La gita alla casa di Pernate veniva programmata con scrupolo. Bisognava caricarsi tutto sulle spalle, in enormi zaini che arrivavano quasi fino a terra. A contenere le nostre vite. Come muli umani sfilavamo tra masiere antiche, chiazzate dai licheni e rese gentili da certi fiori rosa che, suppongo, fossero centauree. I medesimi che avevo ammirato per la prima volta nella piana di Micene. Corolle delicate tra cui la Porta dei Leoni sembrava gioire di Bellezza per comunicarla al cielo cilestrino in cui si stagliava da secoli.
La natura di Cherso ricorda quella greca.
Così, ogniqualvolta mi ci immergo, scandisco dei versi omerici. Con la metrica ben calibrata.
È più forte di me.
Avviene e basta.
Nella campagna alta di Pernate capita con una tale intensità da farmi perdere qualsiasi nozione di tempo lineare.
Gli ulivi di qui hanno ombreggiato Ulisse e i suoi compagni. Gli stessi ulivi mi accarezzano le guance nel tragitto verso la casa. Che è scrigno di tesori preziosi.
Argo mi aspetta sulla soglia.
Insieme adesso stiamo.
Itaca è qui.
Pagliuzze d'oro
tra le dita - nel cuore
vive Itaca.
Irene Navarra, La Casa di pietra, AIArt, 28 Aprile 2024. |
Sull'altopiano profumato
di erba secca mista a menta, timo, salvia,
la Casa guarda il mare.
E sogna.
Sa di avere il tempo
limitato di un pensiero.
Però senza le regole
che rendono più tristi
i suoi sonanti sassi solitari.
Là vivo io
quando mi scoppia dentro
il desiderio di volare
tra le mille parvenze delle sue pareti.
E mi ritrovo d'improvviso
ad ammirare la marina da lontano
mentre Lei, la Casa, chiama in voci chiare.
Sento gemere porte,
cantare le finestre,
scrocchiare le pareti,
mentre l'ulivo centenario mi saluta
scuotendo la sua pelle verdargento.
La scala dissestata, intanto,
restaura le sue pietre
per darmi l'agio di passare
di piano in piano,
tra il polverio brillante
che il sole vi ricama.
Entro.
Il tetto è come un cielo fulgido.
Ginestra, liquirizia in fiore,
un fico annoso svetta.
Ho le sue foglie sulle spalle nude.
Ne spicco un frutto.
Latte grippante sulle dita,
polpa di miele in bocca.
È questo il qui e ora
dello spaziotempo.
Eternamente.