. Mi chiedo il perché del mio folle volo, ma la risposta sono le dita che pizzicano e scivolano e l’archetto che danza di propria volontà.
    Sono ETERNO.

Se vuoi saperne di più su Silvia Valenti, segui il link Qui.


martedì 13 giugno 2023

Poesia / Cronaca: Non sa più le tempeste.

 

Irene Navarra, Dialogo segreto, AI e Grafica, 12 Giugno 2023.


 
Non sa più le tempeste
l’Azzurra Creatura dal cuore di cristallo. 
Lei, cavalla dalla corsa silenziosa, 
brilla nell’aria attorno a noi
come una lucciola
che ormai non ama solo il Buio
e insegue vie inviolate
forte della sua stessa Luce.

E tu, giovane amico
dal cuore dilaniato a morsi amari,
quando la brezza fruscerà improvvisa
- lieve sul volto come un tocco dolce -
o un’ape ronzerà pianissimo al tuo orecchio,
saprai che Lei ti parla del suo mondo,
sfiorandoti radiosa con le sue ali d’Angelo.


sabato 10 giugno 2023

Poesia / Cronaca: Lacrime di sangue (Sansone contro i Filistei).


Sono preoccupata per il nostro mondo.

Irene Navarra, Lacrime di sangue, AI e Grafica, 10 Giugno 2023.



Vivendo sempre a cogliere
il nucleo caldo delle cose
so che non ho chance
di stare al mondo bene.
Rotolano i dadi
in punti sghembi
e il loro ruzzolare
non avrà mai fine.
Ho lacrime di sangue
che bruciano sul volto.
Quasi io fossi una Rivelazione.
Si spegne la Bellezza
come una rosa recisa inutilmente
e messa in un vaso senza l'acqua.

Lasciate i fiori sulle loro piante,
Lasciate intatte le radici del Creato.

Il solco sulle guance
è letto di fiume carsico
eroso dal dolore
per quanto avviene sotto il sole.
Tu credi di capire a fondo.
E invece tocchi appena
la risorsa immane
che ci è stata data.
Vuoi far crollare il Tempio
sulla fondamenta?
Come Sansone fece contro i Filistei?
Non è così che va affrontata la questione.
Col cuore puro e con la mente
devi blandirla e sviscerarla.
Sì. Col cuore nella mente.
Il Dio della vendetta è distonia
scritta da noi, generazioni inconcludenti.
 

venerdì 9 giugno 2023

Poesia / La camicia consunta della vita (da "Dettagli").


Irene Navarra, La camicia consunta della vita, AI e Grafica, 9 Giugno 2023.


La camicia consunta della vita
non sopporta più le lavatrici
e la stoffa sottile come garza
alzata in controluce
non Rivela.

Però conserva ancora
qualche traccia di ricamo
che (sicuro di natura propria
a noi del tutto indipendente)
fa la funzione di tenerci
Illusi.

 


martedì 6 giugno 2023

Prosa / La morte della farfalla (da "Davvero così).

 

Irene Navarra, La morte della farfalla, AI e Grafica, 5 Giugno 2023.


    Tienimi la mano, papà.
    Te la sto tenendo.
    Non ti sento.
    Non voglio farti male.
    Stringi, papà. Stringimi come da piccola. Proteggimi. E fammi volare. Mi ricordo, sai, me lo ricordo: tu allacciavi le mani a seggiolino e io mi ci sedevo. Mi appoggiavo sul tuo petto, mi aggrappavo alle tue braccia forti e tu, la mia altalena viva, mi dondolavi canterellando filastrocche o fischiettando. Stringimi, papà. Non mi fai male. Stringimi forte. Tra poco me ne andrò. E non potrai più toccarmi.


    Martina si separava a strappi dal suo corpo così diverso e fermentante. Gli occhi appannati cercavano le persone. La madre, i parenti, il padre si muovevano sulle punte. Fantasmi in transito. Per non disturbarla mentre si liberava dal dolore.
    Ci siamo, pensavano tutti.
    È il momento, pensava Martina.
    Stava bene.
    Dopo un tempo interminabile costellato da aghi, congegni, flebo, nausee, vomito e trafitture atroci nei suoi poveri polmoni. Stava bene per la prima volta in quel mese di maggio sfibrato da un sole già estivo. Non sentiva più il caldo che l’aveva tormentata incollandole i pigiami zuppi di sudore alla pelle bruciante.
    I capelli le erano caduti da una settimana.
    Quei suoi bei capelli neri.
    Li aveva persi a ciocche, e con loro era svanito anche l’interesse per sé. Riusciva a mettersi la bandana senza guardarsi allo specchio e, se non c’erano specchi in giro, poteva fingersi com’era una volta. Forse si trovava in ospedale per caso. Viaggiatrice stralunata in un mondo bianco. Cavia volontaria entrata là nella danza dei suoi diciannove spumeggianti anni, desiderosi di vacanze e di Luca. Luca dagli occhi di mare.
    Inezie ormai.
    Che si sfaldavano stemperandosi in velature brumose.
    La nebbia invadeva la stanza. E nella nebbia fluttuava il volto del padre. Il fermo volto di suo padre.
    Lasciami ora, papà. Devo andare, disse d’un tratto Martina con una voce che non era più la sua.
    E furono le ultime parole.


    Lui scrutava pallido il trascorrere della fine sui lineamenti cianotici della figlia, indugiava sulle guance gonfie, sulle forme goffe sotto il lenzuolo, sulle mani con le unghie dalle lunette blu, sui piedi come ghiaccio rosato a chiazze viola. 
    Un mese fa splendeva di briosa energia, la sua moretta dal carattere scanzonato. E solo un mese fa non c’era un’ombra nella loro esistenza.
    Il successo della carriera politica lo inorgogliva (era il governatore della regione!), il potere lo eccitava e perciò ripeteva spesso che si era fatto da sé, assaporando e riassaporando soddisfatto il gusto di quel suo uscire dai timori, dubbi, fragilità di una sbiadita giovinezza.
    Aveva preso il volo e gli piaceva, con altezzoso umorismo, definirsi una farfalla.
    Una farfalla tenace e battagliera.
    Quella scaturita dal bozzolo più misero, la meno appariscente, ma la più vitale.
    Batto tutti sulla distanza! gridava e mimava con gesti esagerati la scena che aveva in testa preparandosi a sfornare un’altra metafora in aggiunta alla favoletta della farfalla. Tutti mi staccano alla partenza, mangio la loro polvere ma non cedo. Il calcagno dell’avversario è il mio obiettivo e io corro, corro finché non lo azzanno. E non lo mollo. Poi mi concentro sugli altri ancora davanti, fiuto il loro odore e il fiato si raddoppia. Li acchiappo, li acchiappo e me li pappo, gorgheggiava alla fine del suo sketch autocelebrativo.
    Martina si divertiva un sacco ad ascoltare quel ritornello sfrontato. Una burla, secondo lei. Lo baciava sulla fronte, gli tirava il naso scuotendogli con gentilezza la testa e gli spiegava che le farfalle si nutrono di nettare, che sono i lupi mannari a divorare gli uomini, che lui allora era una farfalla-lupo mannaro. Un mostro! Amabile però! Oh, molto amabile. Il suo carissimo mostro. E lo ribaciava, con una serie di schiocchi sonori. Per fargli dimenticare le battaglie giornaliere, le notti insonni, i parassiti che lo assillavano. Gli attenuava l’incomodo delle fughe ipocrite di fronte alle legittime rimostranze, la seccatura dei compromessi diplomatici. Quanti fardelli non confessati, quante ansie da cui lei sola sapeva sollevarlo!
    Lei sola stornava i crucci. I rituali cruenti della selva giornaliera lei li dissolveva con le sue buffe coccole.
    Lei sola.
    E adesso, chi l’avrebbe consolato? si chiedeva considerando l’eventualità della morte di Martina, mai vagliata in precedenza.
    Il problema di mia figlia si risolverà! esclamava sicuro fino a qualche giorno prima. E aggiungeva: Lei guarirà e tornerà a splendere. L’ho affidata ai migliori medici sul mercato. Il professor Bini la salverà, non può sbagliare. Non si scherza con me! Si impegnerà, me lo assicurano i miei colleghi e amici. Personaggi di rilievo. Hanno telefonato…, me l’ha detto il professore…, gli stanno alle costole..., è il giusto modo…, respirargli sul collo…, sfiancarlo…, rodergli la vita serena. Quando l’acchiappo, pure lui mi pappo, berciava oliato dal grasso del potere rivolgendosi alla sua claque fidata.
    E ora il grasso colava sul letto d’ospedale in cui Martina si disfaceva. Colava malgrado gli si riformasse dentro un accenno d’angoscia. Decise di interpellare il professor Bini e di lasciarlo parlare, non crogiolandosi soltanto nella propria sicumera, sforzandosi insomma di evitare l’imposizione senza alternative come unico modo per ottenere.
    Ottenere la guarigione di Martina.
    E il professore avvertì una prostrata intelligenza nell’insolito stile di porsi e ne fu sollevato perché lo incoraggiava a ragguagliarlo sulla situazione di Martina senza doversi nascondere dietro i virtuosismi astuti che la politica esigeva da lui (ché non tagliassero i finanziamenti al reparto!). Colse, insomma, nel padre un interesse alla comunicazione scambievole. Lo colse con un residuo di imbarazzo al pensiero del proprio dissimulare passato – un po’ per pietà, un po’ per codardia, un po’ per inettitudine di fronte alla logorrea convinta del politico –. Turbato, inoltre, dalla tracotanza ancora eccessiva, aveva abbassato gli occhi sui suoi mocassini Tod’s di camoscio beige, allargato le braccia in un gesto impotente e gli aveva detto che loro, i medici, non potevano contrastare il male di Martina.
    Queste parole gli aveva detto: Non possiamo fare nient’altro. Nel corso della malattia, molte volte ho cercato di avvisarla, con le dovute precauzioni, di un probabile, infausto decorso. Lei ne è al corrente, ma non l’ha mai accettata, quest’ipotesi. Mi dispiace, mi dispiace moltissimo. Martina se l’è mangiata un batterio vorace. L’abbiamo trattata con diversi antibiotici, ma è debole, è troppo debole…, la chemio l’ha distrutta, non reagisce…, il sangue non circola…, il tempo è poco. Le stia vicino.
    Il tempo è poco! aveva urlato il padre, le vene della gola tumide. Cosa vuol dire? Lei doveva guarirla. Guarirla!!! Me l’avevano assicurato. Lei sa di chi parlo, vero?
    Il professor Bini aveva indicato con la mano destra il cielo e si era ritirato di fretta nell’ambulatorio annesso allo studio, esterrefatto dal grasso che continuava a trasudare da quell’uomo refrattario a qualsiasi logica non sua.
    Rimase dunque, il padre, in una sensazione di nudità rovinosa. A combattere contro il disagio per la malcelata riprovazione e lo svilimento indotto dal non poter più dominare.
    Si protese nell’avvenire, riaffacciandosi all’orrido da cui si era reputato salvo. Per lui, in bilico sulla lama affilata della verità, restava solo il ritorno al bruco ignobile del passato?
    La fine di Martina o la fine di tutto?
    La fine di tutto.

    Conscio dell’imminente distacco ritornò alla cameretta dove si consumava la veglia inevitabile, tra un biascicare di preghiere che lo infastidirono. L’epilogo felice, lui, l’aveva dettato, apponendovi la sua prestigiosa etichetta. Qualcun Altro invece, ben più potente, Dio o forza naturale che fosse, l’aveva esautorato per impossessarsi del principio d’autorità che presumeva inalienabile. Né ricatti, né bustarelle, né minacce, nessun ti do per avere in cambio gli avrebbero restituito Martina. Posò gli occhi su sua moglie: esangue, come rimpicciolita, pareva lì lì per dissolversi nelle pareti slavate della stanza.
    Da quanto tempo non la guardava veramente? 
    Ora era bianca di capelli.
    Bianca e distante.
    Scosso da un tremito irrefrenabile, si volse alla finestra da cui si riversava la luce. Filtrando tra le tapparelle abbassate, accendeva di lame d’oro le cose della figlia: la letteratura italiana, l’antologia di autori latini, il libro di matematica impilati sul comodino; Sei tu di Federico Moccia sopra la trousse da trucco; le Crocs blu sotto il letto, la vestaglietta rosa shocking appesa dietro la porta con la bandana a fiorellini provenzali sbucante da una tasca.
    Toccò quegli oggetti, attardandosi su ognuno di essi, e tentò di focalizzarsi sul dilemma del suo futuro nel mondo fuori da lì.
    Il nulla, senza Martina.
    O meglio: una patetica subdimensione visitata da larve passeggere.
    Una stilettata gli trapassò il petto.
    Lui, farfalla spillata viva alla teca che gli avversari avrebbero esposto come un loro trofeo, veniva privato dell’ebbrezza del volo nel dispiegarsi pieno della grazia. Seta la materia di supporto della nuova condizione, costosa la cornice, ma paglia nel costato e spaghi in stimmate di mani e piedi.
    La mente nel bitume della sofferenza di Martina.
    Gli occhi tappati dalla cera della fine di Martina.
    La gola ostruita dall’osso dell’assenza di Martina.
    Dallo strappo con lei i giorni sarebbero divenuti pause vuote e intralcio.
    Si piegò sulla figlia, tese una mano a coglierne il rantolare faticoso, se la portò alle labbra e pianse.
    Di un breve pianto scabro, a singhiozzi aspri.
    Poi, acquietatosi, le si sdraiò al fianco palpitando con le braccia nell’aria piena di morte.
    Sempre più blando.
    Finché, posate le ali sul petto di Martina, agonizzò con lei verso il mistero.

Irene Navarra


domenica 14 maggio 2023

Poesia / Frammento 52: E camminare (Meditazione cromatica in Verde, Azzurro, Oro).

 


Ci sono momenti della vita in cui ti pare di non poter più respirare. Attorno il buio incalza. La pena sta per avere il sopravvento.
Adesso, per me, è uno di quelli.
Devo ricorrere all'Azzurro delle montagne stagliate nette all'orizzonte, al Verde dei prati, all'Oro del Sole che forza per entrare nel mio mondo attualmente cupo.
Devo.



Irene Navarra, Verso i Monti Azzurri, AIG, 14 Maggio 2023.


 
E camminare verso i Monti
Azzurri per la distanza,
guardando al Verde che calpesto
e non vorrei,
al cielo cilestrino
che spesso non mi accoglie.
La meta è là.
Tra terra e cielo
c’è la salvezza dal silenzio umano.
Là dove parla Dio.

Lungo il sentiero esisto a malapena

come chi è stravolto dall'arsura e deve bere
ma l'acqua è solo l'infinita ombra di un sogno.
E i Monti Azzurri dove tutto è fresco
disegnano profili irraggiungibili.
Stille di sale rigano le guance,
in bocca non ho più saliva.
Allora mi accoccolo sull'erba,
chiudo lenta le palpebre,
comando al cuore di sedare il battito,
rallento il mio respiro
e inalo Verde luminoso.
Mi abbevero dell’Oro
che illumina il cammino.
Non so se arriverò al traguardo,
a quell’Azzurro in cui cadrà la pena
sfaldandosi in petali leggeri,
so però l'altalenare ritmico del petto:
Inspiro / Espiro splendore puro.
E il cuore torna a compulsare.