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venerdì 2 giugno 2023

Prosa / Racconto breve: L'orto di Elena.


Per un'Amica che compie gli anni.
Lo spunto me l'ha dato lei con le sue passioni.
Alcune le ha trasmesse anche a me.
Tra queste: la meditazione.
E non finirò mai di ringraziarla per avermi indotto a impararne le tecniche di base.
Nel racconto troverete degli eventi, naturalmente.
Alcuni ci accompagnano lungo strade già battute dal personaggio di cui si fa la storia.
Altri sono di pura fantasia.
siate gentili e perdonate le intemperanze.
Ciò che conta, comunque, è sempre e solo la magia

A Elena Arcese, con affetto.
Nostalgicamente.


Irene Navarra, La Suora orticoltrice, AI e Grafica 2 Giugno 2023.

     Ha nelle mani a coppa una manciatina di semi di prezzemolo. Li guarda, Elena, con affetto. Sono della generazione dell'anno prima. Una buona generazione che aveva dato risultati eccellenti. Tenendoli con delicatezza osserva le zucchine che sprizzano bontà solo alla vista, vestite come sono di un verde chiaro con il cappellino dei fiori arancio. Le Pallide, le chiama Elena o Le mie Predilette per la generosa dolcezza e la morbida grana.
    Trasferisce i semi da una mano all'altra, stando attenta a non perderne nemmeno uno, e si volge ai pomodori già così turgidi da far presentire saporose insalate e salse e complementi ghiotti di melanzane e peperoni.
    Quando entra nell'orto, avverte un piacevole senso di vertigine e arrivano le voci. Gli ortaggi e i frutti le parlano in fruscii, schiocchi secchi, sospiri, gocce di miele lasciate cadere al suo indaffarato andirivieni. I fichi lo fanno. Le regalano la loro dolcezza appena lei è in giro.
    C'è dialogo tra di loro.
    Elena ne sa il motivo. Tutte le piante dell'orto le aveva portate lei in una sorta di dote al Convento in cui era entrata poco più che adolescente. Erano patrimonio atavico della sua famiglia di tradizioni contadine, e lei sin dall’infanzia le trattava da congiunte carissime. A cui confidava gioie e dolori, traendo conforto dal loro appesantire bacche quando facevano piegare i racemi in segno compiacente di ascolto, oppure annuivano con le chiome. In questo era specialista il basilico: dimenava le foglie per spargere nell'aria il suo odore speziato e consentire con l'interlocutore.
    Con lei, almeno.
    E questo allora, e ora che ha oramai un’età davvero adulta.
    Sospetta, però, che spesso non siano uniformi nel comportamento. Il basilico si mostra fiero del suo temperamento regale e, se qualcuno non gli va a genio, rende amare le foglie al momento della raccolta e rovina l'intingolo a cui viene aggiunto. Fatto risaputo, peraltro, dalle consorelle. Il pesto, in effetti, può comporlo solo lei, per ordine della Superiora, e risulta essere, a detta di tutti, un capolavoro di avvolgente, squisita, inebriante cremosità.
    Che le Suore invasano e vendono.
    I semi ancora nel tiepido calore dei suoi palmi irruviditi dalla terra, Elena si accinge a preparare il suolo per porli a dimora. Li depone in un cartoccio di carta da zucchero, appoggia con attenzione il cartoccio a terra e si mette a zappettare rapida, a scavare i rituali ricoveri in file ordinate e infine a sistemare i semi nelle loro stanzette di germinazione. Poi bagna la sezione d'orto appena lavorata, ammira le lattughe vicine dalle forme tanto prosperose da essere degne di un dipinto di Botero, i cetrioli che si arrampicano scomposti e belli da morire per i frutti pendenti e i fiori giallo sole.
    Con gli occhi pieni di bellezza Elena si siede sulla panca di legno che è il suo trono personale. Una volta accomodata, si toglie il velo, si ravvia i capelli con le dita e offre il volto al cielo. Da lassù, Maria la Semplice le sorride.
    Che meraviglia sentire il calore del Sole sulla pelle!
    Oh, mio infinito e buon Signore! esclama spontaneamente con le parole di Sant'Agostino. In un ringraziamento di umiltà profonda, di riconoscimento dell'incommensurabile potenza divina.
   Con la sacra formula, ripetuta in dolcissimo mormorio, comincia la parte spirituale del tempo dedicato all'orticoltura.
    È il momento della Meditazione cromatica. Ogni volta la tinta o la sfumatura prescelta risultano diverse. Oggi tocca al rosso-rosa dei pomodori Cuore di bue. Ne spicca uno dalla pianta, se lo porta al viso e ne inala l’essenza pungente. Adora il profumo di quelle creature paffute con l’ombelico in evidenza. Se ne sarebbe estratta la base per una colonia, stabilisce ridendo.
    E il buonumore le permette di rilassare il corpo, pulendo la mente. Appoggia, quindi, le mani l'una dentro l'altra e si fa scintilla nel vuoto, al seguito di una scia rosso-rosa e di una fragranza verde e matura assieme.
    Le piante in silenzio perfetto, armonizzano accordi con Elena che sta veleggiando in una dimensione dischiusa solo alla natura incontaminata.
    Lei è ormai un palloncino cui hanno tagliato il filo di ancoraggio. Si libra lieve tra fave novelle e piante aromatiche in fertili, pastosi cespugli che espandono effluvi stordenti.
    Vola, vola Elena, finché la scuote brutalmente una sgradevole voce in richiamo dalle cucine della Comunità: Elena ma che cavolo fai? Ti sei persa, anima sciocca che non sei altro? Porta la verdura. È quasi ora di pranzo.
    I toni sguaiati della cuoca! bisbiglia Elena, tra sé e sé mentre, faticosamente, si alza, raccoglie il cesto ricolmo di ogni ben di Dio e si affretta verso le cucine imboccando la porticina che dall'orto conduce alla zona dei servizi, e immettendosi nel passaggio cieco che è itinerario obbligato per le cucine.
    Si orienta a stento nel corridoio senza luce alcuna. Con un senso d'oppressione.

    In quella specie di cunicolo mal areato le succede qualcosa. Questa volta una mano invisibile le si poggia sulla gola e stringe fino a farle male.
    Ali ai piedi come rimedio, è una formula magica che può andare bene.
    Ma non sempre.
    Oggi no.
    Le cose stanno diversamente, oggi.
    Il respiro viene meno.
    Tanto da perdere quasi i sensi.
    Si appoggia al muro e scivola a terra mentre dal cesto cadono fave e piselli, zucchine, pomodori e lattughe. Un manipolo vegetale che sembra schierarsi in formazione di difesa attorno al suo corpo. Così lei crede in un barlume di semilucidità.
    Poi si lascia andare.
    Con i sovrasensi, rafforzati dalla meditazione, trova una dimensione chiara che le ridona l’aria.
    E ricorda l'infanzia.
    Vede la casa di nascita immersa nel verde rigoglioso della campagna laziale, gli spazi immensi in cui scorazza libera, cavalcando a pelo il suo amato baio di nome Barone. Riprova l’ebbrezza delle esplorazioni scandite dagli zoccoli dell’amico lungo le sponde selvagge del fiume Liri, dove nuotare, tuffarsi e giocare con fratelli e amici era una splendida routine, fragrante come il pane appena sfornato.
    Nelle narici il sentore fresco dell’acqua corrente, nei polpastrelli il contatto vitale con il suo cavallo, ricomincia adagio a respirare. Piena di quel senso sconfinato di devozione che l'aveva unita alla natura sin dalla nascita. Tutti l'avevano notato: in giardino sorrideva,  al chiuso piangeva. Cani, gatti, creature alate erano compagni abituali e s'intendevano a vicenda. Il piacere dello stare insieme brillava. Lei sapeva amare con trasporto il mondo circostante; cose, animali, uomini le entravano nel cuore e vi si insediavano gioiosi.
    Ricambiandola.
    Anche il Signore, lo amava allo stesso modo.
    Infinito. Totalizzante.
    Lui era il Creatore dell'Universo intero.
    Con Lui sarebbe stata felice.

    Elena si riprende a poco a poco. Si trova a terra, capisce che le è successo di nuovo. Il salto temporale la sfinisce fisicamente ogni volta, ma ora sa. Ricompatta i ranghi delle verdure, le ricolloca nel cesto con cura e le porta in cucina affidandole, a malincuore, alla cuoca, torna sui suoi passi e nell'orto, dove accarezza le piante, sussurrando parole dolci.
    Non ne dimentica una, delle sue protette.
    Si dirige, poi, verso il muro di cinta in cui c'è un cancelletto di ferro affacciato su una stradina rustica che volge al mare.
    Non lontano c'è il mare, si ripete mentre il cuore accelera i battiti e i piedi vanno veloci. Il luccicare delle onde all'orizzonte la chiama.
    Risponde correndo.
    E arriva.
    Si toglie i sandali, si siede sulla sabbia e inizia a decidere della sua vita.
    Dei semi non si fa problemi.
    La seguiranno sulle ali del vento dovunque voglia andare.
    Liberamente.
    Il buon sangue vegetale non mente.
    Questo ha ricordato alle piante in un saluto soffocato, allontanandosi dal Monastero.

    1 - 2 Giugno 2023

Irene Navarra

martedì 30 maggio 2023

Prosa e Poesia /Racconto breve e Tanka 50: La Scatola dei Ricordi.

 
La Scatola grigia dei Ricordi è sul letto.
La apro. 
Il coperchio l'ho lasciato nell'armadio in cui Lei, la Scatola, giace già da qualche anno.
Lievemente inquieta, ne ammiro il contenuto.
Ci sono tre cose: una vecchia maglia tinta magenta - di mohair, un po' consumata - con dentro della velina a tenerla in forma, una collana di perle e una tazzina con piattino di ceramica bianca. Estraggo collana  tazzina e piattino, ponendoli accanto alla Scatola. La maglia non oso toccarla. Mi sembrerebbe un sacrilegio.
Le lacrime iniziano a sgorgare come acqua di fonte viva. Viva per il dolore che ancora mi porto dentro dalla morte di mia madre.
Da quelle pareti di cartone rinasce il mondo di una donna che amava sopra ogni cosa il color magenta, le perle ricevute in dono da mio padre e il caffè. Che doveva essere Arabica 100%, fatto salire a fuoco minimo in una vecchia Moka ansimante o in una Napoletana tutta un'ammaccatura, versato con cautela in tazzine di ceramica bianca con relativi piattini, e ornato con un cuoricino di panna.
Lei non comperava la panna già montata, la lavorava al momento, con una piccola frusta manuale, usando un prodotto fresco, contadino, di grande qualità.
Così il suo caffè era un capolavoro scuro, forte, bollente, zuccherato abbastanza, e ingentilito da un cuoricino di panna.
Me lo preparo adesso, questo caffè, con il suo stesso rito, gli stessi oggetti, la stessa intenzione, lo faccio scendere a filo nella tazzina accanto alla Scatola dei Ricordi e gli dono un cuoricino di panna, dicendomi che è un buon viatico per il suo riposo.
Mentre sensi ed emozioni si accordano in una sinfonia di giorni pieni di lavoro insieme, di divertimento, qualche litigio, tanto parlare, bere Franconia dalla luce di gemma e mangiare a bocconi generosi pane e prosciutto carsolino.
Era la migliore compagna che si potesse desiderare.
E mi manca ogni giorno di più.
Ciao, Vida.
So che ci sei.
Sei tu che mi fai aprire la  Scatola dei Ricordi quando sono triste e la nostalgia prevale. Ci respiriamo insieme in quei momenti, piangiamo, e poi, però, anche ridiamo.
Come nella vita.
Grazie.

P.S.: Sono tornata a Rubbia in Marzo, nei boschi sotto il Castello. Ho raccolto Primule e Viole. Papà ci aspettava in macchina, leggendo il giornale.
Lo farò anche in Autunno.
E la casa si riempirà del profumo dei Ciclamini.
Dei Ciclamini e di te.

Con Amore,
Irene dai capelli ormai d'argento. Uguali ai tuoi.


Irene Navarra, Dalla scatola dei ricordi, Collage grafico, 29 Maggio 2023.


Maglia magenta,
collana a perle bianche,
tazza con caffè.
Una vita in scatola
per ricordarti, mamma.
#Tanka 50

Grazie, Daniela Alessandri, per lo spunto e i ricordi condivisi.
Le nostre mamme amavano la tinta magenta nei vestimenti.
Noi intrecciamo fili di simile sentire.

venerdì 26 maggio 2023

Poesia / Erano gli anni della vita lieve (da "Il tempo delle parole" - 1992).

Ecco. Lo sapevo che mi sarebbe successo. Rileggendo le liriche scritte nel lontano 1992 mi si riaprono ferite che ritenevo ormai rimarginate del tutto.
E invece no. Il dolore ritorna.
Un po' più blando rispetto a quel tempo. Ma presente.
Posso lenirlo solo ripensando all'avventura bella della vita con mia figlia, a cui queste parole sono dedicate.


(Irene Navarra), Fiore tra i fiori,
AI e Grafica, 26 Maggio 2023.


Erano gli anni della vita lieve
ma non sentivo in me musica e canto.
Solo negli occhi della mia bambina
scoprivo l'avventura sconfinata
di farmi - immobile - più rapida del vento.

Era il rifugio
un battito di ciglia,
delle sue ciglia folte d'oro bruno.

Era l'arcano cerchio
Il suo sorriso
che guariva il dolore della mente.

Eravamo due punti luminosi,
piccole perle nel manto delle stelle,
vivide fiamme di sguardi silenziosi.

26 Maggio 1992


domenica 21 maggio 2023

Prosa / Racconto breve: Una vita in pochi gesti.

L'amica Daniela Alessandri mi ha narrato di due anziani entrati - in ciabatte e tenendosi per mano - nel bar dove lei stava prendendo un caffè.
Io ho raccolto d'istinto lo spunto.
Ed ecco il risultato.
Grazie, Daniela.

(Irene Navarra), Amore puro, AI e Grafica, 20 Maggio 2023.



Una donna e un uomo anziani arrivano ciabattando sulla terrazza a mare del Maximilian's.
Sì, ciabattando.
Nel senso proprio della parola.
Arrivano con le ciabatte ai piedi. Di stoffa, un po' sformate, nere per lui, floreali per lei. Forse Defonseca. Mi pare di riconoscerle. Sono quelle della pubblicità televisiva. Comode di sicuro. Pensavo di prendermele per stare in casa. Loro le usano per venire al bar.
Bene.
Poveri piedi. Devono aver retto molti pesi, vista l'età avanzata dei legittimi possessori.
Mi viene da ridere.
E rido. Apertamente.
Seduta a uno dei tavolini esterni del bar dell'Hotel Riviera & Maximilian's di Grignano sulla magnifica costiera triestina, l'ultimo libro di Haruki Murakami aperto davanti, me ne sto, ironica e quasi allegra, incollata alle ciabatte dei nuovi avventori.
E rido, con un gridolino gorgogliante in gola. Da sfottò. 
Poi alzo - lenta - gli occhi, mi soffermo sulle mani intrecciate, sui volti serenamente amorevoli e mi vergogno di colpo per la mia stupida reazione. 
Ricomincio a narrare, quindi.

Appaiono sulla terrazza a mare del Maximilian's due anziani. Vengono dal Parco attiguo, tenendosi per mano. Volti avvizziti, stanchi, provati da anni difficili e chissà che altro. Camminano con cautela, sorreggendosi a vicenda. Si guardano ogni tanto, di sottecchi, con una complicità così naturale che non sono in grado di smettere di osservarli.
Entrano nel bar dell'Hotel e si siedono a un tavolino separato dagli altri, inquadrato in una erkerfenster con pesanti tendaggi ai lati.
Malgrado la bellissima giornata, vado anch'io all'interno per non perderli di vista. Non sono curiosa. Sono affascinata.
Ordinano. Rivolti al mare che luccica nel sole d'inizio Aprile e, ogni tanto, tra di loro.
In muti sorrisi dicono più di quanto può immaginare e descrivere uno scrittore sensibile e allenato.
Il mare è la loro cornice oltre i vetri.
Immaginate la scena: i due anziani al centro della finestra con ai lati i tendaggi pesanti di velluto color verde sottobosco, e il mare fuori, azzurro come non mai, e riverberante piccole luci d'oro a corona attorno a loro.
Riccardo Tosti con la sua speciale propensione al Luminismo li avrebbe di sicuro ritratti.
Sono dispiaciuta di stare all'interno in questa giornata di calma di vento. Succede poco dalle nostre parti. Che non ci sia il vento, intendo. La Bora è di casa. Urla e imperversa strappando le foglie agli alberi e portandosi via quanto non è stato ben ancorato a terra.
Sono dispiaciuta, ma anche tanto attratta da quelle creature così fragili e solide allo stesso tempo.

Maria e Vincenzo, abitano vicino. Stanno sempre insieme, mi dice il cameriere che mi serve un caffè profumatissimo con un ricciolo di panna spolverizzata di cacao amaro. Credo che mai nessuno li abbia visti separati. Vivono in una dependance della proprietà. Di cui, forse, erano i custodi, aggiunge confidente.

Anche loro hanno ordinato il caffè. Il caffè e una pasta a testa. Lei una fetta di torta Sacher, lui una Crema carsolina. Sempre così, continua il cameriere, mentre si avvia verso due giovani che gli stanno facendo cenno di venire.
Maria e Vincenzo mangiano piano, a sbocconcelli, e parlano piano, a mezze frasi e ammiccamenti. Potrebbero essere stucchevoli per il troppo amore palese, se non fossero tanto genuini nei gesti e nelle espressioni. 
Una vita passata fianco a fianco, dunque, la loro.
Che tristezza questo pensiero per me che di anni con il mio compagno ne ho passati solo due. Di fuoco all'inizio. Di algido distacco nei mesi ultimi del rapporto. Troppe differenze. Tutto troppo faticoso. Meglio tagliare. E il taglio, dapprima asettico, si è incancrenito in ansie e tormenti e nostalgie. Proprio a questo bar l'avevo incontrato, durante un corso d'aggiornamento di sedi diverse della stessa Compagnia d'assicurazioni. Noi ne eravamo i relatori. Proprio qua avevamo capito di piacerci e di volere una vita in comune. E proprio qua torno quando mi manca, e l'ansia mi attanaglia la gola.
Io, stupida giovane donna desiderosa d'amore.
Lui, opportunista giovane uomo desideroso di sesso.
Mai mi aveva guardata come Vincenzo guarda Maria.
Ora finalmente lo capisco.
Mi alzo, raccolgo Haruki, la tracolla, lascio i soldi per la consumazione e mi dirigo alla loro volta. Mi osservano come se sapessero, mentre si tengono le mani sul tavolino.
Avvicinandomi sorrido. Anche loro sorridono. Mi chino e li bacio sulle guance.
Ricambiano. Mi sento quasi una nipote, acquisita per diritto di comprensione sentimentale.
Mormoro Grazie, ed esco.
Nel sole che abbaglia.

20 Maggio 2023

Irene Navarra


sabato 20 maggio 2023

Poesia / Tanka 44: La mia meditazione è un fatto cellulare (Secondo racconto).

 

Irene Navarra, Nel farmi niente, AI e Grafica, 20 Maggio2023.

Talvolta voglio
essere puro niente:
una corona
di pistilli per l'ape
che viene dal giardino.
#Tanka 44

IQ48

Fondamentale il concetto del niente nella meditazione. La riduzione progressiva di qualsiasi aspetto della personalità dona una serena apertura alla contemplazione profonda e, di conseguenza, alla coscienza del proprio posto nell'universo.
Da qui, da tale prodigiosa agnizione, scaturisce il mutarsi in positivo: migliore salute nella tranquilla accettazione dell'essere ciò che siamo, ovvero: armonici intrecci di legami naturali, concatenazioni spontanee e in sé perfette.
Corone di pistilli o spine di rose, soffi di parole oppure sorrisi muti, lacrime... Emozioni. Questo siamo.
A occhi chiusi, quindi, seduti comodamente nel nostro angolo preferito, mani aperte l'una dentro l'altra, proviamo a sentirci niente. Per paradosso più la nostra sostanza si mortificherà, più brilleremo.


giovedì 11 maggio 2023

Poesia / Verso le stelle (da "Il tempo delle parole", 1992).

 

Proprio non so se ho fatto bene a rileggere quando andavo scrivendo nelli anni '90.
Anni davvero di piombo, quelli.
Così pesanti che ne porto ancora i segni sulle spalle.
Solchi profondi, tatuati da una sofferenza del tutto immotivata, inutile.
Mi piace quello che ho davanti agli occhi, impresso con la mia Olivetti Lettera 22 su carta senza pretese tanti anni fa.
Mi piace, ma mi fa male al cuore perché con le parole riaffiorano emozioni che sarebbe meglio dimenticare.

La vita va vissuta intensamente, soprattutto in quanto di buono ci dà.
Il resto buttiamolo pure alle ortiche e calpestiamolo, più e più volte, sotto le nostre scarpe che molta strada hanno percorso.
Calpestiamolo convulsamente per inibirne il ritorno.
Ché non turbi la serenità raggiunta con il perdono.

In questa lirica, però, devo salvare l'accenno all'odio come fonte di male per noi, umani così ottusamente immersi in una propensione solo personale.
E spesso troppo concreta.
"Con l’odio non si salda l’uomo alle stelle."
Niente odio nelle mie giornate. Mai.
Perché preclude la possibilità di cogliere l'Armonia dell'Universo.


(IQ48), Verso le stelle, IAG, 11 Maggio 2023.


"Con l’odio non si salda l’uomo alle stelle"
mi ripetevo quando una ferita,
un altro graffio nella meraviglia
di credere la vita
bianca e calda,
assottigliava la fraterna consistenza.

In quei momenti l’unica ragione
era abbracciarsi dentro,
stringersi forte fino ad appiattirsi
in una nebbia priva di persone.

Mi rimaneva poi solo tristezza
a farmi grigia e sconsolata,
lontana ancora
dal cammino delle stelle.